Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9801 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9801 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14432/2020 R.G. proposto da: COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente –
e nei confronti di
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
– ricorrente incidentale adesivo -contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente al ricorso incidentale adesivo –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 170/2020, depositata il 16/01/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 703 cod. proc. civ. notificato l’08.06.2001, NOME COGNOME conveniva innanzi al Tribunale di Napoli NOME COGNOME chiedendo di essere reintegrato nel possesso del passaggio esercitato attraverso una stradina confinante con il suo fondo e con quello del convenuto, mediante eliminazione del muro di cinta realizzato perimetralmente da controparte. NOME COGNOME, proprietaria di un fondo rustico anch’esso confinante con il fondo del convenuto, interveniva nel giudizio con atto del 15.06.2001.
A sostegno delle loro pretese, i ricorrenti sostenevano di aver sempre praticato il passaggio, pedonale e carrabile, sulla stradina interpoderale sulla quale, nell’anno 2000, il COGNOME divenuto proprietario del terreno confinante con atto di compravendita del 10.03.1999 – aveva apposto dapprima una recinzione metallica
amovibile e riavvolgibile su se stessa, che non determinava lo spoglio delle preesistenti facoltà di passaggio fino al luglio del 2000, allorquando il COGNOME aveva eretto un muro di cinta perimetralmente al fondo di sua proprietà, incorporando il tratto di strada interpoderale sul quale gli istanti di primo grado avevano esercitato il passaggio.
Il COGNOME si costituiva eccependo l’esistenza sul confine, già dalla data di acquisto del fondo, di un muretto con sovrastante rete metallica apposto dal coniuge della dante causa , sul quale egli si era limitato a realizzare un più solido muro di cinta, giusta autorizzazione comunale dell’11.04.2000.
1.1. Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda attorea.
NOME COGNOME impugnava la pronuncia del giudice di prime cure innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che accoglieva il gravame così decidendo:
-premesso che le parti processuali avevano offerto una ricostruzione dei fatti tra loro incompatibile, e che la valutazione della maggiore attendibilità dei testi dell’una e dell’altra parte non poteva reggersi unicamente sul raffronto tra le prove orali, poiché le dichiarazioni provenivano da soggetti non indifferenti agli interessi dedotti, l’elemento di giudizio dirimente era offerto dalla comparazione del narrato testimoniale con la documentazione prodotta in giudizio e , in primis , con i rilievi fotografici raffiguranti lo stato dei luoghi di causa, preesistenti al denunziato spoglio;
tale comparazione smentiva la tesi degli appellati, sostenuta dalle dichiarazioni dei loro testi secondo cui, prima della costruzione del muro nel luglio 2000, vi fosse unicamente una rete metallica amovibile e avvolgibile, che avrebbe consentito il passaggio pedonale e carrabile;
andava , quindi, dichiarata l’inammissibilità dell’azione interdittale proposta in primo grado da NOME COGNOME e da NOME COGNOME
in quanto l’ostacolo al preteso passaggio sulla stradina interpoderale preesisteva all’elevazione del muro di cinta, risalendo quanto meno alla data del 01.03.1995 (data della pratica del condono edilizio), laddove l’azione di reintegrazione nel possesso avrebbe dovuto essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dal sofferto spoglio.
3 . La pronuncia della Corte d’Appello veniva impugnata per la cassazione da NOME COGNOME e il ricorso affidato a due motivi.
NOME COGNOME proponeva ricorso incidentale adesivo.
NOME COGNOME contrastava i due ricorsi con distinti controricorsi.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, entrambi i ricorrenti hanno chiesto la decisione ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
In prossimità dell’adunanza ricorrenti e controricorrente depositavano memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I due ricorsi saranno esaminati congiuntamente, in quanto il ricorso incidentale adesivo espressamente aderisce al ricorso principale, parte integrante di quello incidentale (v. ricorso incidentale adesivo p. 9, 1° capoverso).
Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 ) cod. proc. civ. per avere la sentenza gravata, in violazione dell’art. 1168, comma 1, cod. civ., erroneamente applicato i principi in tema di tempestività dell’azione di spoglio enunciati dalla Corte di legittimità, fissando la decorrenza del termine util e per l’azione contro lo spoglio dalla realizzazione della rete metallica amovibile. I ricorrenti censurano la pronuncia nella parte in cui, con valutazione imprudente della prova, la Corte territoriale è
pervenuta ad un’errata ricostruzione del fatto -basandosi su testimonianze inattendibili, ignorando ovvero dando errata valutazione dei dati documentali e della stessa CTU e, quindi, ad un’erronea applicazione della norma di diritto. Il termine utile pe r l’esperimento dell’azione possessoria ex art. 1168, comma 1, sarebbe decorso, infatti dal primo atto di spoglio o turbativa solo se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, potessero ritenersi prosecuzione della stessa attività (Cass. 16239/2003; Cass. n. 8148/2012). Sostengono i ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe reso una motivazione apparente, che non offre alcuna giustificazione al percorso logico giuridico che l’ha condotta ad affermare la decorrenza del termine per l’azione di spoglio dalla realizzazione di un fantomatico muretto, atto posto in essere in epoca anteriore al momento della costruzione del muro di cinta.
3. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 ) cod. proc. civ., per avere la sentenza d’appello violato l’art. 2697, comma 2, cod. civ. in materia di ripartizione dell’onere probatorio, laddove aveva ritenuto a carico de gli odierni ricorrenti la prova dell’autonomia della concreta condotta di spoglio ai fini della decorrenza del termine utile per l’azione , mentre era a carico del l’odierno resistente l’onere di provare il collegamento fra l’atto di spoglio allegato da COGNOME e COGNOME e quello asseritamente costituente precedente spoglio dedotto dalla parte resistente. A giudizio dei ricorrenti, mentre gli attori originari avevano provato il fatto dello spoglio, costituito dalla realizzazione di un muro di cinta, della carenza della prova testimoniale doveva farsi carico la controparte cui spettava l’o nere di dimostrare anche il collegamento tra la precedente apposizione della rete metallica e la realizzazione del muro di cinta. La Corte territoriale, invece, aveva invertito l’onere della
prova, ponendo a carico degli appellati la dimostrazione del l’assenza di collegamento tra i due fatti dedotti in giudizio.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, per stretta connessione logica, e sono entrambi in parte inammissibili, in parte infondati.
4.1. Si deve, innanzitutto, precisare che la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ. (disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (per tutte: Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830).
4.2. Nel caso che ci occupa, esclusa l’attribuzione di diverso valore alle prove disponibili da parte della Corte partenopea, non è neanche prospettabile l’apparenza della motivazione, o la sua illogicità.
La Corte territoriale è giunta al suo convincimento in merito alla tardività dell’azione di spoglio valutando il materiale probatorio prodotto dalle parti (i testi dell’una e dell’altra parte, nonché la documentazione prodotta, soprattutto fotografica): ritenendo che la ricostruzione dei fatti offerta dalle parti processuali fosse inconciliabile (p. 3, 4° capoverso), ha riletto tutte le risultanze istruttorie scegliendo di procedere alla comparazione tra le narrazioni dei rispettivi testi e i documenti prodotti in giudizio; tra questi, ha scelto di valorizzare quelli da cui risultasse lo stato di fatto dei luoghi prima dell’elevazione del muro di cinta: con ciò andando oltre, dunque, le mere risultanze documentali, di certo non ignorate dalla Corte, benché preferite dai ricorrenti (v. ricorso, p. 15-16).
Si tratta di esercizio legittimo della discrezionalità del giudice del merito nella valutazione del compendio probatorio, che -non essendo nel caso di specie viziato da alcuna illogicità o incongruenza -non consente il sindacato del giudice di legittimità; né è lecito contrapporre, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelto dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, poiché il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (v. anche: Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
4.3. Alla luce di quanto sopra argomentato, non è, dunque, ipotizzabile alcuna violazione di legge, e in particolare l’errata applicazione dell’art. 1168 comma 1, cod. civ.; tanto meno l’errata qualificazione giuridica paventata dai ricorrenti (v. ricorso p. 12, ultimo capoverso; v. memoria p. 9, 1° capoverso).
4.4. Del tutto inconferente ed infondata è anche la censura di cui al secondo mezzo di gravame, laddove si lamenta l’inversione di un onere della prova a carico degli odierni ricorrenti: come emerge da quanto sopra, la Corte napoletana si è espressamente avvalsa delle prove prodotte da entrambe le parti, reciprocamente contraddittorie e sostenute da testi reciprocamente non del tutto affidabili, dando un ordine di priorità logica all’interno di esse e utilizzando un metodo (comparazione tra testi e risultanze fotografiche) logico ed elaborato, al fine di giungere alla rilevazione plausibile dello stato dei luoghi.
Quanto, infine , all’attendibilità delle prove testimoniali, questa Corte ha costantemente affermato che: «In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E’, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice» (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 35959 del 22/11/2021, Rv. 662908 -01; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019, Rv. 655229 -01; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13054 del 10/06/2014, Rv. 631274 -01; Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004, Rv. 569765 – 01).
4.4.1. Tanto basta ad escludere, quindi, l’apparenza della motivazione e l’omesso esame della documentazione prodotta: la Corte partenopea ha ben esaminato la documentazione in atti -in particolare, l’atto di vendita del fondo asserito servente al Del Prete del 01.03.1995, nonché la pratica di condono edilizio – tanto che proprio dal 01.3.1995 e dalle risultanze fotografiche disponibili, piuttosto che dalle planimetrie allegate, ha dedotto lo stato dei luoghi, nel senso che la striscia di terreno in contestazione si presentava delimitata in parte da una rete metallica sorretta da pali infissi nel terreno e, in altra parte, da una sbarra metallica, nonché, sul lato retrostante, a confine con il fondo del Capasso, da un muretto sovrastato da rete metallica e coperto parzialmente da una tettoia. Dalla lettura della CTU, poi, la Corte territoriale ha dedotto il fatto che il passaggio di cui è causa non era l’unico accesso ai fondi di proprietà degli allora appellati, esistendo percorsi alternativi a quello di cui è causa.
Sul vizio di motivazione apparente, è utile ricordare la costante giurisprudenza di legittimità per la quale esso ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. per tutte: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01).
In definitiva, il Collegio rigetta entrambi i ricorsi, principale e incidentale adesivo.
Liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo, da distrarsi in favore del procuratore di parte controricorrente che ne ha fatto richiesta.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di ciascuna parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale adesivo;
condanna ciascuno dei due ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, da distrarsi in favore del difensore del controricorrente, che liquida in €. 3.5 00,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna, altresì ciascuno dei due ricorrenti, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di € . 3.500,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4
cod. proc. civ. al pagamento della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico di ciascuna parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda