Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5077 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5077 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19194/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in BASSANO DEL GRAPPA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME elettivamente domiciliato in BASSANO DEL GRAPPA LARGO PAROLINI, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1738/2023 depositata il 04/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.la Corte di Appello di Venezia, con sentenza 1738/2023, in causa proposta nel 2020 da NOME COGNOME contro i vicini NOME COGNOME e NOME COGNOME per la tutela del possesso di una servitù di passaggio il cui esercizio era stato impedito da questi ultimi con la apposizione di una rete di recinzione sul fondo servente, ha, in primo luogo, affermato che la fase del giudizio sul merito possessorio, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Vicenza (il quale aveva dichiarato inammissibile la domanda introduttiva di tale fase perché proposta con atto di citazione e non con semplice istanza), era ammissibile.
Al riguardo, ha osservato che la forma dell’atto introduttivo del giudizio di merito era solo irregolare ma non presentava vizi determinativi di inammissibilità posto, che la citazione conteneva tutti gli elementi necessari e sufficienti per dare seguito all’azione possessoria, che la citazione era stata notificata entro il termine di sessanta giorni di cui all’art. 703 c.p.c., che la causa era stata entro quel termine anche iscritta a ruolo, che NOME COGNOME e NOME COGNOME si erano costituiti e si erano difesi nel merito.
La Corte di Appello ha affermato, in secondo luogo, che non poteva essere negata la ‘legittimazione attiva di NOME COGNOME per agire in sede possessoria’ atteso che egli aveva agito a tutela del possesso della servitù e che i provvedimenti interdittivi erano stati dati non perché egli era ‘divenuto proprietario del fondo dominante ma perché egli si era sempre avvalso della servitù interdetta dalla recinzione anche quando proprietario non era, ma era semplice possessore’. Con questa affermazione la Corte di Appello ha respinto l’eccezione di ‘difetto di legittimazione’ del ricorrente in possessorio NOME COGNOME sollevata da NOME COGNOME e NOME COGNOME per avere il primo acquistato il fondo
dominante dal padre, NOME COGNOME, nel febbraio 2020, successivamente alla apposizione della recinzione, avvenuta nell’ottobre del 2019, e per avere egli, prima dell’acquisto del fondo dominante, utilizzato la strada solo occasionalmente per fare visita al genitore e alla nonna e senza aver avuto possesso della relativa servitù. La Corte di Appello ha infine confermato la tutela possessoria concessa in fase sommaria;
I convenuti in possessorio NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, con quattro motivi, per la cassazione della citata sentenza della Corte di Appello di Venezia.
NOME COGNOME resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale affidato ad un unico motivo;
le parti hanno depositato memorie.
considerato che:
1 con il motivo di ricorso incidentale -che, avendo ad oggetto un vizio processuale, per ragioni di priorità logica conviene esaminare prima del ricorso principale si lamenta ‘violazione dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. in relazione all’art. 703, quarto comma, c.p.c. per avere la Corte di Appello erroneamente affermato che la scelta di introdurre la fase del giudizio del merito possessorio con atto di citazione anziché con istanza al medesimo giudice della fase cautelare possessoria e richiesta di fissazione dell’udienza per la prosecuzione del procedimento possessorio nelle forma della cognizione piena, rappresenti una mera irregolarità suscettibile di sanatoria ex art. 156 e 159 c.p.c. in base al principio generale di conservazione degli atti qualora presenti i requisiti per il raggiungimento dello scopo’;
il motivo è privo di fondamento perché i giudici di appello correttamente hanno ritenuto ammissibile la domanda possessoria. Questa Corte (v. ordinanza 23559/2018) ha già avuto modo di evidenziare che ‘gli artt. 703, 704 e 705 c.p.c. delineano i profili processuali dell’azione di spoglio e dall’azione di manutenzione;
essi disciplinano il procedimento possessorio come un rito sommario, che costituisce una figura intermedia tra il processo di merito a cognizione piena ed il processo puramente cautelare. Le ragioni di urgenza, che sono proprie della tutela della situazione possessoria, comportano l’articolazione del giudizio in due fasi, di cui la prima culmina con l’adozione di un interdetto cautelare e provvisorio, che deve essere poi confermato o revocato nella sentenza finale. L’attuale disciplina del procedimento possessorio, dettata dall’art. 703 c.p.c., come modificato nel secondo comma ed integrato con un terzo ed un quarto comma dal d.l. n. 35/2005, conv. in I. n. 80/2005, dispone che, soltanto se richiesto con apposita nuova istanza dalla parte interessata, entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento finale della fase interdittale (di accoglimento o di rigetto), il giudizio prosegua per il merito, il quale diviene, pertanto, prolungamento eventuale e non automatico. Il ricorso introduttivo è, peraltro, atto unico capace di instaurare entrambe le fasi del procedimento, mentre l’istanza di fissazione dell’udienza di trattazione della causa, a norma dell’art. 183 c.p.c., rivela natura di mero impulso endoprocessuale (Cass. Sez. 2, 26/03/2012, n. 4845). Il vigente art. 703, comma 4, c.p.c., rimette all’iniziativa di una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che conclude la fase sommaria diretta all’emissione del provvedimento interinale, la prosecuzione del giudizio per il c.d. merito possessorio con le forme della cognizione piena. Di tal che, nel sistema attuale, la tutela possessoria può arrestarsi alla fase sommaria e all’ordinanza che la conclude, oppure proseguire con l’eventuale fase a cognizione piena, e giungere fino alla sentenza di merito, la quale resta perciò soggetta agli ordinari mezzi d’impugnazione’.
L’atto endoprocessuale di impulso ha preso, nel caso di specie, la forma della citazione. È incontroverso che l’atto sia stato
tempestivo – essendo stato notificato entro il termine previsto dalla legge ed essendo stato il giudizio di merito possessorio anche iscritto a ruolo entro tale termine- e che sia stato idoneo allo scopo. Questo è sufficiente. Nessuna norma precisa quale forma l’atto di impulso debba assumere. L’art. 121 c.p.c. prevede che gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo;
1 bis passando all’esame del ricorso principale, con il primo motivo si lamenta ‘violazione dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 1168 c.c.’ per avere la Corte di Appello omesso di pronunciare sulla eccezione con cui essi ricorrenti avevano dedotto l’assenza di animus spoliandi, avendo apposto la recinzione con il consenso di NOME COGNOME dante causa di NOME COGNOME;
2. con il secondo motivo di ricorso principale si lamenta ‘violazione dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c. in relazione agli artt. 1168 e 1140 c.c.’ per avere la Corte di Appello ‘erroneamente riconosciuto a NOME COGNOME che acquistò il fondo dominante nel febbraio 2020, l’imprecisato possesso della servitù di passaggio quando ancora non era proprietario del fondo dominante, ma aveva usufruito saltuariamente del passaggio per fare visita ai familiari’; 3. con il terzo motivo di ricorso principale si lamenta ‘violazione dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c. in relazione agli artt. 1140, 1146 e 1168 c.c. per avere la Corte di Appello erroneamente riconosciuto al successore a titolo particolare la possibilità di cui al 2° comma dell’art. 1146 c.c. (unione del possesso dell’acquirente a quello del venditore) in assenza del necessario rapporto di fatto dell’acquirente con la servitù reclamata, indispensabile per la unione dei due possessi ai sensi dell’art. 1146 c.c.’. Si deduce che NOME COGNOME non può avere unito il proprio possesso a quello
del dante causa NOME COGNOME in quanto quest’ultimo era stato spogliato del possesso della servitù fino dall’ottobre 2019, prima di vendere il fondo dominante a NOME COGNOME;
con il quarto motivo di ricorso principale, si lamenta ‘violazione dell’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi discussi tra le parti, quali la presenza o meno nell’agere di COGNOMECOGNOME quando realizzarono la recinzione, dell’animus spoliandi e l’assenza di una relazione di fatto dell’acquirente NOME COGNOME con la servitù oggetto della richiesta reintegrazione, con conseguente pronunzia connotata da motivazione meramente apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile’;
il secondo e il quarto motivo di ricorso principale, da esaminare insieme per stretta connessione delle questioni, sono fondati sotto il profilo della motivazione apparente sulla legittimazione all’azione di spoglio.
7.1. Legittimati all’esercizio dell’azione di spoglio sono (art. 1168 c.c.) il possessore, cioè colui che, secondo la definizione del possesso contenuta nell’art 1140 c.c., esercita sulla cosa un potere di fatto che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, e il detentore qualificato o autonomo, cioè, colui che detiene la cosa nel proprio interesse, non per ragioni di servizio o di ospitalità.
7.2. Possessore e detentore devono trovarsi in relazione con la cosa al momento dello spoglio essendo logicamente esclusa la legittimazione all’azione finalizzata a reagire allo spoglio da parte di chi acquisti un diritto su un bene dopo che il dante causa ne sia già stato spogliato (v., in motivazione, Cass, Sez. 2, Sentenza n.6489 del 03/07/1998).
7.3. Riguardo al vizio di motivazione apparente questa Corte (v. tra le varie, SSUU ordinanza n. 2767/2023) ha precisato: ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830). Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
7.4 Nel caso di specie – a fronte della circostanza, di cui si dà atto nella sentenza impugnata oltre che nel ricorso e nel controricorso che NOME COGNOME ha acquistato il presunto fondo dominante con contratto stipulato col padre in data successiva a quella del dedotto spoglio ed a fronte della circostanza posta dagli allora
appellanti a base dell’eccezione secondo la quale, prima dell’acquisto, NOME COGNOME aveva utilizzato la strada solo per occasionali visite al padre e alla nonna, residenti in un immobile sul fondo dominante, la Corte di Appello si è limitata ad affermare senza dar conto delle ragioni in diritto del proprio convincimento e quindi senza dar conto di un effettivo esame delle due circostanze che NOME COGNOME ‘aveva agito a tutela del possesso della servitù’ e che i provvedimenti interdittivi erano stati dati non perché egli era ‘divenuto proprietario del fondo dominante ma perché egli si era sempre avvalso della servitù interdetta dalla recinzione anche quando proprietario non era, ma semplice possessore’;
8. in conclusione il secondo e il quarto motivo del ricorso principale devono essere accolti, mentre restano assorbiti il primo e il terzo motivo del ricorso principale, e va rigettato il ricorso incidentale;
la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese; si dà atto della sussistenza, per il ricorrente incidentale dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
la Corte accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri motivi dello stesso ricorso, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2025.