Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12754 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12754 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14258/2023 R.G. proposto da :
NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME (nato il 30.11.1988), COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME (nato l’8.9.1986) , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME NOME ed COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio della dott.ssa
NOME COGNOME rappresentati e difesi dall ‘avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME NOME COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZOC/O COGNOME NOME), rappresentate e difese da ll’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n.646/2023 depositata l’ 11.4.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 8.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 16.7.2013 Arcidiacono NOME e COGNOME NOME convenivano davanti al Tribunale di Siracusa COGNOME NOME e COGNOME NOME, per ottenere l’accertamento della proprietà della metà indivisa dei fabbricati e dei terreni facenti parte della masseria denominata RAGIONE_SOCIALE, sita in INDIRIZZO in territorio di Noto, ricadente nella riserva naturale di Vendicari in capo alle attrici, loro spettante in quanto eredi di NOME per successione apertasi il 12.8.2011, e la conseguente condanna dei convenuti all’immediato rilascio degli stessi ed al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento dei danni subiti per la sottrazione di una vasca di raccolta acque e di una pila, e per l’occupazione di tali immobili.
Costituitisi, COGNOME NOME e COGNOME Corrado contestavano tutto quanto dedotto dalle attrici e, nello specifico, eccepivano il loro difetto di legittimazione passiva perché, con atto di
compravendita del 7.6.2013 a rogito del notaio NOME COGNOME, rep. n. 10587, la proprietà degli immobili oggetto di causa era stata da loro trasferita a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Integrato il contraddittorio nei confronti di questi ultimi, i predetti chiedevano in riconvenzionale l’acquisto degli immobili per intervenuta usucapione.
Con atto di intervento volontario si costituivano in giudizio COGNOME NOME, NOME e NOME NOME COGNOME quali eredi di NOME NOMECOGNOME e chiedevano di accogliere le domande di parte attrice e di dichiarare che la restante metà indivisa dei fabbricati e dei terreni oggetto di causa apparteneva agli intervenuti, e per l’effetto di ordinare ai COGNOME l’immediato rilascio degli stessi, nonché di dichiarare e ritenere inopponibile nei loro confronti l’atto del notaio NOME Coltraro del 7.6.2013, nella parte in cui trasferiva a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME le unità immobiliari per cui è causa.
Istruita la causa, il Tribunale di Siracusa, con la sentenza n. 1570/2021, rigettava le domande di parte attrice, dei convenuti e degli intervenuti, ritenendo non assolti gli oneri probatori propri dell’azione di rivendicazione delle attrici e degli eredi di NOME NOME intervenuti, e dell’usucapione invocata da NOME e NOME, e compensava integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio, ponendo a carico di parte attrice le spese di CTU.
Avverso questa sentenza, proponevano appello principale NOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME ed appello incidentale gli eredi di NOME NOMECOGNOME riproponendo le rispettive azioni di rivendica, e resistevano COGNOME NOME, NOME, NOME (nato il 30.11.1988), NOME, NOME (nato l’8.9.1986) e NOME
Con sentenza n. 646/2023 del 28.3/11.4.2023, la Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dell’appello principale e di quello incidentale, dichiarava NOME NOME e COGNOME NOME proprietarie della metà indivisa dei fabbricati e dei terreni oggetto di causa (particelle 744, 746, 749, 750 e 754 del foglio 373 del catasto terreni e fabbricati del Comune di Noto) e per ¼ delle particelle 747 e 748 sub 1 e 2 dello stesso foglio, e COGNOME NOME, NOME e NOME Venerino proprietari dell’altra metà indivisa dei fabbricati e dei terreni facenti parte della masseria e di ¼ delle particelle 747 e 748 sub 1 e 2 summenzionate e per l’effetto condannava COGNOME NOME, NOME, NOME (nato il 30.11.1988), NOME, NOME (nato l’8.9.1986) e NOME all’immediato rilascio dei suddetti beni immobili in favore dei rivendicanti vittoriosi, nonché al pagamento delle spese legali.
Avverso questa sentenza hanno proposto tempestivo ricorso a questa Corte COGNOME Corrado, NOME, NOME (nato il 30.11.1988), NOME, NOME (nato l’8.9.1986) e NOME, affidandosi ad un unico motivo. Coco NOME, Arcidiacono NOME e Arcidiacono NOME COGNOME nonché Arcidiacono NOME e COGNOME NOME hanno resistito con separati controricorsi.
E’ stata formulata proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis comma 1° c.p.c. per inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso, ed i difensori dei ricorrenti hanno depositato tempestiva istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c..
A seguito della fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va disposta l’esclusione dagli atti della relazione tecnica dell’arch. NOME COGNOME (allegato 5 al ricorso), del verbale dell’udienza penale del Tribunale di Siracusa del procedimento n. 5183/13 RGNR (allegato all’istanza di decisione
parziale dei ricorrenti del 5.3.2024), nonché del dispositivo della relativa sentenza del 25.2.2025 e del pregresso decreto di citazione a giudizio del 12/13.5.2020 (allegati alla memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. dei ricorrenti), trattandosi di documenti non prodotti nei precedenti gradi, o sopravvenuti, che non riguardano la nullità della sentenza impugnata, né l’ammissibilità del ricorso, o del controricorso, e che non rientrano quindi nell’ambito applicativo dell’art. 372 c.p.c..
Col primo ed unico motivo, i ricorrenti censurano congiuntamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 948 cod. civ., il difetto di motivazione dell’impugnata sentenza per avere la Corte d’Appello erroneamente valutato le prove testimoniali, basandosi sulla testimonianza de relato del teste COGNOME e su deposizioni di testimoni che non avevano frequentato i luoghi di causa perché vivevano fuori, come riferito dalla teste COGNOME il tutto nonostante l’esito negativo per gli appellanti del ricorso per reintegrazione nel possesso nel giudizio promosso da NOME davanti al Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di Avola, e l’ultrapetizione per avere asseritamente riconosciuto la sentenza impugnata, per mero errore correggibile, ad NOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME ed a NOMECOGNOME NOME e NOME NOME COGNOME la proprietà della particella 750 del foglio 373 del catasto terreni e fabbricati del Comune di Noto, che non era oggetto di contestazione giudiziale e che sarebbe di proprietà dei COGNOME per ¼. Tale articolato motivo é inammissibile per varie ragioni.
Anzitutto é inammissibile il motivo, nella parte in cui, pur invocando la violazione dell’art. 948 cod. civ., non assume che la Corte d’Appello abbia erroneamente inteso la norma che regola l’esercizio dell’azione di rivendicazione per come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, ossia come attributiva dell’onere a carico dell’attore di dimostrare l’esistenza a favore suo, o di un suo
dante causa, di un valido acquisto del bene immobile a titolo originario, o di provare la maturazione in favore suo, o di un suo dante causa dell’usucapione (Cass. n. 21940/2018; Cass. n.25643/2014; Cass. n. 1210/2017; Cass. n. 2325/1964 espressamente richiamate a pagina 4 dell’impugnata sentenza), ma punta ad ottenere una rivalutazione dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, che addivenga ad una ricostruzione alternativa del possesso uti domini esercitato dal 1959 al 5.5.2000, da NOME NOME ed NOME NOMECOGNOME danti causa degli appellanti.
Va in proposito richiamata la sentenza delle sezioni unite di questa Corte n.24148 del 25.10.2013, già menzionata nella proposta di definizione accelerata, secondo la quale il motivo di ricorso non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Ugualmente inammissibile é la doglianza relativa all’erronea valutazione delle prove testimoniali, volta ad ottenere un diverso ed alternativo apprezzamento delle prove.
In proposito, in conformità alla proposta di definizione accelerata, va richiamato l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale ‘ in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad
enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni ‘ (Cass. sez. lav. 13.6.2014 n. 13485; Cass. 23.5.2014 n. 11511; Cass. 24.5.2006 n. 12362).
Ulteriormente, come osservato dai controricorrenti, la doglianza relativa all’erronea valutazione delle prove testimoniali, non é conforme al principio di autosufficienza del ricorso, in quanto per giurisprudenza consolidata di questa Corte ‘ il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative ‘ (Cass. ord. 10.8.2017 n. 19985; Cass. 30.7.2010 n. 17915), mentre nella specie i ricorrenti non hanno riportato il testo delle testimonianze contestate, e di tutte le deposizioni poste a base del convincimento espresso dalla Corte d’Appello, né di quelle di segno contrario invocate, al fine di dimostrarne la decisività, e neppure hanno invocato l’omessa considerazione di circostanze di fatto principali, o secondarie, decisive, emergenti dalle testimonianze acquisite ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c…
Quanto al difetto di motivazione lamentato, é anch’esso inammissibile, in quanto i ricorrenti non hanno invocato alcuna delle ipotesi di vizio di motivazione ancora censurabili dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. apportata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7.8.2012 n. 134.
I ricorrenti, infatti, non si sono riferiti ad un difetto assoluto di motivazione, avendo essi stessi riconosciuto i passaggi
argomentativi essenziali dell’impugnata sentenza esposti a dimostrazione della fondatezza dell’azione di rivendica esercitata dagli originari attori e dagli eredi di NOME NOME, intervenuti nel corso del giudizio di primo grado per rivendicare la loro metà dei fabbricati e terreni della masseria Casa di Banca, non hanno fatto riferimento all’esistenza di una motivazione meramente apparente, o ad una motivazione talmente illogica e contraddittoria da non consentire di comprendere le ragioni della decisione adottata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione ancora censurabile in sede di legittimità, quando non sia allegata la mancata considerazione di un fatto storico principale, o secondario, oggetto di discussione tra le parti decisivo ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie Cass. ord. 28.4.2025 n. 11219; Cass. sez. un. 7.4.2014 n. 8053).
La sentenza impugnata, comunque, dopo avere escluso che le originarie attrici, e gli intervenuti eredi di NOME NOME, potessero fruire di un’attenuazione dell’onere probatorio proprio dell’azione di rivendica, per effetto dell’usucapione loro contrapposta e non provata dai COGNOME, in quanto gli stessi avevano contestato il possesso dei loro contraddittori anteriore all’inizio del loro possesso ad usucapionem, ritenendo quindi gravati gli attori e gli intervenuti rivendicanti dall’onere di provare l’acquisto a titolo originario, o per usucapione dei beni rivendicati, sia pure avvalendosi della successione nel possesso dei loro danti causa deceduti, NOME NOME ed NOME NOMECOGNOME ha giudicato raggiunta la prova suddetta.
La Corte d’Appello, sulla base delle testimonianze rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME, confermate da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ha ritenuto provato che NOME ed NOME NOME, ai quali sono succeduti i vari attori in rivendica, originari ed intervenuti, abbiano posseduto i fabbricati ed i terreni della masseria in questione (particella 744, 746, 750, 749, 754 per ½ in favore degli eredi di NOME e per ½ in favore degli eredi di NOME NOMECOGNOME e per ¼ le particelle 747 e 748 sub 1 e 2 del foglio 373 del catasto terreni e fabbricati del Comune di Noto in favore degli eredi di NOME e per ¼ in favore degli eredi di NOME NOME, comportandosi come proprietari tramite l’amministratore fiduciario, COGNOME che aveva le chiavi dei vari fabbricati della masseria e che vi ha abitato dal 1959 al maggio 2000, e che negli anni ’60 dello scorso secolo vi ospitava i propri nipoti nei mesi estivi col permesso degli COGNOME, che tre o quattro volte l’anno si recavano alla masseria per ritirare i canoni e controllare i terreni. La sentenza impugnata ha altresì ritenuto che alcuni terreni erano stati concessi negli anni 1994-1997 da fratelli COGNOME NOME e NOME a COGNOME NOME per coltivarvi piante di anguria, riconoscendo quindi la maturazione dell’usucapione a favore degli eredi dei fratelli COGNOME in data anteriore al giudizio possessorio promosso da COGNOME NOME, invocato dai ricorrenti come atto interruttivo della prescrizione acquisitiva avversaria.
E’ infine manifestamente infondata la richiesta dei ricorrenti di correzione dell’errore materiale, commesso dalla Corte d’Appello di Bari, nell’individuare tra le particelle oggetto delle azioni di rivendica, per una metà indivisa di NOME NOME e COGNOME NOME, e per l’altra metà indivisa di NOME NOMECOGNOME NOME ed NOME NOME COGNOME, la particella 750 del foglio 373 del catasto terreni e fabbricati del
Comune di Noto, non inclusa tra le domande giudiziali avanzate dagli attori in rivendica.
I ricorrenti, infatti, non avrebbero dovuto, sul denunciato errore materiale assunto come riconducibile alla sentenza di secondo grado, proporre ricorso per cassazione, ma attivare il procedimento di correzione, ai sensi degli artt. 287-288 c.p.c., dinanzi alla stessa Corte d’Appello.
Infatti questa Corte ha ripetutamente affermato che la speciale disciplina, dettata dagli artt. 287 cod. civ. e ss., per la correzione degli errori materiali incidenti sulla sentenza, la quale attribuisce la competenza all’emanazione del provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso la decisione da correggere, mentre non è applicabile quando contro la decisione stessa sia già stato proposto appello dinanzi al giudice del merito, in quanto l’impugnazione assorbe anche la correzione di errori, è invece da osservarsi rispetto alle decisioni impugnate con ricorso per cassazione, atteso che il giudizio relativo a tale ultima impugnazione è di mera legittimità e la Corte di cassazione non può correggere errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale va, pertanto, rivolta l’istanza di correzione, anche dopo la presentazione del ricorso per cassazione (Cass. ord. 30.10.2020 n. 24131; Cass. 11.3.2004 n. 4993; Cass. 27.7.2001 n. 10289).
In base al principio della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati in solido, al pagamento in favore dei due gruppi di controricorrenti, delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
La conformità della decisione adottata, alla proposta di definizione accelerata, impone, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380 bis c.p.c. nuova formulazione, di condannare in solido i ricorrenti al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c. a favore dei controricorrenti, ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende ex art. 96 comma 4° c.p.c., nelle misure determinate in dispositivo.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME Corrado, NOME, NOME (nato il 30.11.1988), NOME, NOME (nato l’8.9.1986) ed NOME, e li condanna in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, in favore delle controricorrenti NOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME e dei controricorrenti Coco NOMECOGNOME Arcidiacono NOME ed Arcidiacono NOME COGNOME liquidandole per ciascun gruppo di controricorrenti in € 200,00 per spese ed € 3.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Condanna in solido NOME NOME, NOME, NOME (nato il 30.11.1988), NOME, NOME (nato l’8.9.1986) ed NOME al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c. in favore di ciascun gruppo di controricorrenti nella misura di € 3.000,00, nonché ai sensi dell’art. 96 comma 4° c.p.c. al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di € 3.000,00.
Visto l’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio dell’8.5.2025