Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16361 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16361 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10929/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COGNOME, COGNOME e COGNOME;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 378/2021, depositata il 19/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c., NOME COGNOME ha proposto azione di rivendicazione nei confronti di NOME COGNOME, NOME
Rota, NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo che i convenuti si erano impossessati sine titulo di una porzione di terreno di sua proprietà di cui chiedeva il rilascio. L’attore esponeva di avere acquistato insieme al fratello NOME NOME COGNOME il terreno con atto di vendita in cui figurava come venditrice la società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e che successivamente, a seguito di permuta, era divenuto proprietario esclusivo del fondo; che una porzione di tale terreno era occupata illegittimamente dai coniugi COGNOME nonché dai loro due figli, i quali tramite un camion e un escavatore occupavano una parte della particella 271, impedendo la chiusura del cancello; l’occupazione abusiva si protraeva da diverso tempo, tanto che i fratelli COGNOME avevano promosso altri giudizi, di cui il primo instaurato nei confronti di NOME COGNOME era terminato con ordinanza di rigetto per mancata prova dell’occupazione, il secondo – promosso nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – si era concluso con altra pronuncia di rigetto per la preclusione del giudicato nei confronti di NOME COGNOME e per mancanza di prova dell’occupazione da parte degli altri due resistenti; che tutti i convenuti continuavano, dopo le suddette pronunzie, a occupare illegittimamente la porzione di fondo. I convenuti, costituendosi, deducevano che dopo il secondo processo i fratelli COGNOME avevano fatto irruzione nel fondo e avevano posizionato le proprie vetture in modo da bloccare l’ingresso e il passaggio dei mezzi di NOME COGNOME così che l’azione promossa da NOME COGNOME tendeva a legittimare tale occupazione violenta e illecita e, comunque, il processo concerneva un oggetto su cui si era formato il giudicato per ben due volte. Il Tribunale di Cosenza ha rigettato con ordinanza del 30 maggio 2017 la domanda di NOME COGNOME Dopo avere evidenziato che nel processo era fatta valere un’azione di rivendicazione della proprietà, riteneva fondata l’eccezione di giudicato esterno sollevata da NOME COGNOME, NOME COGNOME e
NOME COGNOME dato che le ordinanze di rigetto della domanda dei fratelli COGNOME del 2013 e del 2015 erano passate in giudicato; quanto alla domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME che non aveva partecipato ai precedenti processi, andava rigettata per mancanza di prova dell’occupazione.
2. L’ordinanza è stata appellata da NOME COGNOME La Corte d’appello di Catanzaro – con la sentenza 19 marzo 2021, n. 378 – ha rigettato il gravame. Il giudice d’appello ha escluso la rilevanza del giudicato esterno in quanto con riferimento alla condotta di occupazione non vi è identità nell’ambito del presente giudizio nella parte in cui tale condotta si è protratta successivamente alle pronunce del Tribunale cosicché non può considerarsi identica la causa petendi : la condotta di occupazione del fondo ha natura permanente e duratura nel tempo cosicché l’effetto preclusivo della sentenza che l’abbia esclusa è per sua natura limitato al momento del passaggio in giudicato della pronuncia, non coprendo l’ulteriore condotta di occupazione iniziata o anche soltanto protrattasi in seguito. Il giudice d’appello ha però rigettato la domanda nel merito, non essendo stata fornita prova sufficiente del diritto di proprietà: non risulta provato né un acquisto a titolo originario, né un possesso della porzione di fondo rivendicata di durata tale da farla ritenere acquisita per usucapione, essendo state prodotte in giudizio soltanto la compravendita del 2012 e la permuta del 2015 e il processo è stato promosso nel 2016.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Gli intimati non hanno proposto difese.
Il Consigliere delegato dal Presidente della sezione seconda ha ritenuto il ricorso inammissibile e/o manifestamente infondato e ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 1 c.p.c.
Il ricorrente ha chiesto, ai sensi del comma 2 dell’art. 380 -bis c.p.c., la decisione del ricorso da parte del Collegio.
Memoria è stata depositata in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio dal ricorrente.
CONSIDERATO CHE
La Corte anzitutto rileva l’assenza di incompatibilità del Consigliere COGNOME che ha formulato la proposta di definizione anticipata. Le sezioni unite di questa Corte hanno infatti precisato che il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione di cui all’art. 380 -bis c.p.c. può fare parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio investito della decisione del giudizio, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51 e 52 c.p.c., dato che tale proposta non ha una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva; la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente non si configura d’altro canto quale fase distinta che abbia carattere di autonomia, con contenuti e finalità di riesame e di controllo della proposta stessa (così Cass., sez. un., n. 9611/2024).
Preliminare all’esame del ricorso è la verifica della sua procedibilità.
Lo stesso ricorrente riconosce di non aver depositato, insieme alla copia della sentenza impugnata presente nel fascicolo informatico, l’attestazione di conformità della medesima rispetto all’originale informatico e di depositare l’attestazione solo in allegato alla memoria. Il ricorso è peraltro procedibile. Secondo quanto hanno precisato le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un. n. 8312/2019), il deposito di copia analogia della decisione impugnata, redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente e necessariamente inserita nel fascicolo informatico, priva di attestazione di conformità del difensore non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata ovvero non disconosca la conformità della
copia informale all’originale o ancora come nel caso in esame -la controparte sia rimasta soltanto intimata e il ricorrente abbia depositato l’asseverazione di conformità entro l’adunanza in camera di consiglio o l’udienza di discussione.
Il ricorso è articolato in tre motivi.
a) Il primo motivo contesta violazione degli artt. 948 e 2697 c.c., 115 c.p.c.: la Corte d’appello non considera la giurisprudenza secondo cui, in caso di mancato disconoscimento da parte del convenuto del titolo vantato dall’attore in rivendica, l’onere probatorio di quest’ultimo è attenuato; nel caso in esame controparte non solo non ha contestato il titolo del ricorrente, ma lo ha espressamente riconosciuto per due volte sia nella memoria di costituzione di primo grado che in quella d’appello, ove compare la seguente dizione ‘premesso che la vicenda che ci occupa origina da una compravendita del predetto terreno effettuata dal signor NOME NOME ai loro figli in data 28 marzo 2012, quest’ultimo divenuto proprietario esclusivo per atto notarile del 9 dicembre 2015, avendo acquistato la quota di proprietà del fratello’.
Il motivo non può essere accolto. È vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte il rigore probatorio a carico dell’attore in rivendicazione trova temperamento nell’ipotesi in cui il convenuto ammetta in tutto o in parte il diritto di proprietà del rivendicante, ma tale ammissione deve essere posta in essere ‘in modo non equivoco’ (cfr. al riguardo Cass. n. 28865/2021).
Nel caso in esame, in base all’estratto degli atti di controparte riportati dal ricorrente alle pagine 5-6 del ricorso, non è ravvisabile un chiaro riconoscimento del diritto di proprietà del ricorrente, trattandosi – a quanto si legge – di un semplice richiamo a quanto sostenuto dallo stesso, senza riconoscimento esplicito del diritto di proprietà di controparte, tanto più che vi è un riferimento alla proprietà del terreno da parte della società RAGIONE_SOCIALE società
della quale NOME COGNOME era ‘socio’, profilo sul quale il ricorrente nulla dice e in relazione al quale non dà chiarimenti.
b) Il secondo motivo denuncia violazione o, in subordine, falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.: avendo il giudice esaminato la condotta di occupazione di NOME COGNOME ha ritenuto implicitamente – con pronuncia su cui si è formato il giudicato – che è stata fornita la prova della sussistenza del titolo di proprietà.
Il motivo non può essere accolto. Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME ritenendo non provata l’occupazione da parte del medesimo del terreno. Da tale decisione, evidentemente basata sul principio della cosiddetta ragione più liquida (in base a tale principio, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale, cfr. Cass., sez. un., n. 9936/2014), non può essere ricavata la decisione relativa alla sussistenza del diritto di proprietà del ricorrente, questione del tutto pretermessa dal giudice di primo grado, così che è da escludersi il giudicato sulla medesima.
c) Il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 101, comma 2 c.p.c. e 24 Cost.: la questione di diritto della titolarità del diritto di proprietà dell’attore in rivendicazione è questione nuova, mai discussa prima dalle parti, che doveva quindi essere sottoposta al contraddittorio tra le parti ai sensi dell’art. 101, comma 2 c.p.c.
Il motivo non può essere accolto. L’azione proposta dal ricorrente è un’azione di rivendicazione, il cui esercizio è subordinato alla sussistenza della titolarità della proprietà del bene, che costituisce condizione dell’azione medesima (cfr. al riguardo Cass. n. 13882/2010). La questione della proprietà del bene non può quindi essere considerata questione nuova che doveva essere sottoposta al contraddittorio delle parti, essendo questione appartenente alla causa con la stessa proposizione della domanda del ricorrente.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non vi è provvedimento sulle spese in quanto gli intimati non hanno proposto difese.
Essendo la decisione conforme alla proposta di definizione, trova applicazione il comma 4 dell’art. 96 c.p.c. e il ricorrente va quindi condannato al pagamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio che si è tenuta il 17