Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30855 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 30855 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29224/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentat i e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2542/2019 depositata il 10/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udit e le conclusioni del Procuratore Generale dr.ssa COGNOME e dei difensori delle parti
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero NOME COGNOME e NOME COGNOME avanti il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rivendicando la proprietà di un fondo in Comune di Ailano, pervenuto per successione ab intestato e che era stato venduto, nel 1983, da tale NOME COGNOME (che se ne era dichiarata proprietaria a titolo originario) ai convenuti. Costoro, costituendosi, avevano resistito e comunque avevano avanzato domanda di garanzia per evizione nei confronti dell’COGNOME, chiamata in giudizio.
In esito all’istruzione probatoria, il giudice adito acco lse la domanda.
A seguito di rituale impugnazione di NOME COGNOME e NOME COGNOME con sentenza n. 2542 del 10 maggio 2019, la Corte d’appello di Napoli rigettò il gravame.
Il giudice di secondo grado riconfermò la ricostruzione della proprietà del terreno, come effettuata dal C.T.U. sulla scorta dei titoli allegati dalle attrici ed attraverso un’analitica descrizione dello stato dei luoghi . Del resto, l’esame delle testimonianze rese nel corso del giudizio e volte a dimostrare il fondamento della domanda di usucapione abbreviata da parte dei coniugi COGNOME non avrebbe dimostrato in modo certo il possesso continuo ed ininterrotto da parte dei convenuti.
Contro la predetta sentenza ricorrono per cassazione il COGNOME e la COGNOME, sulla scorta di tre motivi, illustrati da successiva memoria.
Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il Procuratore Generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DI DIRITTO
In via preliminare, va disattesa la richiesta di interruzione del procedimento per morte del ricorrente COGNOME. Infatti, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, né consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Sez. L., n. 1757 del 29 gennaio 2016; Sez. 3, n.24635 del 3 dicembre 2015).
Sempre in via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di difetto di procura, sollevata dai controricorrenti. Invero, la più recente ed autorevole giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che
consenta all’atto di produrre i suoi effetti (Sez. U., n. 2075 del 19 gennaio 2024; Sez. U., n. 36057 del 9 gennaio 2022).
Pertanto, ancorché la procura apposta in calce si riferisca ad un non meglio identificato giudizio per revocazione , che, come è noto, riguarda motivi di impugnazione affatto diversi da quelli ammessi con il ricorso ordinario per cassazione, tuttavia -in presenza di una materiale congiunzione della procura con il ricorso, sia con una spilla sia con un timbro dell’avvocato autenticante -non si può assolutamente escludere con certezza la riferibilità della procura stessa al ricorso.
Attraverso la prima doglianza, i ricorrenti censurano ‘ l’affermazione della sentenza (cfr. in sentenza la motivazione riguardo ai punti 6.1 7.1 e 8 da pg. 7 a pg. 11) nella parte in cui si afferma l’esistenza dei presupposti di legge che legittimano la revocazione, e ciò ex art. 132 comma 2° n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto sussistente il presupposto per la pronuncia di rivendica pur mancando la prova del titolo di acquisto a titolo originario del bene rivendicato ‘.
La Corte d’appello avrebbe contraddittoriamente affermato la sussistenza dei presupposti per la revocazione, senza pronunziarsi sulla mancanza del titolo di acquisto originario.
Il motivo è infondato
La sentenza impugnata recita testualmente ‘ Sebbene, dunque, l’atto di divisione, per il suo carattere meramente dichiarativo, e la denuncia di successione, efficace ai soli fini fiscali, non siano idonei a fornire la prova della proprietà, correttamente il Tribunale è giunto alla conclusione, avvalorata dalla C.T.U., che la particella 17 è compresa nella massa ereditaria del de cuius NOME COGNOME NOME che, con l’atto di divisione precitato e con il successivo atto di donazione del 20.02.1928, ugualmente allegato dalle attrici, è pervenuta a NOME COGNOME NOME dante causa delle attrici che, per l’effetto, sono legittimate all’azione di rivendicazione. Va ribadito che la particella 72 deriva da frazionamento diretto della particella n. 17 ‘.
Nessun contrasto irriducibile fra affermazioni questa Corte ravvisa nel passaggio che precede.
In punto di diritto, con riguardo alla violazione dell’art. 132 comma 4° c.p.c., va ricordato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
La sentenza impugnata si pone ben al di sopra del minimo costituzionale.
Con il secondo mezzo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 948 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver attribuito alla consulenza tecnica d’ufficio un valore decisivo ai fini della causa.
Il motivo è infondato.
La ricostruzione della proprietà è stata effettuata dai giudici di secondo grado, in modo giuridicamente corretto, sulla scorta di un esame approfondito dei titoli sino a risalire al periodo utile per un acquisto a titolo originario. Gli esiti dell’elaborato peritale sono stati utilizzati per concatenare i predetti passaggi.
Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, nell’azione di rivendicazione il rigore della prova della proprietà è attenuato se il convenuto riconosca che il bene rivendicato apparteneva un tempo ad una determinata persona, essendo sufficiente in tal caso che il rivendicante dimostri, mediante gli occorrenti atti d’acquisto, il passaggio della proprietà da quella determinata persona fino a lui; al fine di tale dimostrazione non è necessaria, ne’ sufficiente, la prova della continuità delle risultanze catastali ed ipotecarie, trattandosi di
forme di pubblicità prive di effetti costitutivi sulla titolarità del diritto dominicale (Sez. 2, n. 25793 del 14 dicembre 2016).
La doglianza si risolve in ogni caso in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte del giudice di appello.
E’ dunque opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
5. La terza lagnanza è volta a stigmatizzare la sussistenza dei presupposti per la rivendica, sempre in forza dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 948 c.c. , ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., che avrebbe determinato il travisamento della consulenza tecnica.
Tale motivo è inammissibile.
A quanto affermato poc’anzi a proposito della precedente censura, va aggiunto che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal
materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
Va aggiunto che, nel contenuto del motivo, si accenna altresì all’omesso esame di fatto decisivo ed alla circostanza che ‘il Giudice abbia omesso di valutare più fatti determinanti un errore motivazionale’. Benché la censura non sia espressa in modo chiaro e circostanziato, giova ricordare che l ‘esito dei giudizi di merito prospetta l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 348 ter cpc. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
Conseguentemente, quando ricorre la predetta ipotesi, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 3, n. 26924 del 20 settembre 2023; Sez. 3, n. 5947 del 28 febbraio 2023). Nel ricorso, manca qualunque accenno in tal senso.
Al rigetto del ricorso consegue la statuizione sulle spese di lite, che seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Va dato atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il COGNOME e la COGNOME, in via solidale, a rifondere a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 3.500 (tremila/500) per compenso, oltre ad I.V.A., c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto che a carico del COGNOME e della COGNOME ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 10 ottobre 2024.