Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14742 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6054/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente –
nonché contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 8051/2021 depositata il 17/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME Sesto e COGNOME NOME agivano in giudizio nei confronti del Centro Sociale Polivalente di Casalpalocco e il Comune di Roma, chiedendo: a) dichiararsi cessato il comodato concluso tra la RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Roma relativamente al l’appezzamento di terreno con sovrastanti due capannoni, ad un piano in prefabbricato, attualmente distinti al NCT al foglio 1194, particelle 2068, 2069 e 7294, costruiti prima del 1960 dalla RAGIONE_SOCIALE, e concessi in ‘comodato’ al Comune quali sedi scolastich e provvisorie; b) in via subordinata, accertarsi la proprietà dei ricorrenti e l’assenza di giusto titolo alla detenzione da parte dei convenuti; c) in entrambi i casi, condannarsi i convenuti al rilascio, nonché al risarcimento del danno da determinarsi in separato giudizio.
Si costituiva in giudizio il solo RAGIONE_SOCIALE eccependo il giudicato a seguito della sentenza n. 6762/05 della Suprema Corte di Cassazione in data 31/3/2005 che, confermando una precedente pronuncia della Corte d’Appello di Roma, aveva integralmente rigettato le medesime domande formulate dai ricorrenti, accertando, tra l’altro, l’inesistenza del dedotto contratto di comodato. In via subordinata riconvenzionale, la parte
Ric. 2022 n. 6054 sez. S2 – ad. 20/05/2025
convenuta domandava accertarsi l’intervenuta usucapione dell’area in contestazione per il possesso ventennale uti dominus o, in ulteriore subordine, il riconoscimento in favore dello stesso CSP del diritto al rimborso della somma di € 200.000,00, o la diversa somma ritenuta di giustizia, per le opere di manutenzione straordinaria e le migliorie, medio tempore apportate all’immobi le.
Si costituiva successivamente anche il Comune di Roma Capitale che, eccepiva l’irritualità della notifica del ricorso e otteneva la rimessione in termini per la propria difesa processuale, nonché il rinnovo dell’istruttoria già espletata .
Nel corso del giudizio decedeva il ricorrente sig. NOME COGNOME e gli eredi, costituitisi volontariamente, proseguivano autonomamente nel processo
Il Tribunale di Roma rigettava tutte le domande promosse dai ricorrenti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, n.p. di eredi di COGNOME; rigettava la domanda riconvenzionale promossa dal Centro Sociale Polivalente di Casalpalocco (CSP).
COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, anche quali eredi legittimi del defunto COGNOME Sesto, proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
Resisteva il Centro Sociale Polivalente di Casalpalocco, che oltre a contestare i motivi di impugnazione articolati dalla controparte, proponeva appello incidentale, chiedendo l’accoglimento del la domanda riconvenzionale svolta in via subordinata nel giudizio di I° grado di condanna degli appellanti in solido al pagamento in favore del CSP della somma di €
190.869,95, o il diverso importo ritenuto di giustizia, oltre interessi dagli esborsi al saldo ex art. 1808, 2° co. e art. 2041 c.c..
Resisteva al gravame anche Roma Capitale chiedendone il rigetto.
La Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione. In primo luogo, il giudice del gravame evidenziava che la “volontà di obbligarsi della P.A. non poteva desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ” ad substantiam “, e dunque la circostanza che il Comune di Roma avesse avuto la disponibilità dei capannoni non era idonea a surrogare l’inosservanza della forma scritta. Quanto al secondo motivo, premessa la qualificazione della domanda degli appellanti principali come azione di rivendica e non di restituzione, non era stata fornita la prova rigorosa della proprietà, necessaria per l’accoglimento dell a domanda, non avendo dimostrato di poter risalire a un acquisto a titolo originario ovvero di avere posseduto (direttamente o sommando il proprio possesso a quello della sua dante causa per effetto dell’accessione o successione del possesso ex art. 1146 c.c.) per il tempo necessario al compimento dell’usucapione.
L’acquisto a titolo contrattuale fatto valere dagli appellanti provava soltanto l’esistenza di un atto di trasmissione del diritto di cui era titolare il dante causa. Poiché nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet , il rivendicante che esibisca un titolo derivativo non dimostra di essere effettivamente proprietario, ma solo di avere ricevuto la legittimazione a possedere che era vantata dal suo predecessore. Mancando la prova della proprietà nei termini sopra indicati, la domanda di rivendica doveva essere
rigettata. Né poteva ritenersi che il rigore probatorio si fosse attenuato da ammissioni del convenuto in rivendicazione, poiché nella specie non risultava che quest’ultimo fosse avente causa dello stesso soggetto da cui gli attori avevano derivato il loro diritto. Si doveva, dunque, concludere che gli attori in rivendicazione non avevano fornito la prova della proprietà dell’area in questione con il rigore della cosiddetta probatio diabolica .
La Corte d’Appello riteneva assorbito il terzo motivo di gravame e l’appello incidentale vertente sull’esistenza del giudicato mentre rigettava l’appello incidentale relativo alla richiesta di pagamento per le opere di manutenzione straordinaria.
COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso
Il Centro Sociale Polivalente di INDIRIZZO e Roma Capitale hanno rispettivamente resistito con controricorso.
I ricorrenti e il Centro RAGIONE_SOCIALE di Casalpalocco con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione degli artt. 2697, 948 e 1146 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
La censura è sintetizzata dallo stesso ricorrente come violazione delle norme e dei principi in tema di onere della prova nell’azione di rivendicazione con particolare riferimento all’ipotesi in cui il convenuto in rivendica non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa. Nella
specie mancata contestazione dell’a cquisto in regime di comunione legale, con contratto del 26/1/1994, dalla Liquidazione concordatizia dei beni della Società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi anche SGI) tutte le aree che erano rimaste in proprietà della società, facenti parte del comprensorio di Casalpalocco, e che detto acquisto era stato reiterato e rettificato con successivo contratto del 5/5/2003; che tra le aree acquistate risultava compreso l’appezzamento di terreno con sovrastanti due capannoni, ad un piano in prefabbricato, attualmente distinti al NCT al foglio 1194, particell 2068, 2069 e 7294, che, costruiti prima del 1960 dalla RAGIONE_SOCIALE, erano stati concessi in ‘comodato’ al Comune di Roma, quali sedi scolastiche.
Sarebbe evidente, secondo parte ricorrente, come fosse pacifico in causa che le aree oggetto del giudizio appartenessero in origine alla Società Generale Immobiliare s.p.a. e che, pertanto, comune fosse il dante causa nelle prospettazioni delle parti stesse e che, in ordine alla domanda di rivendica, non entrava affatto in gioco il profilo della probatio diabolica dovendosi esclusivamente verificare se il titolo di acquisto dei sigg. COGNOME e COGNOME fosse ‘paralizzato’ per essere state le aree oggetto di c ausa già precedentemente trasferite al Comune di Roma in forza dell’art. 3 della citata Convenzione del 1960 (come eccepito dal Comune medesimo) o, del tutto, acquisite per usucapione dal Centro Sociale Polivalente.
Il Comune di Roma deduceva di aver acquisito le aree per cui è causa per essere state cedute gratuitamente dalla SGI (in forza della più volte menzionata Convenzione del 1960). In base a tale contenuto delle domande e delle difese delle parti appare evidente
l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte di Appello laddove ha ritenuto, per escludere l’attenuazione del rigore probatorio, di poter valorizzare la circostanza che ‘il convenuto in rivendicazione … non risulta … si sia presentato quale avente causa d ello stesso soggetto da cui gli attori hanno derivato il loro diritto.
1.1 Il motivo è infondato.
Questa Corte ha delineato i limiti entro i quali può trovare applicazione il principio del l’attenuazione dell’onere probatorio di chi agisce in rivendica. Si è detto che il rivendicante deve provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere.
Nella specie non vi è stato alcun riconoscimento dell’appartenenza del bene al rivendicante e tantomeno ai suoi aventi causa. A riprova di ciò basti citare il lungo contenzioso che ha visto contrapposto il Comune di Roma, il Centro sociale polivalente di Casalpalocco e l’originario attore di questo giudizio poi proseguito dai suoi eredi.
COGNOME, infatti, nel 1997 aveva convenuto il Comune di Roma al fine di sentirlo condannare al rilascio dei medesimi beni rispetto ai quali ha nuovamente agito nel presente giudizio e, già in quella sede, aveva sostenuto che gli immobili, a suo tempo
concessi in comodato all’ente territoriale dalla precedente proprietaria “RAGIONE_SOCIALE, gli erano stati poi da quella venduti con atto pubblico del 26.1.1994.
In quel giudizio era pacifica la contestazione da parte del Comune della proprietà vantata dall’attore e con sentenza passata in giudicato si era affermato che Sesto Corvini non aveva provato la proprietà dei beni dei quali allora chiedeva la restituzione e per i quali ha nuovamente agito in rivendica data l’accertata inesistenza o nullità del contratto di comodato nuovamente dedotto anche in questo giudizio.
In sostanza, il Comune non ha mai riconosciuto la proprietà del bene in capo alla Società RAGIONE_SOCIALE asserita dante causa del COGNOME e sin dal precedente giudizio ha sempre affermato la sua proprietà in ragione della convenzione di lottizzazione e della delibera del Consiglio Comunale n. 22 del 27/28 gennaio 1987 e della successiva deliberazione della Giunta Comunale n. 388 del 14.4.2000.
Peraltro, non può sottacersi che la Corte d’Appello ha ritenuto non provata la domanda di rivendica dichiarando assorbita l’eccezione di giudicato formulata dal Comune rispetto al precedente giudizio avente ad oggetto la medesima causa petendi e il medesimo petitum .
Tale eccezione è manifestamente fondata in quanto la domanda proposta in quel giudizio è perfettamente sovrapponibile a quella proposta dalla medesima parte nel presente giudizio. Pertanto, il passaggio in giudicato della sentenza che ha rigettato la domanda proposta dal medesimo ricorrente di restituzione dei medesimi beni per mancanza di prova della sua proprietà preclude
la riproposizione della medesima domanda anche se qualificata come di rivendica, tanto più che aveva ancora una volta ad oggetto principalmente l’asserita esistenza di un contratto di comodato esistente tra il Comune e la società dante causa della parte attrice oggi ricorrente.
Infatti, come si è detto, in tema di efficacia vincolante del giudicato, il mutamento della prospettazione giuridica tra due domande (che nella specie neanche sembra esserci stato), aventi alla base lo stesso fatto costitutivo della pretesa, è irrilevante ai fini della loro qualificazione in termini di diversità, con la conseguenza che è precluso al giudice il riesame dell’identico punto di diritto già accertato e risolto in via definitiva, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo giudizio.
Dunque, il giudicato ha efficacia nel successivo giudizio anche nel caso in cui il petitum di questo sia solo apparentemente diverso dal primo, se sia rimessa in discussione -tra le medesime parti una situazione soggettiva già accertata in concreto con autorità di cosa giudicata nel primo giudizio.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida per ognuna delle due parti controricorrenti in euro 3.500,00 più 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione