Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24736 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24736 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
Oggetto: azione di rivendicazione-
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23967/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOME E COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Salerno sono elettivamente domiciliati.
-ricorrenti –
NOME COGNOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Salerno sono elettivamente domiciliati.
-controricorrenti ricorrenti incidentali -contro
COGNOME NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Cetara (Salerno), INDIRIZZO.
-controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 652/2020, resa dalla Corte d’Appello di Salerno, pubblicata il 17/6/2020 e notificata alla parte il 27/7/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 maggio 2024 dalla AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 26 gennaio 2004, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, premesso di essere proprietari dell’immobile sito in INDIRIZZO, e accessori, per averlo acquistato per successione dal defunto genitore NOME, che lo aveva a sua volta acquistato all’asta pubblica con provvedimento di aggiudicazione del Tribunale Civile di Salerno del 12 giugno 1936, esposero che il loro dante causa, onde evitare che i familiari della fidanzata NOME COGNOME (Apicella AVV_NOTAIOntonia NOME COGNOME), rimanessero senza abitazione, lo aveva concesso in comodato a questi ultimi e a NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME. Convennero quindi in giudizio i fratelli NOME e NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME e la moglie NOME COGNOME, lamentando che i primi, assumendo di avere posseduto pacificamente e continuativamente i predetti beni, li avevano venduti, con atto del 20/11/2000, al cognato NOME COGNOME, che li aveva acquistati in regime di comunione legale con la moglie NOME COGNOME; rivendicarono perciò i predetti beni e chiesero la condanna dei convenuti alla loro immediata restituzione e riconsegna nonchè al risarcimento dei danni, oltre alla declaratoria di nullità ed inefficacia dell’atto pubblico, per avere il COGNOME acquistato il bene a non domino .
Costituitisi in giudizio, i convenuti NOME e NOME COGNOME eccepirono l’inammissibilità della domanda per difetto di
legittimazione attiva e di titolo e proposero domanda riconvenzionale di usucapione, chiedendo altresì la declaratoria di legittimità dell’atto del 20 novembre 2000.
Si costituirono, altresì, NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo anch’essi la mancanza di legittimazione attiva degli attori in quanto non erano mai stati i proprietari dell’immobile, essendo tali da sempre i propri venditori, e proponendo, in subordine, domanda riconvenzionale nei confronti di questi ultimi perché fossero tenuti a garantire l’evizione e fossero condannati alla restituzione del prezzo di vendita. Chiesero altresì che gli attori venissero condannati al pagamento dell’aumento di valore dell’immobile e, quantomeno, al rimborso delle spese.
Con sentenza n. 3883/2014, il Tribunale di Salerno, in accoglimento della domanda, dichiarò gli attori proprietari del compendio immobiliare e condannò i convenuti al suo rilascio; rigettò la domanda riconvenzionale di usucapione, dichiarò inefficace nei confronti degli attori l’atto pubblico del 20 novembre 2000, rigettò la domanda riconvenzionale proposta da COGNOME e COGNOME NOME e dichiarò, infine, il diritto degli attori ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’occupazione del compendio immobiliare da liquidarsi in separata sede.
I convenuti impugnarono davanti alla Corte d’Appello di Salerno la predetta sentenza con distinti gravami, incardinando un giudizio che, nella resistenza dei COGNOME, si concluse con la sentenza n. 652/2020, pubblicata il 17 giugno 2020, con la quale la Corte salernitana rigettò l’appello proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME e accolse parzialmente quello proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME e, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, condannò COGNOME NOME e COGNOME NOME alla restituzione del prezzo versato dagli acquirenti per l’acquisto dell’immobile con atto del 20 novembre 2000, osservando – per
quanto qui interessa – che gli attori avevano dimostrato l’acquisto della proprietà del bene da parte del loro dante causa in seguito ad atto di aggiudicazione nel 1936 nell’ambito del procedimento di espropriazione immobiliare a carico di COGNOME NOME e NOME e COGNOME NOME, fu NOME, debitori espropriati, e la coincidenza del relativo bene con quello descritto nell’atto pubblico del 2000; che i fratelli COGNOME si erano illegittimamente dichiarati proprietari dell’immobile e l’avevano venduto al cognato NOME COGNOME e alla sorella NOME COGNOME e che il gravame andava accolto limitatamente alla mancata condanna dei primi alla restituzione del prezzo, mentre nulla doveva essere disposto in relazione ai costi sostenuti per la ristrutturazione del bene, in quanto i proprietari avevano diffidato gli acquirenti dallo svolgere qualunque lavoro che modificasse lo stato dei luoghi.
Contro la predetta sentenza, propongono separati ricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME (affidato a tre motivi), nonchè NOME COGNOME e NOME COGNOME (affidato a quattro motivi). I COGNOME resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso depositato da COGNOME NOME e COGNOME NOME:
1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 948 cod. civ., dell’art. 1158 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché l’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto incontestato il titolo di proprietà degli attori, costituito dall’acquisto del bene all’asta pubblica nell’ambito della procedura espropriativa instaurata nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, operato da COGNOME NOME, così ammettendo il regime probatorio attenuato dell’azione di rivendicazione, senza considerare che il
titolo era stato, invece, ampiamente contestato e che la mera intestazione catastale di un bene non può fondare l’usucapione.
Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 948 cod. civ., dell’art. 1158 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., per contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e la violazione degli artt. 116 e 132 cod. proc. civ. ed omessa e insufficiente motivazione, nullità della sentenza per motivazione apparente, per avere i giudici di merito ritenuto adeguata, ai fini della fondatezza dell’azione di rivendicazione, la prova costituita dai certificati attestanti l’intestazione catastale del bene, per avere ritenuto prevalenti le dichiarazioni dei testi di parte attrice, rispetto a quelli di parte convenuta, senza indicarne i motivi, e per avere omesso di chiarire i termini del possesso degli attori, a loro dire estrinsecatosi attraverso la dazione del bene in comodato, benché le questioni fossero state fatte oggetto dell’impugnazione.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ., la violazione di legge in merito alle regole che governano l’azione di condanna e l’onere della prova, l’illegittima e atipica rimessione in termini, l’illogicità manifesta, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per apparente motivazione, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito statuito in ordine al diritto degli attori al risarcimento del danno, disponendone la liquidazione in separata sede, così da agevolare la posizione dei predetti anche in ordine alle decadenze, e, comunque, mancato di considerare che il danno da occupazione non è in re ipsa , ma deve essere provato.
Ricorso depositato da COGNOME NOME e COGNOME NOME:
Con il primo motivo di ricorso, i COGNOME lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 1140, 1146, 1158 e
2697 cod. civ., degli artt. 116 e 167 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e falsa applicazione dei principi in materia di distribuzione dell’onere della prova in tema di azioni di rivendicazione esercitata dal successore a titolo particolare in seguito alla accessio possessionis e in regime di possesso mediato, l’erroneità nell’attenuazione dell’onere della prova in favore dei rivendicante per intervenuta contestazione del titolo deAVV_NOTAIOo in giudizio e l’illegittima inversione dell’onere della prova in danno dei ricorrenti, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto sussistenti i requisiti per l’attenuazione dell’onere probatorio gravante sull’attore in rivendicazione, erroneamente reputando non contestato il titolo vantato dall’originario proprietario e sostanzialmente invertendo l’onere probatorio, e per avere ritenuto che l’immobile fosse stato posseduto continuativamente da NOME COGNOME e poi dai suoi successori per effetto dell’ accessio possessionis , senza considerare che la disciplina di questo istituto postula, a differenza della successio possessionis , la prova della identità e del mantenimento della relazione possessoria esercitata dal de cuius .
2. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 1140, 1146, 1158 e 2697 cod. civ., degli artt. 116 e 167 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e falsa applicazione dei principi in materia di distribuzione dell’onere della prova in tema di azioni di rivendicazione esercitata dal successore a titolo particolare in seguito alla accessio possessionis e in regime di possesso mediato, l’erroneità nell’attenuazione dell’onere della prova in favore dei rivendicante per intervenuta contestazione del titolo deAVV_NOTAIOo in giudizio ed illegittima inversione dell’onere della prova in danno dei ricorrenti, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che l’acquisizione del compendio immobiliare in
favore dei COGNOME risultava provata dai tre certificati ipocatastali e dalle note di trascrizione, senza considerare che, in tema di rivendicazione, la base primaria dell’indagine è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli di acquisto e dalla dimostrazione dell’acquisto a titolo originario , anche risalendo ai propri danti causa ovvero dall’assenza di contestazioni sul tema da parte del convenuto, senza che sia sufficiente la dimostrazione della continuità delle risultanze catastali e ipotecarie, trattandosi di forme di pubblicità prive di effetti costitutivi sulla titolarità del diritto dominicale, o la denuncia di successione, avente valenza meramente fiscale, o l’intestazione delle utenze di luce e acqua e le denunce Ici, siccome aventi valenza meramente dichiarativa, ma non probatoria della invocata accessio possessionis . Peraltro, ad avviso dei ricorrenti, detta documentazione non era neppure idonea a dimostrare la configurabilità di un rapporto di comodato coltivato in regime di ultrattività tra gli eredi COGNOME e i pretesi inquilini, mentre la proAVV_NOTAIOa scheda della RAGIONE_SOCIALE, avente efficacia meramente dichiarativa, era idonea ad attestare che il bene era di proprietà del solo NOME COGNOME e che lo stesso era detenuto in uso da COGNOME NOME, quale detentore, mentre la dichiarazione di successione era inidonea a dimostrare il subentro degli eredi animo domini negli immobili rivendicati attraverso i comodatari COGNOMECOGNOME, mantenendo la medesima posizione giuridica del dante causa.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 1146, 2697, 2727 e 2729 cod. civ., 116 cod. proc. civ., con riferimento all’erronea verifica giudiziale del titolo e alla inidoneità probatoria delle presunzioni deAVV_NOTAIOe in giudizio, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito accolto la domanda di risarcimento dei danni da
abusiva occupazione del bene, rinviando ad altra causa la sua liquidazione, senza considerare il principio di unitarietà e inscindibilità del danno da occupazione sine titulo , il quale non può ritenersi sussistente in re ipsa e non può esonerare la parte dalla relativa deduzione e prova, quand’anche mediante presunzioni semplici.
Con il quarto motivo di ricorso, infine, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 cod. civ., 112, 278 cod. proc. civ., 23 Cost., nonché vizio di ultra-petizione con riferimento alla statuizione di condanna al risarcimento del danno da occupazione illegittima del compendio immobiliare, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito rigettato la domanda di condanna degli attori al pagamento dell’indennità, pari all’aumento di valore del bene o comunque al rimborso delle spese all’uopo sostenute, proposta in via subordinata, per essere stati essi diffidati dall’eseguire qualsivoglia opera modificativa dello stato dei luoghi, così demandando ad una diffida stragiudiziale e ad un atto di autonomia privata il potere di escludere la cogenza di una norma, avente carattere eccezionale e inderogabile, che consente al possessore, anche se in mala fede, il diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie, nonché all’indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa.
Rileva preliminarmente il Collegio che il ricorso proposto dagli acquirenti COGNOME deve essere qualificato come ricorso incidentale, perchè successivo a quello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, al quale deve, peraltro, essere riunito (ai sensi dell’art. 335 cpc) .
Venendo al merito, occorre analizzare previamente il secondo motivo del ricorso principale e il primo e secondo di quello incidentale, in quanto vertenti entrambi sul contenuto della prova necessaria per l’accoglimento della domanda di rivendicazione.
Essi sono fondati per quanto di ragione.
L’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi, atteso che l’attore, mentre con la prima, di carattere reale, assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà, con la seconda, di natura personale, l’attore tende ad ottenere esclusivamente la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell’avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa (Cass., Sez. 2, 12/10/2000, n. 13605).
Costituisce discrimine tra le due azioni, dunque, il fatto che nel primo caso l’attore chiede che sia accertata la natura abusiva dell’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico originariamente idoneo a giustificare la consegna della cosa e la relazione di fatto tra questa ed il medesimo convenuto, mentre nel secondo caso la domanda è diretta ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire un bene in precedenza volontariamente trasmesso dall’attore al convenuto, in forza di negozi giuridici (tra i quali la locazione, il comodato ed il deposito) che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario (Cass., Sez. 3, 23/6/2023, n. 18050; Cass., Sez. 2, 10/10/2018, n. 25052).
Soltanto il mancato ricollegamento della pretesa ad un negozio giuridico, originariamente idoneo a giustificare la consegna della cosa e la relazione di fatto tra questa ed il medesimo convenuto, e, dunque, ad un titolo anche originario impone di qualificare l’azione
in termini di rivendicazione, per il cui accoglimento è necessaria la probatio diabolica della titolarità del diritto di chi agisce (Cass., Sez. 2, 10/10/2018, n. 25052), ma non anche nel caso di azione personale, sebbene spetti poi a colui che intende ottenere il rilascio del bene scegliere se avvalersi, a tale fine, dell’azione di rivendica o di quella contrattuale, senza che il giudice possa mutare ex officio il titolo della pretesa, dovendo la controversia essere decisa con esclusivo riferimento al titolo deAVV_NOTAIOo dall’interessato (Cass., Sez. 2, 5/2/2013, n. 2726).
Orbene, i giudici di merito, con accertamento divenuto definitivo perché non impugnato, hanno qualificato l’azione proposta nella specie dagli eredi di COGNOME NOME in termini di rivendicazione.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere. Per contro, la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui “dies a quo” sia successivo al titolo del
rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore (tra le varie, Sez. 2 – , Sentenza n. 28865 del 19/10/2021).
Tornando al caso si specie, i giudici di merito, dopo avere richiamato i principi in tema di revindica e i casi di attenuazione dell’onere probatorio , hanno ritenuto sufficiente, al fine di reputare fondata la domanda di rivendicazione, il titolo del 1936 e l’avvenuta produzione di tre certificati ipocatastali e della nota di trascrizione in favore di NOME COGNOME, affidando la valutazione del requisito del possesso di quest’ultimo e dei suoi eredi alla laconica considerazione secondo cui ‘ l’immobile oggetto di causa era stato posseduto continuativamente dal NOME COGNOME e poi dagli attori, odierni appellati. Tutti gli elementi confermano la ricostruzione prospettata dagli attori, i quali hanno fornito piena prova della titolarità del diritto di proprietà degli immobili oggetto di rivendica, andato indietro nel tempo fino al 1936 e, quindi, molto al di là del ventennio necessario per l’acquisto a titolo originario e hanno dimostrato di aver continuativamente posseduto l’immobile, con il compimento dell’usucapione, per effetto dell’ accessio possessionis’, oltre a considerare, quale elemento ulteriore, che era rimasta completamente ‘ sfornita la prova dell’usucapione da parte dei convenuti ‘.
Così facendo però, hanno erroneamente riconAVV_NOTAIOo il possesso degli attori/appellati (successori mortis causa dell’originario proprietario ) all’istituto della accessio possessionis ex art. 1146, secondo comma, cod. civ., anziché a quello della successio possessionis ,
previsto dal primo comma della medesima disposizione, che, rispondendo al principio della continuità nel possesso tra il de cuius e l’erede, riconosce, per effetto di una fictio iuris , il trasferimento a quest’ultimo del possesso del primo, con le stesse caratteristiche (di buona o mala fede, in assenza o presenza di vizi), pur in assenza della materiale apprensione dei beni ereditari, imponendo all’avente causa esclusivamente di dimostrare la sua qualità di erede (Cass., Sez. 2, 20/7/2011, n. 15967; Cass., Sez. 2, 26/5/1998, n. 5221; Cass., Sez. 2, 11/9/2000, n. 11914; Cass., Sez. 2, 11/12/1981, n. 6552).
Inoltre, pur in presenza di una chiara contestazione, da parte dei convenuti, del titolo vantato, contestazione riportata peraltro nella stessa sentenza (ove si dà atto della contestazione della legittimazione e dell’assenza del titolo) , hanno reso una motivazione apparente (v. SU n. 2767/2023 e altre ivi richiamate sul concetto di motivazione apparente) in ordine al possesso esercitato dal medesimo de cuius e dai suoi aventi causa, non avendo in alcun modo reso percepibili le ragioni per le quali lo hanno ritenuto sussistente, specie a fronte di una chiara deduzione degli attori , che, sconfessando proprio quell’assunto, aveva evidenziato come NOME COGNOME, una volta aggiudicatosi all’asta l’immobile nel 1936, lo avesse subito consegnato ai familiari della fidanzata, divenuta sua moglie, circostanza questa che avrebbe imposto quantomeno di valutare a che titolo il predetto ne avesse perso la disponibilità o a che titolo ne avesse concesso l’uso.
Di tale necessario accertamento non c’è traccia, non bastando la mera affermazione degli attori in ordine all’esistenza di un comodato precario, stante appunto la drastica contestazione della controparte.
Nessuna rilevanza può del resto assumere l’ulteriore considerazione, erroneamente riportata come correlata alla dimostrazione di quella circostanza, della mancata dimostrazione del possesso ad usucapionem vantato dai convenuti in riconvenzione, atteso che, essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, tenuto comunque a provare il proprio diritto anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, in assenza di una linea difensiva del convenuto che non sia disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza (Cass., Sez. 2, 19/10/2021, n. 28865 cit.).
Consegue da quanto detto l’accoglimento dei due motivi, con assorbimento delle restanti censure.
9. In conclusione, accolto il secondo motivo di ricorso principale (COGNOME NOME e COGNOME NOME) e il primo e secondo di ricorso incidentale (COGNOME NOME e COGNOME NOME), la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, che, in diversa composizione, dovrà rimediare alle riscontrate lacune motivazionali e, all’esito, statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso principale, nonchè il primo e secondo motivo di ricorso incidentale; assorbiti tutti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23/5/2024 e, a seguito di riconvocazione, il 6/9/2024.
Il Presidente
NOME COGNOME