Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4598 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4598 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11094/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende.
–
ricorrente – contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in RomaINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL)
–
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 2830/2020 depositata il 02/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
Con ricorso ex art. 447 bis cod. proc. civ. depositato il 25.8.2015, COGNOME NOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vicenza COGNOME NOME per sentirlo condannare al rilascio dell’immobile da lui occupato sine titulo in seguito al decorso del termine ex art. 999 cod. civ.
In particolare allegava: che era proprietario pro indiviso con il fratello COGNOME NOME dell’immobile sito in Gambellara, acquistato per la nuda proprietà dalla Chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo di Gambellara, di cui era usufruttuaria COGNOME NOME; che l’usufruttuaria aveva concesso in locazione a COGNOME NOME l’immobile in oggetto e nel 1996 aveva inoltre intrapreso una causa volta a far accertare l’avvenuto acquisto per usucapione del diritto di proprietà relativamente allo stesso compendio immobiliare ed a far dichiarare la nullità del contratto di compravendita concluso tra la parrocchia di Gambellara e COGNOME NOME e NOME, giudizio in cui era intervenuto ad adiuvandum COGNOME NOME; che il giudizio, in cui nel 1999, a seguito della morte della COGNOME era subentrata la di lei erede COGNOME NOME e, dopo il decesso anche di costei, la figlia COGNOME NOME, si era concluso con la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, divenuta definitiva in data 25 febbraio 2011, dopo che la Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, con il rigetto di tutte le domande proposte dalla parte
attrice; che a seguito del decesso della COGNOME, in data 23 febbraio 1999, esso ricorrente ed il di lui fratello NOME erano divenuti comproprietari dell’immobile; che il menzionato rapporto di locazione era venuto a cessare, ai sensi dell’art. 999 cod. civ., dopo il periodo di cinque anni dalla morte del usufruttuaria; che tuttavia COGNOME NOME non aveva rilasciato la casa di abitazione, che continuava ad occupare senza averne titolo e senza pagare il canone di locazione.
Si costituiva COGNOME NOME, contestando in via riconvenzionale la domanda attorea sotto il profilo della titolarità del diritto di proprietà ed eccependo inoltre la prescrizione ex art. 2946 cod. civ. dell’azione personale di rilascio.
1.1 Con sentenza dell’1°/08/2018 il Tribunale di Vicenza: accertava e dichiarava che il contratto di locazione originariamente stipulato tra la locatrice COGNOME NOME ed il conduttore COGNOME NOME in data 01.12.1981, registrato e successivamente prorogato fino al 30.11.1994, integrato con scrittura privata registrata il 22.12.1994, al n. NUMERO_DOCUMENTO, ed ulteriormente prorogato fino al 30.11.2006, avente ad oggetto il fabbricato ad uso abitazione sito nel Comune di Gambellara, era venuto a cessare in data 23.2.1999 e che, conseguentemente, COGNOME NOME lo occupava senza averne più titolo; condannava il resistente COGNOME NOME a rilasciare immediatamente il bene immobile, libero da persone e cose; dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale; condannava il resistente COGNOME NOME al risarcimento dei danni per occupazione senza titolo a far data dal 23.02.1999, da liquidarsi in separato giudizio; condannava il resistente alla rifusione in favore del ricorrente COGNOME NOME delle spese di lite.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME proponeva appello avanti alla Corte d’Appello di Venezia.
Si costituiva resistendo COGNOME NOME.
2.1. Con sentenza n. n.2830/2020, pubblicata il 2 febbraio 2021 o il 09.02.2021 e notificata in data 11.02.2021 la Corte d’Appello di Venezia accoglieva l’appello per quanto di ragione e per l’effetto accertava l’intervenuta prescrizione, per decorso del termine decennale, dell’azione personale di rilascio dell’immobile del locatore COGNOME NOME contro il detentore/possessore COGNOME NOME.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la corte di merito non ha considerato che egli non poteva agire in giudizio per il rilascio dell’immobile prima della decisione della causa presupposta, inerente l’accertamento del diritto di proprietà del citato immobile a favore dell’usufruttuaria COGNOME NOME e dei suoi eredi per intervenuta usucapione ventennale, e che in ogni caso l’esistenza di tale giudizio aveva determinato un effetto sospensivo della prescrizione.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la corte di merito ha erroneamente dichiarato la prescrizione del diritto al ricorrente, sulla base dell’erroneo rilievo che il COGNOME NOME avrebbe introdotto l’azione personale con ricorso depositato per la prima volta in data 28 maggio 2015, mentre risulta pacifico e documentalmente provato che l’attuale ricorrente già con precedente ricorso n. 605/2000 RG. aveva convenuto in giudizio COGNOME NOME avanti il Tribunale di Vicenza, affinché fosse dichiarata la risoluzione del contratto di locazione da lui stipulato con la COGNOME NOME.
Ribadisce che la corte territoriale non ha considerato il fatto relativo alla sospensione del precedente procedimento da parte del Tribunale ex art. 295 cod. proc. civ. <>, attesa la <> e la <>.
L’esame di questi fatti avrebbe indubbiamente portato alla declaratoria di infondatezza dell’eccezione di prescrizione.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la sentenza impugnata ha omesso di considerare le allegazioni delle parti ed i documenti prodotti; in particolare non sarebbe stato esaminato né il precedente ricorso n. 605/2000 RG., con cui COGNOME NOME e COGNOME NOME
avevano convenuto in giudizio COGNOME NOME avanti il Tribunale di Vicenza, affinché fosse dichiarata la risoluzione del contratto di locazione da lui stipulato con COGNOME NOME, né la successiva ordinanza del Tribunale di Vicenza del 13 gennaio 2006 di sospensione di tale giudizio ex art. 295 cod. proc. civ., né la memoria di costituzione del 15 ottobre 2015, con cui COGNOME NOME ha riconosciuto che <>’, né infine l’ordinanza n. 3074 del 25 febbraio 2011, con cui la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso promosso da COGNOME NOME, confermando così che COGNOME NOME era unico proprietario dei beni per cui è causa e che conseguentemente COGNOME NOME deteneva sine titulo l’immobile.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia <>.
Deduce che l’impugnata sentenza è incorsa nella violazione del combinato disposto degli artt. 2943 e 2935 cod. civ., perché il Tribunale di Vicenza aveva sospeso il primo giudizio ex art. 295 cod. proc, civ., il che comportava necessariamente l’impossibilità di agire in giudizio prima della conclusione del giudizio presupposto/ pregiudiziale pendente davanti alla corte d’appello.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la corte di merito ha erroneamente sostenuto che COGNOME NOME avrebbe introdotto l’azione personale con ricorso depositato in primo grado in data 28 maggio 2015, in quanto lo stesso aveva in realtà proposto tale azione con il precedente ricorso n. 605/2000; pertanto l’attuale ricorrente non
poteva riproporre l’azione prima dell’estinzione del primo giudizio, intervenuta ex art. 297 cod. proc. civ. soltanto decorso il termine di tre mesi dalla definizione del giudizio di appello con l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 3074/2011.
Per effetto della litispendenza, il decorso della prescrizione coincideva con l’estinzione del primo giudizio, avvenuta solo il 25 maggio 2011, data dalla quale soltanto COGNOME NOME poteva depositare il nuovo ricorso.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia <>.
Deduce la nullità dell’impugnata sentenza ai sensi dell’art. 158 cod. proc. civ., in quanto decisa da un giudice ausiliario di appello, il quale è stato designato non solo componente del collegio della IV sezione Civile della Corte d’Appello di Venezia, ma anche relatore ed estensore della sentenza, con conseguente violazione degli artt. 97, 102 e 106 Cost.
Con il settimo motivo il ricorrente deduce <>.
Deduce che <>.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la locazione è legittimamente posta in essere da chi ha la
disponibilità del bene locato, a prescindere dalla titolarità o meno di diritti reali che quella gli assicurino (così Cass., 13/09/2018, n. 22281; Cass., 20/08/2015, n. 17030; v. anche Cass., 05/06/2019, n. 15292, secondo cui la locazione stipulata a non domino non è un contratto invalido: esso infatti non confligge con alcuna prescrizione imperativa, né l’art. 1571 c.c., include, tra i requisiti di validità del contratto, la proprietà o la disponibilità dell’oggetto da parte del locatore).
Quando un locatore (e comunque chi sia subentrato nella posizione) agisce per la risoluzione di un rapporto locativo, la legittimazione sostanziale si basa sulla posizione contrattuale e pertanto prescinde da quella dominicale che l’attore possa o non possa avere.
Ne segue che il giudizio sulla posizione dominicale non poteva avere alcun effetto pregiudicante rispetto a quello locativo e meno che mai fino al momento della formazione del giudicato su di esso sussisteva l’impossibilità di agire in giudizio del qui ricorrente spendendo la propria posizione di locatore.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei suindicati principi, espressamente e correttamente motivando che ‘la circostanza che la titolarità del diritto di proprietà di un bene immobile detenuto da terzi in base a titolo legittimo divenga controversa tra le parti ( rectius che lo fosse già i suoi danti causa, come nel caso di specie, visto che COGNOME NOME era intervenuto nel giudizio pendente), non produce alcun effetto giuridico, tantomeno di carattere sospensivo, sulla facoltà tipica, che spetta in ogni momento a colui che ne aveva legittimamente disposto a favore di terzi, di ottenere il rilascio ponendo in essere l’azione personale corrispondente’ (v. p. 7 della sentenza impugnata).
Il secondo motivo è inammissibile.
Esso indica come decisivo un fatto, la sospensione disposta
dal Tribunale di Vicenza, che, per le stesse considerazioni svolte a proposito del primo motivo, decisivo non è: che ci fosse stata la sospensione, evidentemente cessata non si sa come, è irrilevante sempre per la ragione detta a proposito del primo motivo.
Correttamente dunque la Corte di Appello di Venezia nella impugnata sentenza ha precisato che ‘COGNOME NOME non aveva alcuna necessità, né tantomeno l’obbligo giuridico n. 1563/2008, di attendere che la sentenza della Corte di Appello (causa risultata peraltro a lui favorevole) divenisse definitiva per poter procedere al rilascio dell’immobile il cui uso era stato concesso a terzi dai suoi danti causa, ma avrebbe piuttosto dovuto curarsi di esercitarla tempestivamente medio tempore e quantomeno nel termine decennale ordinario di prescrizione ex art. 2946 c.c.’ (v. pp. 7 e 8).
10. Identiche considerazioni merita il terzo motivo, non senza doversi rilevare che di tutto ciò che parte ricorrente sostiene non essere avvenuto l’esame da parte del giudice di appello, ci si astiene, in violazione dell’art. 366 n. 6, cod. proc. civ., dal dire se e dove si fosse argomentato davanti a quel giudice.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente deve indicarli in modo specifico ed assolve a tale onere allorché sia trascritto il contenuto dell’atto ovvero lo si riassuma esaustivamente, venga indicata la fase processuale in cui l’atto è stato prodotto, sia indicato il fascicolo in cui è allegato e con quale indicizzazione (Cass., 19048/2016; Cass., 14784/2015; Cass., Sez. Un., 16887/2013).
11. Il quarto motivo è parimenti infondato.
Ripropone la tesi dell’efficacia impeditiva dell’agire con l’azione di risoluzione per effetto della sospensione del primo giudizio; sospensione della quale non è dato nemmeno sapere, seppure il profilo sia invero irrilevante, la sorte.
12. Il quinto motivo è infondato.
L’assunto secondo cui vi sarebbe stata violazione dell’art. 39 e 297 cod. proc. civ. sempre sotto il profilo che, fino al decorso del termine per la riassunzione del giudizio di rinvio conseguente alla Cass. n. 3074 del 2011, parte ricorrente non avrebbe potuto introdurre l’azione -se ben si comprende per non incorrere nella litispendenza- è privo di pregio.
In sostanza, parte ricorrente parrebbe sostenere che la pendenza del giudizio poi estintosi avrebbe impedito la proposizione di un nuovo giudizio, ma ciò non è vero. La questione della litispendenza si sarebbe infatti potuta porre solo se il primo giudizio non si fosse estinto per la mancata riassunzione, che è imputabile, peraltro, anche al ricorrente (sulla necessità che le cause siano pendenti, seppure anche in diverso grado, v. Cass., Sez. Un., 12/12/2013, n. 27846).
Una volta estintosi il primo giudizio la litispendenza è cessata rispetto all’eventuale secondo giudizio tempestivamente introdotto.
Peraltro, ai sensi dell’art. 2945, comma 3, cod. civ., l’estinzione del primo giudizio determinò il venir meno dell’effetto interruttivo permanente che alla sua pendenza si ricollegava.
Il sesto motivo ed il settimo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
Sulla questione oggetto delle rispettive censure ha infatti avuto modo di pronunciarsi la Corte Costituzionale con la sentenza 17 marzo 2021, n. 41, in cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino
del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57); vale a dire, fino al 31 ottobre 2025.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza