Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2369 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 2369 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12783/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrenti –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso
Oggetto: Successioni -Azione di riduzione per lesione di legittima
R.G.N. 12783/2018
Ud. 15/11/2023 PU
lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO MILANO n. 4383/2017 depositata il 19/10/2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 15/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO , che ha concluso per la declaratoria di parziale inammissibilità del ricorso e per il rigetto nel resto;
udito per il resistente l’AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza in data 19 ottobre 2018, la Corte d’appello di Milano, nella regolare costituzione degli appellati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME ( NOME ) avverso la sentenza del Tribunale di Como n. 1714/2016 pubblicata in data 20 dicembre 2016, la quale, a propria volta, aveva integralmente disatteso le domande dei medesimi appellanti.
NOME COGNOME, infatti, aveva adito il Tribunale di Como reclamando sia la propria quota di legittima sull’eredità del padre NOME COGNOME ( Senior ), sia la quota di legittima di quest’ultimo sull’eredità della moglie (madre dell’attore) NOME COGNOME, sia i diritti ereditari, sempre del padre, sull’eredità della sorella di quest’ultimo (zia dell’attore) NOME COGNOME.
In particolare, l’attore aveva dedotto: che il proprio padre aveva effettuato in vita plurime donazioni in favore della figlia NOME COGNOME; che entrambi i genitori in vita avevano assunto gli oneri dei premi di polizze vita di cui risultavano beneficiari NOME COGNOME e NOME COGNOME (figlio di quest’ultima e di NOME COGNOME); che NOME COGNOME aveva effettuato un prelievo di € 100.000,00 dal conto corrente cointestato col padre.
NOME COGNOME; poi, aveva agito chiedendo la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni per avere, con le proprie condotte, occultato al fratello la morte del padre e, prima ancora, avergli impedito di assistere il padre morente.
Alle domande dell’attore si era associato il figlio NOME COGNOME ( NOME ), il quale, nominato erede dal nonno NOME COGNOME per la quota di ¼, dichiarava di avere interesse alla corretta ricostruzione dell’asse ereditario del nonno.
Costituitisi congiuntamente NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, contestando integralmente la fondatezza delle avverse pretese, il Tribunale di Como aveva integralmente respinto le domande degli attori.
La Corte d’appello di Milano, nel decidere il gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME ( NOME ), disattendendolo, ha osservato, in relazione ai singoli motivi di doglianza:
-che infondata era la doglianza di omessa pronuncia sulla domanda formulata da NOME COGNOME ( NOME ), dovendosi ritenere quest’ultima respinta per effetto del rigetto delle domande di NOME COGNOME;
-che correttamente il giudice di prime cure aveva dichiarato inammissibile la domanda di riduzione, in quanto, essendo
stata proposta tale domanda anche nei confronti di NOME COGNOME, il quale non era coerede, ed essendo invece NOME COGNOME chiamato all’eredità paterna per la quota di ¼ unitamente alla sorella, la domanda avrebbe presupposto la preventiva accettazione con beneficio di inventario;
-che la domanda di riduzione proposta nei confronti della coerede NOME COGNOME risultava invece infondata in quanto l’appellante non aveva in alcun modo argomentato ‘in merito alla cronologia delle donazioni, ovvero l’insufficienza della donazione più recente in favore del soggetto non coerede (…)’ ;
-che parimenti corretta era la statuizione del Tribunale in ordine alla collazione, postulando quest’ultima una domanda di scioglimento della comunione ereditaria che, nella specie, non era stata formulata;
-che tali conclusioni valevano anche ad assorbire le doglianze degli appellanti in ordine alle valutazioni espresse dal Tribunale sull’assenza di adeguata prova delle dedotte donazioni ed operazioni di intestazione fittizia;
-che parimenti condivisibile era la conclusione raggiunta dal Tribunale in ordine al carattere fittizio della cointestazione del conto corrente;
-che, infine, quanto alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per avere NOME COGNOME ostacolato i rapporti dell’attore con i genitori, che tali condotte erano state del tutto genericamente dedotte, anche alla luce della
volontà, espressa in vita dai genitori dell’attore, di non avere più rapporti con il figlio.
Per la cassazione della sentenza della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorrono ora NOME COGNOME e NOME COGNOME ( NOME ).
Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a undici motivi.
2 .1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. nonché degli artt. 2, 29, 31 e 32 Cost. in relazione alla domanda risarcitoria nei confronti di NOME COGNOME.
Deduce il ricorso che erroneamente la Corte territoriale avrebbe disatteso tale domanda, peraltro non ammettendo i capitoli di prova orale e non valutando le produzioni documentali, nonostante le condotte dedotte siano idonee a generare un danno non patrimoniale.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme
regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame, si osserva che il motivo di ricorso non individua nel concreto alcuna affermazione della Corte d’appello che venga ad integrare effettivamente un vizio riconducibile all’art. 360, n. 3), c.p.c. , dovendosi rilevare che la Corte ambrosiana non risulta aver in alcun modo escluso che in linea generale condotte come quelle lamentate dai ricorrenti possano determinare un danno non patrimoniale, ma si è limitata a rilevare che nello specifico dette condotte erano state dedotte in via del tutto generica e quindi inadeguata, e ciò a maggior ragione tenendo conto di elementi ritenuti idonei a provare che i genitori di NOME e di NOME COGNOME avevano palesato la volontà di non avere rapporti con il figlio.
Il motivo di ricorso, quindi, esonda -ed il suo sviluppo complessivo evidenzia in modo univoco tale vizio – in un inammissibile sindacato della valutazione delle prove operata dalla Corte d’Appello, ponendosi in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Come questa Corte ha più volte sottolineato (Cass. Sez. 2 Sentenza n. 11176 del 08/05/2017), compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass., Sez. 3, n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile, cosa che nel caso di specie è dato riscontrare.
3.1 . Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 183 e 184 c.p.c.
Sempre in relazione alla domanda risarcitoria nei confronti di NOME COGNOME, i ricorrenti censurano la sentenza della Corte ambrosiana nella parte in cui la stessa ha ritenuto inammissibili le richieste istruttorie, evidenziando peraltro che le circostanze non erano state oggetto di contestazione da parte della controricorrente
3.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, oltre a non individuare in alcun modo quale violazione o falsa applicazione degli artt. 183 e 184 c.p.c. si sarebbe verificata nel corso del giudizio di appello, omette di investire la ratio della decisione impugnata, la quale ha invece evidenziato la genericità delle stesse allegazioni svolte dagli odierni ricorrenti in ordine alla condotta illecita da essi lamentata ed ha, in secondo luogo, ritenuto di ravvisare un elemento esplicativo dei fatti denunciati nella volontà degli stessi genitori delle parti.
Quanto alle ulteriori deduzioni oggetto di sviluppo nell’illustrazione del motivo -e cioè l’omesso esame di fatto decisivo e la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’applicazione del principio di non contestazione, si deve osservare che:
-essendo stato instaurato il giudizio di appello con citazione del 23 gennaio 2017, la censura ricondotta all’art. 360, n. 5), c.p.c. è inammissibile, trovando applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del
06/08/2019; Cass. Sez. 1 -Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
-quanto alle doglianze concernenti l’applicazione della regola di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., opera il principio per cui spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c., produce l’effetto della relevatio ab onere probandi (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
Rilievi, questi, che valgono ad evidenziare l’inammissibilità anche di tali profili, non senza rilevare, ulteriormente, che, essendo dedotta una non contestazione cristallizzatasi nel giudizio di prime cure, sarebbe stato onere degli odierni ricorrenti formulare, in sede di gravame innanzi alla Corte d’appello, uno specifico motivo di doglianza relativo alla violazione dell’art. 115 c.p.c. , motivo che invece non risulta essere stato formulato.
4.1 . Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., la nullità della sentenza ‘per non essersi pronunciati sia il Tribunale sia la Corte d’appello sulla domanda effettuata da RAGIONE_SOCIALE e, infatti, nel giudizio di primo grado il ricorrente non è citato in alcuna parte della parte motiva e nel giudizio di secondo grado la Corte si limita a affermare che sulla domanda vi è stata pronuncia per relationem’ .
4.2. Il motivo è infondato.
Come rammentato anche nella decisione impugnata -richiamando la decisione di prime cure –NOME COGNOME (NOME) ha agito unitamente al genitore, invocando la propria veste di erede testamentario e deducendo il proprio interesse alla corretta ricostruzione dell’asse ereditario.
Correttamente, quindi, la Corte d’appello ha rilevato che il rigetto delle domande NOME COGNOME veniva a comportare proprio quella corretta definizione dell’asse ereditario cui il ricorrente dichiarava di avere interesse, senza che, a tal fine, occorresse un’autonoma statuizione sul punto, non avendo la stessa domanda effettiva autonomia.
Appare opportuno, a questo punto, esaminare preliminarmente i motivi ottavo e nono.
6.1. Con l’ottavo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione ed errata applicazione dell’art. 564 c.c.
Argomenta il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto applicabile l’art. 564 c.c. in quanto egli, dal momento che il de cuius si era spogliato in vita del proprio patrimonio con donazioni, doveva essere considerato legittimario integralmente pretermesso.
6.2. Il motivo è privo di pregio.
Giova rammentare che la declaratoria di inammissibilità ex art. 564 c.c. dell’azione di riduzione per lesione di legittima è stata adottata sia dal Tribunale sia dalla Corte territoriale in relazione alla domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME, non essendo quest’ultimo coerede.
In relazione all’azione di riduzione proposta invece nei confronti della coerede NOME COGNOME, la Corte territoriale ha rilevato che l’odierno ricorrente non aveva in alcun modo operato una corretta ricostruzione dell’ordine delle donazioni, in modo da dimostrare che la riduzione della donazione effettuata al soggetto non coerede sarebbe risultata insufficiente a reintegrare pienamente la quota di legittima.
Quanto al primo profilo, si deve osservare che, nel dedurre, genericamente, il fatto che l’art. 564 c.c. non poteva nella specie trovare applicazione, essendosi il de cuius spogliato in vita dell’intero patrimonio -così rendendo il ricorrente legittimario pretermesso -il ricorso omette radicalmente di conciliare questa affermazione fattuale con quanto invece viene riferito dalle decisioni dei due gradi di merito, dalle quali invece emerge che il ricorrente era sia chiamato all’eredità del padre per la quota di ¼ assieme alla stessa NOME COGNOME – avendo il de cuius disposto del proprio patrimonio per testamento in misura non integrale -sia destinatario di un legato a tacitazione di legittima.
Quanto al secondo profilo, è sufficiente rilevare che, con la propria decisione, la Corte territoriale si è conformata al principio -enunciato da questa Corte -per cui, in tema di azione di riduzione, qualora il legittimario, ai sensi dell’art. 564 c.c., non possa aggredire la donazione più recente a favore di un non coerede per aver accettato
l’eredità senza beneficio d’inventario, egli non può aggredire la donazione meno recente a favore del coerede, se non nei limiti in cui risulti dimostrata l’insufficienza della donazione più recente a reintegrare la quota di riserva, non potendo ricadere le conseguenze negative del mancato espletamento di quell’onere su soggetti estranei all’assolvimento dello stesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22632 del 03/10/2013).
7.1. Con il nono motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 1361, 1362, 1965 e 2699 c.c.
Il ricorrente deduce una erronea interpretazione della transazione precedentemente conclusa con il de cuius NOME COGNOME ( senior ) sull’eredità di NOME, argomentando, quindi, che altrettanto erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto che, per proporre l’azione di riduzione, egli dovesse rinunciare preventivamente al legato in sostituzione di legittima.
7.2. Il motivo è inammissibile.
Premesso, infatti che l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. L -Sentenza n. 10745 del 04/04/2022), occorre rammentare che il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme
asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017), e ciò perché l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
Nel caso in esame, invece, le doglianze del motivo di ricorso si presentano assolutamente generiche, limitandosi a contrapporre una propria interpretazione alla lettura -del tutto plausibile -seguita dalla Corte territoriale.
E’ ora possibile passare all’esame congiunto dei motivi quarto, quinto, sesto, settimo.
9.1. Il quarto motivo di ricorso è, testualmente, rubricato: ‘Violazione dell’art. 116 c.p.c. i quanto il giudice, ha fatto cattivo uso del prudente apprezzamento e ha ricostruito erroneamente il fatto e quindi ha applicato erroneamente una norma sotto il profilo dell’error in iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.; inoltre violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 183 co. VI nr. Co. 2 e 3 c.p.c., artt. 115 e 116 c.p.c. in materia di disponibilità e valutazione delle
prove, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. illogicità e contraddittorietà della motivazione, non avendo la sentenza tenuto in alcun conto nella ricostruzione del patrimonio i documenti comunque acquisiti al processo. Omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata o errata valutazione di risultanze processuali’ .
9.2. Con il quinto motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘violazione di legge art. 210 c.p.c. e quindi ‘error in procedendo’ per non essersi avvalso sia il Tribunale sia la Corte d’appello del potere di cui all’art. 210 c.p.c. ordinando d’ufficio la produzione e l’esibizione della documentazione a Banca Intesa; quindi violazione e falsa applicazione dei detti artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice ed apprezzabile -in sede di ricorso per cassazione -nei limiti del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.’ .
9.3. Con il sesto motivo il ricorso deduce, sempre testualmente, ‘violazione delle norme che disciplinano l’assunzione delle prove ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 4, come errores in procedendo nonché ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. ‘errore nella valutazione degli elementi di prova’ (violazione dell’art. 116, 1 c. c .p.c.) ovvero un contrasto logico tra le premesse del ragionamento del giudice e gli elementi di prova acquisiti (‘travisamento di prova decisiva’ o ‘omessa valutazione di prova decisiva’ oltre che ‘errori di ragionevolezza’, che ricorrono quando il ragionamento del giudice non adotti come premesse le c.d. regole d’esperienza ovvero adotti regole d’esperienza false o inesistenti, ponendosi così oltre il plausibile’ .
9.4. Con il settimo motivo ‘si chiede che la Corte sindachi, sotto il profilo della violazione di legge (art. 115-116 c.p.c.) gli errori di metodo
del giudice di merito; al fine di contrare se il giudice di merito abbia osservato le regole della logica e le regole d’esperienza che costituiscono i limiti giuridici ‘strutturali’ della sua discrezionalità e che garantiscono la ragionevolezza e la plausibilità del giudizio di fatto’ .
9.5. I motivi sono, nel loro complesso, inammissibili.
Detta inammissibilità deriva dal mancato accoglimento delle censure che erano dirette alla effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, come illustrata nei punti precedenti.
Verificata la correttezza di tale ratio , deve trovare applicazione il principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
Va, del resto, osservato che i motivi, nel loro complesso, si traducono in realtà in un inammissibile sindacato delle valutazioni delle prove operate dalla Corte d’Appello, ponendosi in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle
prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Va ribadito, infatti, il principio per cui il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16034 del 14/11/2002).
10.1 Con il decimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c. per avere la Corte territoriale disatteso gli elementi che comprovavano che la cointestazione del conto corrente al de cuius ed alla sorella era in realtà fittizia.
10.2. Il motivo è inammissibile.
Ancora una volta, infatti, parte ricorrente viene a sollecitare un sindacato sulla valutazione delle prove da parte del giudice di merito, sindacato che, come appena ricordato, è invece inammissibile.
11.1. Con l’undicesimo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta in particolare, la violazione degli artt. 91 e 97 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,
n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134)’ .
Il ricorso impugna la statuizione sulle spese pronunciata dalla Corte territoriale condannando in solido i due ricorrenti, deducendo che, in virtù del carattere più ridotto delle domande e dell’interesse di NOME COGNOME ( junior ) non sussistevano i presupposti per la condanna in solido.
11.2. Il motivo è infondato.
Infatti, materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi, ad esempio tra l’attore ed uno o più interventori, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria; ne consegue che la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domande di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall’interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto, ma tanto non si verifica nei confronti della parte che abbia proposto un intervento autonomo nel processo (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 1650 del 19/01/2022).
Ne consegue che la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall’interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di
questioni di fatto e di diritto. (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 27476 del 30/10/2018).
Nel caso in esame, la difesa unitaria dei due odierni ricorrenti e la costante convergenza delle questioni di fatto e di diritto da essi sollevate è sufficiente ad evidenziare che i ricorrenti hanno palesato un interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, così giustificandosi la condanna in solido.
Il ricorso deve quindi essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese, liquidate come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
condanna i ricorrenti a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio in data 15 novembre