Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1283 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1283 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME
COGNOME rappresentati e difesi da ll’ Avv. NOME COGNOME
-ricorrenti-
Contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in San Giovanni Rotondo
-controricorrenti-
Nonché
Oggetto:
società
cooperativa
COGNOME COGNOME COGNOME rappresentati e difesi dall’ Avv. NOME COGNOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in San Giovanni Rotondo7
Nonché
NOME COGNOME
Nonché
RAGIONE_SOCIALE
– intimata-
Avverso la sentenza parziale n. 304/2019 della Corte di Appello di Bari, depositata il 7.2.2019, non notificata, nonché la sentenza definitiva n. 2676/2019 della Corte di Appello di Bari, depositata il 30.12.2019, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con citazione notificata il 5.6.2008, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, soci della cooperativa a responsabilità limitata “San Michele”, aventi diritto alla prestazione mutualistica del godimento di un alloggio, proposero azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori NOMECOGNOME COGNOME COGNOME AntonioCOGNOME nonché dei sindaci COGNOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME Proposero, inoltre, la medesima azione come singoli soci, ex art. 2395 c.c .
-Il Tribunale adito escluse la legittimazione all’azione di responsabilità sociale, non risultando che i soci rappresentassero almeno il quinto del capitale sociale richiesto dall’art. 2393 bis ,
– intimati-
comma 10, c.c.; escluse che i danni lamentati dai soci come singoli fossero, come richiesto dall’art. 2395 c.c., conseguenza diretta delle condotte degli amministratori; dichiarò inammissibile la richiesta di revoca degli amministratori, proponibile solo ex art. 2409 c.c.; ritenne inammissibile la domanda di danni alla salute dei soci provocata da inadempimenti della cooperativa.
–COGNOME NOME, COGNOME Michele, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME (il primo in proprio, nonché come rappresentante comune degli altri ex art. 2393bis , comma 4, c.c.) proposero tempestivo appello, dinanzi alla Corte di Appello di Bari che, con la sentenza parziale n. 304/2019 qui impugnata, ritenuta la regolarità della rappresentanza degli appellanti in capo a NOME COGNOME ex art. 2393-bis, comma 4, c.c. e la legittimazione dei soci ex art. 2393bis , comma 1, c.c. al momento della domanda, rigettò, però, nel merito le domande nei confronti dei sindaci nonché tutte le domande nei confronti degli amministratori tranne quella di cui al punto 3.h) della parte motiva nei confronti di NOME Emanuele, COGNOME e COGNOME NOME. Con separata coeva ordinanza, questa Corte richiese chiarimenti sul danno da mancata informazione ai soci in ordine a un pignoramento, asseritamente evitabile con una corretta gestione degli amministratori (pagg. 30-33 dell’appello), riservando al definitivo la decisione sulle spese relative agli amministratori.
La corte di merito con sentenza definitiva n. 2676/2019 ha rigettato anche la domanda relativa al punto 3.h) e, quindi, integralmente l’appello proposto.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
dalle risultanze del libro dei soci risulta che al momento della domanda sussisteva la legittimazione prevista dall’art. 2393 bis , comma 1, c.c.;
COGNOME NOME impugnò la delibera di esclusione dalla società per la quale avrebbe sostenuto cospicue spese legali tuttavia non indicate in alcun modo; né risulta il passaggio in giudicato di eventuali pronunce di merito sfavorevoli alla società, idoneo a consolidare l’ipotetico danno ;
dopo l’esclusione del socio COGNOME le rate del mutuo di sua competenza sono state ripartite tra gli altri soci e vennero notificati decreti ingiuntivi agli inadempienti, procedure ritualmente opposte da quest’ultimi e di cui non si conosce l’esito defini tivo;
il socio non ha indicato la tipologia e la quantificazione del danno subito per la mancata sua convocazione alle assemblee;
anche la circostanza che la cooperativa avrebbe saldato i lavori eseguiti da un’impresa edilizia prima del collaudo , provocando così un contenzioso per il risarcimento dei danni subiti nelle singole abitazioni per la cattiva esecuzione, non consente di individuare l’entità dei danni perché non si conosce l’esito definitivo di tali giudizi o l’entità delle spese legali sostenute;
la circostanza lamentata che la cooperativa non avrebbe saldato per l’intero la predetta impresa , pur avendo i soci saldato l’intero dovuto non può essere presa in considerazione perché non si conosce l’esito definitivo del contenzioso avviato dall’impresa né l’entità delle spese legali sostenute;
non è allegata la quantificazione né la tipologia del danno subito dalla transazione di un contenzioso con la socia COGNOME;
del tutto generica è la deduzione di danno da mancata predisposizione degli atti definitivi di trasferimento degli alloggi ai soci.
Con la sentenza definitiva sul punto 3.h) ha statuito che:
con riferimento al preteso danno da mancata informazione ai soci in ordine al pignoramento in danno della cooperativa ad opera
di una banca per un credito da mutuo ipotecario, gli appellanti deducono che gli amministratori si sarebbero disinteressati della procedura, chiedendo la conversione tardivamente facendo lievitare il debito. Le deduzioni degli appellati sulla giustificazione del ritardo per l’avvenuta notifica avvenuta nel domicilio indicato nell’atto di Foggia e non di S. Marco in Lamis sede della società, basate sui documenti prodotti e non oggetto di specifica replica degli appellanti, appaiono fondate.
4. ─ COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME hanno presentato ricorso per cassazione con quattro motivi ed anche memoria.
NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME hanno presentato controricorso ed anche memoria.
COGNOME COGNOME COGNOME hanno presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti deducono:
5. ─ Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt.101, comma 2, c.p.c. e 24 Cost., ai sensi dell’art. 360, n.3, c.p.c. in relazione alla questione rilevabile d’ufficio. Violazione del diritto di difesa. Nullità della sentenza non definitiva di secondo grado.
La Corte di appello ha rilevato, che «non risulta il passaggio in giudicato di eventuali pronunce di merito sfavorevoli alla società, idoneo a consolidare l’ipotetico danno», ma quanto indicato nella motivazione costituisce implicito accoglimento di un’eccezione di giudicato esterno mai formulata dai convenuti né rilevata d’ufficio dallo stesso giudice, sicché sulla questione non si è mai instaurato il contraddittorio.
5.1 -La censura è inammissibile. La motivazione della Corte si fonda su due rationes e la seconda, su cui è dedotta la censura, può anche essere considerata ad abundatiam . La Corte ha rilevato che l’affermazione de l l’appellante Scarano che l’impugnazione della delibera di esclusione dalla società ha comportato un cospicuo esborso per spese legali era rimasta in alcun modo suffragata dall’indicazione dell’entità delle stesse. La successiva specificazione vuole soltanto evidenziare in aggiunta che tale entità degli esborsi per spese legali non si può nemmeno rilevare da eventuali pronunce di merito sfavorevoli alla società. Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. (Cass., n. 5102/2024; Cass., n. 13880/2020; Cass., n. 18641/2017).
Ed, inoltre, è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , in quanto la stessa, non costituendo una ratio decidendi della decisione, non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, pertanto, essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è priva di interesse (Cass., 18429/2022; Cass., n. 8755/2018).
6. -Con il secondo motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 101 comma 2 c.p.c. e 24 Cost., ai sensi dell’art. 360, n.3, c.p.c. in relazione all’ onus probandi , nullità della sentenza non definitiva di secondo grado, violazione del diritto di difesa.
Gli attori avevano depositato in allegato all’atto di citazione tutta la documentazione in loro possesso (qui puntualmente indicata nell’esposizione dei fatti) ed avevano chiesto, in via istruttoria, l’esibizione e il deposito, a cura del Presidente della RAGIONE_SOCIALE, di tutta la restante documentazione necessaria ai fini di causa (documentazione non accessibile alla parte attorea); sennonché, con decreto di fissazione dell’udienza del 17.7.2009, il Giudice relatore di primo grado non ammetteva le richieste istruttorie degli attori, in quanto ritenute generiche; invero, la Corte d’appello fonda la sua decisione di rigetto dell’appello sulla mancata allegazione della documentazione a supporto della domanda attorea, in tal modo violando il diritto di difesa degli attori ed il criterio legale di riparto dell’onere della prova.
6.1 -La censura è inammissibile, poiché i ricorrenti non hanno mosso dinanzi alla Corte di Appello alcun motivo che contestasse la mancata ammissione della prova o che censurasse la motivazione del giudice di prime cure di rigetto della richiesta. Il rilievo mosso alla loro richiesta era di inammissibilità per genericità poiché non avevano chiarito quale utilità processuale avrebbero avuto i registri, i verbali del C.d.A e le altre scritture richieste ai fini della prova sulla entità e tipologia dei presunti lamentati dai ricorrenti. La stessa Corte d’appello rileva l’assenza di elementi probatori su fatti e vicende non rilevabili dalla documentazione oggetto della richiesta istruttoria ritenuta generica. In che modo potrebbero essere utili le scritture contabili o i verbali del C.d.A per dimostrare quale danno avesse subito la società per la mancata convocazione del socio escluso? O per il contenzioso azionato dall’impresa costruttrice degli alloggi se non è allegato l’es ito definitivo del giudizio? E così via.
La censura così si traduce in una denuncia di violazione del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. che non trova supporto alcuno nelle motivazioni
del dispositivo impugnato e si traduce in una interpretazione della motivazione che non trova alcun fondamento oggettivo nella sua correlazione con il mancato accoglimento delle istanze istruttorie formulate in I grado.
7. – Con il terzo motivo: Violazione e falsa applicazione degli articoli 115 comma 1 e 116 comma 1 c.p.c., ai sensi dell’art.360, n.3, c.p.c. in relazione alla errata valutazione delle prove offerte a fondamento dell’azione sociale di responsabilità; omesso esame su fatti decisivi della controversia che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del’ art. 360, n.5, c.p.c. relativamente alle seguenti questioni: 1) prova della negligenza degli amministratori e sindaci; 2) prova del danno subito dal patrimonio sociale; 3) prova del danno diretto subito dal sig. COGNOME; 4) Prova del danno diretto subito dagli altri soci attori; 5) Tempestività della domanda di danni. Nel presente ricorso si fornisce prova o argomento di prova per ciascuna delle singole deduzioni sopra esposte, delle quali la Corte d’appello ritiene immotivatamente non provata la sussistenza, ovvero la fondatezza.
7.1 -La censura è inammissibile poiché in sede di legittimità non è possibile una diversa valutazione delle prove offerte a fondamento dell’azione, ma soltanto il mero controllo della veridicità e della coerenza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata. La denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., anche Cass., n. 15235/2022; Cass., n. 9352/2022; Cass., n. 6000/2022; Cass., n. 25915/2021), «non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione
impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative» (letteralmente Cass., n. 15235/2022; cfr. Cass., S.U., n. 34476/2019; Cass., n. 8758/ 2017; Cass., n. 32026/2021; Cass., n. 9352/2022; Cass. n. 9021/2023; Cass. n. 6073/2023; Cass. n. 2415/ 2023; ancora recentemente cfr., pure nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 9014/2023; Cass. n. 7993/2023; Cass. n. 4784/2023; Cass. n. 1015/2023). Non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313/2006; Cass. n. 195 /2016; Cass. n. 26110/2015; Cass. n. 8315/2013; Cass. n. 16698/2010; Cass. n. 7394/2010). Anche in questa censura le doglianze sono attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass., n. 13238/2017; Cass., n. 26110/2015).
La censura lamenta anche la violazione dell’art. 360, comma 1, n.5 c.p.c. perché la Corte non avrebbe esaminato una serie di evidenze presentate in entrambi i gradi di giudizio. La censura non considera che la sentenza della Corte qui impugnata è, sulla carenza probatoria sulle pretese risarcitorie, conforme alla sentenza di primo grado (pur dichiarandolo esplicitamente), sicché trova applicazione l’art. 348
ter, ultimo comma, c.p.c. (qui applicabile ratione temporis -pur essendo stato abrogato dall’art. 3, comma 26, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 -ai sensi dell’art. 35, commi 1 e 4, d.lgs. cit., trattandosi di ricorso per cassazione proposto in data anteriore al 28 febbraio 2023), a mente del quale in caso di ‘doppia conforme’ non è ammesso il ricorso per cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 .c.p.c. Sarebbe stato, dunque, onere non assolto -dei ricorrenti indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014 e successive conformi). A tale onere dimostrativo, invece, i ricorrenti si sono completamente sottratti.
– Con il quarto motivo: In ordine alla condanna alle spese, iniquità della quantificazione.
Si chiede la riforma del capo sulle spese legali, come conseguenza ed effetto della riforma dei precedenti capi della sentenza. In subordine e nella denegata ipotesi di rigetto del gravame nei confronti degli altri capi della sentenza, si chiede la riforma del capo relativo alle spese, in quanto il Tribunale e la Corte di appello hanno immotivatamente duplicato le spese giudiziali a carico degli attori.
8.1 -La censura è assorbita per l’inammissibilità dei primi tre motivi.
9 .-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti, in solido tra di loro al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, a favore di ciascuna parte controricorrente, che liquida
in € 4.500 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione