Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34738 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34738 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6295/2021 R.G. proposto da : NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1763/2020 depositata il 23/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 14/12/2020, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello principale proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME contro NOME COGNOME dichiarando il difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME e rigettando la domanda di regolamento di confini proposta da NOME COGNOME in primo grado dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia (Tropea). La Corte ha ritenuto che tra i due fondi vi fosse un confine di fatto, già delineato e rappresentato dai paletti in ferro impiantati dall’originario unico proprietario, come emerso dalle dichiarazioni testimoniali e dal tipo di frazionamento allegato all’atto di vendita del 21/11/1990 tra i COGNOME e NOME COGNOME. La Corte ha quindi rigettato l’appello incidentale di NOME COGNOME, compensato le spese di lite del doppio grado di giudizio tra tutte le parti e posto a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuno, le spese della c.t.u. espletata nel giudizio di primo grado.
Ricorre in cassazione l’attore con quattro motivi . Resistono i convenuti controricorso, Il consigliere delegato ha formulato proposta ex art. 380 bis cpc e la parte ricorrente ha chiesto la decisione.
Sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 100, 101 c.p.c. e degli artt. 950 e 1140 c.c., per avere la Corte di appello erroneamente dichiarato il difetto di legittimazione passiva del possessore NOME COGNOME La Corte distrettuale, accogliendo i motivi di appello, ha qualificato la domanda come azione di regolamento di confini anziché di rivendicazione, ritenendo fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva di COGNOME NOME COGNOME Il ricorrente contesta tale decisione, sostenendo che nell’azione di regolamento di confini la legittimazione passiva spetta anche al possessore, oltre che al proprietario. Secondo il ricorrente, il possessore
ha interesse a contraddire ex art. 100 c.p.c. e deve essere rispettato il principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c. anche nei suoi confronti. Il ricorrente richiama dottrina a sostegno della propria tesi e chiede la riforma della sentenza impugnata, affermando il principio della legittimazione passiva del possessore nell’azione di regolamento di confini.
Il primo motivo è rigettato poiché la Corte di appello ha fatto corretta applicazione de ll’ orientamento di questa Corte secondo il quale « l’azione di regolamento di confini spetta unicamente ai proprietari confinanti » (così, Cass. 21245/2007, 8003/1991, 6333/1979); cioè: legittimati ad agire e resistere nell’azione sono solo i titolari dei fondi confinanti, relativamente ai quali si pretende stabilire l’esatta demarcazione del confine.
2. – Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 950 c.c., 157, co. 2 e 345 co. 2 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto prevalenti i segni esistenti anziché i titoli di proprietà e il tipo di frazionamento per la determinazione del confine, nonostante il relativo motivo di appello fosse inammissibile, non avendo i convenuti sollevato obiezione o istanza di nullità della c.t.u. nella prima difesa successiva al suo deposito in primo grado. Lamenta altresì violazione dell’art. 950 c.c. per vizio di motivazione e contraddittorietà della stessa per aver privilegiato inesistenti segni esteriori senza esaminare i titoli di acquisto, le planimetrie e il tipo di frazionamento.
Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 950, 2697, 2699, 2700 c.c. e 115, 116 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia considerato le contestazioni dell’appellato e le risultanze della prova testimoniale. In particolare, si contesta che il giudice si sia basato solo su un passo dell’atto di appello relativo alla dichiarazione del teste NOME COGNOME, omettendo di valutare l’intera deposizione e quelle degli altri testi. Secondo il ricorrente, dalle testimonianze emergerebbero
fatti precisi, gravi e concordanti circa il confine tra le proprietà, corrispondente a quello indicato dal c.t.u., e non risulterebbero segni esteriori certi di determinazione del confine come ritenuto dalla Corte. Si lamenta inoltre che il giudice non abbia considerato i titoli di proprietà prodotti e la c.t.u., violando così l’onere della prova ex art. 2697 c.c. e il principio di valutazione delle prove ex artt. 115 e 116 c.p.c.
Il secondo ed il terzo motivo sono da esaminare congiuntamente per connessione.
Essi sono da disattendere.
Conviene riportare in sintesi la parte censurata della sentenza impugnata. La Corte di appello ha riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda di Lubiana, in quanto il confine tra i due fondi risultava già certo e individuato dai paletti in ferro posizionati dall’originario unico proprietario dei terreni al momento del frazionamento. La Corte ha ritenuto che questi paletti costituissero un confine di fatto, prevalente sulla linea catastale che, in base all’art. 950 co. 3 c.c., ha carattere meramente sussidiario rispetto ai confini stabiliti da elementi oggettivi presenti sul terreno. La Corte ha accolto le critiche mosse dagli appellanti alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, sottolineando che il consulente non aveva considerato adeguatamente i riferimenti derivanti dal frazionamento originario del 1988, redatto dal geometra COGNOME e allegato agli atti di vendita. La relazione tecnica, secondo la Corte, non teneva conto del valore vincolante di tali elementi, rilevando altresì che il giudice non è vincolato alle conclusioni della c.t.u., essendo il compito di determinare i confini riservato alla sua valutazione giuridica. La Corte di appello ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’incertezza del confine è il presupposto essenziale per l’azione di regolamento di confini e deve essere oggettiva o soggettiva. La Corte ha inoltre valorizzato il contenuto degli atti di frazionamento richiamati nei titoli di acquisto, sottolineando che, laddove questi riportino
elementi di identificazione del confine, essi prevalgono sulle risultanze catastali, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte. Nel caso concreto, il frazionamento del geometra COGNOME, allegato agli atti di vendita, rappresentava un chiaro accordo tra le parti circa l’esatta delimitazione delle proprietà. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha stabilito che il Tribunale aveva errato nell’attribuire rilevanza preponderante alla consulenza tecnica senza considerare che i paletti in ferro costituivano un confine certo e stabile, delineato dai precedenti proprietari dei fondi.
Alla luce di tale motivazione, nel loro complesso, dietro lo schermo delle censure di violazione di norme di diritto e di contraddittorietà della motivazione, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono animati dal proposito di ottenere una inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito ed espressi in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità.
Per quanto attiene al profilo specifico di censura relativo alla tardività dei rilievi critici mossi dai convenuti alla c.t.u., esso non si confronta con i principi enunciati da Cass SU 5624/2022, secondo il quale: « Le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio » .
Per quanto attiene al profilo specifico di censura relativo all’ omessa valutazione integrale di una deposizione e all’omessa valutazione di quelle degli altri testi, è da ribadire che il giudice di
merito che fondi il proprio apprezzamento su alcune prove piuttosto che su altre non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento in una motivazione effettiva, resoluta e coerente (che rispetti quindi i canoni dettati da Cass. SU 8053/2014). Di talché egli – in obbedienza al canone di proporzionalità di una motivazione necessaria, idonea allo scopo e adeguata non è tenuto a discutere esplicitamente ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni singola deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante. Sarebbe superfluo ricordare che l’esito positivo della verifica compiuta dalla Corte di cassazione non implica logicamente che essa faccia proprio tale apprezzamento: esso è e rimane del giudice di merito.
Il secondo ed il terzo motivo sono rigettati.
3. – Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., riferita alla seguente statuizione: « La complessità in diritto delle questioni trattate e la circostanza che nell’azione di regolamento di confine entrambe le parti assumono la duplice veste di attore e convenuto giustificano la compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio tra tutte le parti. Così come appare equo porre a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuno, le spese della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado » (mentre nel passo precedente si era statuito che « l’accoglimento dell’appello principale travolge l’appello incidentale sentenza nella parte in cui tribunale »).
Il ricorrente rileva l’erroneità della compensazione delle spese del giudizio di primo grado in quanto nel giudizio non vi erano state particolari questioni e l’art. 92 co. 2, c.p.c. prevede la possibilità della compensazione delle spese solo in due casi tipici non ricorrenti nella fattispecie, per cui avrebbe dovuto applicarsi il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c.
Il quarto motivo è rigettato, poiché nel riformare la sentenza di primo grado la Corte di appello ha liquidato correttamente le spese
con riferimento dell’esito complessivo del giudizio e la determinazione delle proporzioni della soccombenza tra le parti resta affidata all’apprezzamento del giudice di merito .
-Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c. (essendo la decisione conforme alla proposta: cfr. art. 380 bis cpc).
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 1.500,00 oltre a € 200 ,00 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 1.500,00 in favore della parte controricorrente, nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 06/11/2024.