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Azione di arricchimento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18496/2025, chiarisce i limiti dell’azione di arricchimento senza giusta causa. Nel caso di una vendita di quote latte non perfezionata, la Suprema Corte ha stabilito che l’azione di arricchimento è inammissibile se il soggetto danneggiato ha a disposizione altre azioni legali per ottenere un indennizzo, anche se queste azioni devono essere intentate contro soggetti terzi, come la Pubblica Amministrazione o chi ha causato il danno con una lite infondata.

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Pubblicato il 31 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Azione di Arricchimento: la Cassazione ne Definisce i Limiti di Ammissibilità

L’azione di arricchimento senza giusta causa rappresenta un rimedio fondamentale nel nostro ordinamento, ma il suo carattere sussidiario ne limita l’applicazione. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su questo tema, chiarendo che la presenza di un’ qualsiasi altra azione per ottenere un indennizzo, anche se verso terzi, rende inammissibile la domanda di arricchimento. La vicenda, nata da una complessa compravendita di quote latte, offre spunti cruciali per comprendere la portata del principio di sussidiarietà.

I Fatti di Causa: La Cessione Contesa delle Quote Latte

La controversia ha origine da un contratto di compravendita di quote latte stipulato nel 1997 tra un produttore e un’azienda agricola. A seguito della cessione, l’azienda acquirente non completava il pagamento del corrispettivo. Il venditore, nel 2005, avviava un’azione legale per ottenere il saldo del prezzo e, in via subordinata, un indennizzo per l’azione di arricchimento senza giusta causa, dato che l’acquirente aveva comunque beneficiato delle quote per anni.

La situazione era complicata dal fatto che la validazione ufficiale della cessione da parte dell’autorità pubblica (AIMA) era stata sospesa a causa di un contenzioso, avviato da una terza società, che contestava la titolarità delle quote in capo al venditore. Anche dopo la risoluzione di tale contenzioso in favore del venditore, l’autorità pubblica non convalidò la vendita, ma assegnò le quote in affitto all’azienda acquirente.

I Giudizi di Merito: Il Rigetto della Domanda

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello rigettavano le domande del venditore. In particolare, i giudici di merito ritenevano inammissibile la domanda subordinata di arricchimento. La motivazione si fondava sul principio di sussidiarietà (art. 2042 c.c.): secondo la Corte territoriale, il venditore non era privo di tutele, in quanto avrebbe potuto agire per il risarcimento dei danni:

1. Contro la Pubblica Amministrazione, per non aver dato seguito alla sentenza che ne confermava la titolarità, procedendo alla validazione della vendita.
2. Contro la società terza, che con la sua azione legale infondata aveva causato la sospensione del procedimento di validazione per anni.

La disponibilità di queste azioni risarcitorie, sebbene dirette verso soggetti diversi dall’arricchito, escludeva la possibilità di ricorrere al rimedio sussidiario dell’arricchimento.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte, investita della questione, ha confermato integralmente la decisione d’appello, rigettando il ricorso del venditore. Il punto centrale della motivazione riguarda l’interpretazione del carattere sussidiario dell’azione di arricchimento.

Il ricorrente sosteneva che la sussidiarietà dovesse essere intesa in senso restrittivo: l’azione di arricchimento sarebbe preclusa solo dalla presenza di un’altra azione specifica (contrattuale o legale) contro il soggetto arricchito, non da un’azione generica per responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) contro terzi.

La Cassazione ha respinto questa tesi, aderendo a un orientamento consolidato e rigoroso. Il Collegio ha ribadito che il carattere sussidiario, sancito dall’art. 2042 c.c., comporta che l’azione non possa essere esperita ogni qualvolta l’impoverito possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito. Questa “altra azione” può essere anche fondata su una clausola generale, come quella risarcitoria per fatto illecito, e può essere diretta nei confronti di un soggetto diverso dall’arricchito. La valutazione, precisa la Corte, va compiuta in astratto, verificando la mera esperibilità teorica di altri rimedi.

Poiché nel caso di specie il venditore aveva la possibilità di agire in via risarcitoria sia verso la P.A. sia verso la società terza, il presupposto della sussidiarietà per l’azione di arricchimento veniva a mancare. Di conseguenza, la domanda è stata correttamente dichiarata inammissibile in partenza, rendendo superfluo l’esame degli altri motivi di ricorso relativi alla prova dell’impoverimento e dell’arricchimento.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio chiave: l’azione di arricchimento senza giusta causa è un rimedio estremo, una extrema ratio a cui si può ricorrere solo in assenza totale di altre tutele legali. La disponibilità di un’azione risarcitoria per fatto illecito, anche se rivolta contro soggetti terzi che hanno contribuito a causare il danno, è sufficiente a precludere la via dell’art. 2041 c.c. Questa interpretazione estensiva della sussidiarietà mira a preservare la coerenza del sistema, evitando che l’azione di arricchimento diventi uno strumento per aggirare i termini di prescrizione o gli oneri probatori più gravosi previsti per altre azioni.

Quando è inammissibile l’azione di arricchimento senza giusta causa?
L’azione di arricchimento è inammissibile quando il soggetto danneggiato (l’impoverito) ha a disposizione un’altra azione legale per ottenere l’indennizzo per il pregiudizio subito. Questo principio è noto come carattere sussidiario dell’azione.

La possibilità di fare causa a un terzo impedisce di agire per arricchimento contro chi si è effettivamente arricchito?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’azione di arricchimento è esclusa anche se l’altra azione disponibile è un’azione risarcitoria (per fatto illecito, ex art. 2043 c.c.) da esercitare nei confronti di un soggetto diverso da quello che si è arricchito, come ad esempio la Pubblica Amministrazione o un terzo che ha causato il danno.

Qual è stato il fattore decisivo per la Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso?
Il fattore decisivo è stata la corretta applicazione del principio di sussidiarietà (art. 2042 c.c.) da parte dei giudici di merito. La Corte ha ritenuto che, poiché il ricorrente avrebbe potuto agire per il risarcimento dei danni contro la Pubblica Amministrazione e contro una società terza, non poteva utilizzare l’azione sussidiaria di arricchimento senza giusta causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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