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Azienda ereditaria: come si divide tra coeredi?

La Corte di Cassazione chiarisce i criteri di divisione di un’azienda ereditaria. Se dopo l’apertura della successione solo alcuni coeredi gestiscono e incrementano il valore dell’impresa, il loro apporto non va a beneficio degli altri eredi. La valutazione della quota spettante all’erede non gestionario deve basarsi sul valore dell’azienda al momento della morte del de cuius, e non al momento della divisione. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio per non aver distinto tra il patrimonio ereditato e gli incrementi successivi dovuti alla gestione di parte degli eredi.

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Azienda ereditaria: come si divide tra coeredi?

La successione di un’impresa familiare è un momento delicato, che intreccia dinamiche affettive e complesse questioni legali. Una domanda sorge frequentemente: come si valuta e si divide un’azienda ereditaria quando, dopo la scomparsa del titolare, solo alcuni degli eredi continuano a gestirla, contribuendo alla sua crescita? Un’ordinanza della Corte di Cassazione offre un chiarimento fondamentale su questo tema, stabilendo un principio a tutela del lavoro e degli investimenti degli eredi-imprenditori.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla successione di una madre, il cui patrimonio comprendeva una quota di un laboratorio tipografico. L’attività era stata originariamente del padre degli eredi, deceduto molti anni prima. Dopo la sua morte, due dei tre figli avevano continuato a gestire e sviluppare l’impresa, trasformando il piccolo laboratorio paterno in una vera e propria azienda. La terza figlia, invece, non aveva mai partecipato alla gestione.

Al momento della morte della madre, la figlia non gestionaria chiedeva la sua parte di eredità, inclusa la quota dell’azienda, calcolata sul valore attuale dell’impresa. I due fratelli si opponevano, sostenendo che l’azienda attuale fosse il frutto esclusivo del loro lavoro e dei loro investimenti post-morte del padre e che, pertanto, il valore da dividere dovesse essere quello dell’azienda al momento dell’apertura della successione paterna, non quello attuale.

La Corte d’Appello aveva dato ragione alla sorella, considerando l’azienda come un bene caduto in successione nella sua “consistenza dinamica”, senza distinguere tra il valore originario e gli incrementi successivi. I due fratelli hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

La distinzione della Cassazione sulla comunione dell’azienda ereditaria

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei due fratelli, ribaltando la decisione dei giudici di merito e enunciando un principio di diritto cruciale. La Corte distingue due scenari possibili quando un’azienda cade in successione:

1. Comunione di godimento: i coeredi si limitano a godere dei frutti dell’azienda così come lasciata dal de cuius, senza apportare modifiche o nuovi investimenti (ad esempio, affittandola a terzi). In questo caso, la comunione ereditaria persiste sull’intero bene.
2. Esercizio dell’impresa: uno o più coeredi continuano attivamente l’attività d’impresa, con un fine speculativo, apportando nuovi incrementi e assumendosi i rischi.

È in questo secondo scenario che si colloca il caso in esame. La Cassazione chiarisce che quando solo alcuni coeredi gestiscono l’impresa, la comunione incidentale si limita all’azienda per come era al momento dell’apertura della successione (con i suoi elementi materiali e immateriali di allora). Il successivo esercizio dell’attività, con i relativi utili, perdite e incrementi di valore, è imputabile esclusivamente ai coeredi che hanno gestito l’impresa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha commesso un errore fondamentale: non ha accertato se, dopo la morte del padre, la madre (la de cuius della presente successione) avesse partecipato o meno alla gestione dell’azienda insieme ai due figli. Invece, ha erroneamente ritenuto che la quota dell’azienda fosse entrata nell’asse ereditario della madre nel suo valore attuale, comprensivo di tutti gli incrementi generati negli anni dal lavoro esclusivo dei due fratelli.

Secondo la Suprema Corte, il valore dell’azienda ai fini della divisione ereditaria deve essere fissato alla data di apertura della successione. Le spese, gli incrementi o i decrementi successivi a tale data non possono essere considerati comuni, ma devono essere attribuiti all’attività di chi ha effettivamente gestito l’impresa. Pertanto, i giudici avrebbero dovuto distinguere tra il valore del compendio aziendale ereditato e il valore aggiunto creato successivamente dall’attività imprenditoriale dei soli due fratelli.

Conclusioni

La decisione della Cassazione stabilisce un principio equo e di grande importanza pratica. Gli eredi che non partecipano alla gestione di un’azienda ereditaria non possono pretendere di beneficiare degli incrementi di valore generati dal lavoro, dall’impegno e dagli investimenti degli altri coeredi. La loro quota deve essere calcolata sul valore che l’azienda aveva al momento in cui è stata ereditata.

Questo principio protegge l’erede che si trasforma in imprenditore, garantendo che i frutti del suo lavoro non vengano ingiustamente divisi con chi è rimasto estraneo alla gestione e al rischio d’impresa. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà ricalcolare le quote ereditarie attenendosi a questa fondamentale distinzione.

Quando si eredita un’azienda, a quale momento bisogna fare riferimento per calcolarne il valore da dividere?
Secondo la Corte di Cassazione, il valore dell’azienda e le sue consistenze devono essere fissati alla data di apertura della successione, ovvero al momento della morte del de cuius. È possibile una rivalutazione monetaria per il periodo successivo, ma non un’inclusione degli incrementi di valore dovuti alla gestione postuma.

Se solo alcuni eredi gestiscono e migliorano l’azienda di famiglia dopo la morte del genitore, gli altri eredi hanno diritto a una parte di questo valore aggiunto?
No. Gli incrementi di valore, gli utili e le perdite derivanti dalla gestione successiva all’apertura della successione sono attribuibili esclusivamente ai coeredi che hanno effettivamente gestito l’impresa, assumendosene i rischi. La comunione ereditaria per gli eredi non partecipanti è limitata al valore del bene al momento del decesso.

Cosa succede alla comunione ereditaria su un’azienda se i coeredi iniziano a gestirla attivamente insieme?
Se tutti i coeredi, di comune accordo, continuano l’esercizio dell’impresa apportando nuovi investimenti a fine speculativo, la comunione incidentale si trasforma in una società (di fatto o irregolare). In questo caso, tutti partecipano agli utili e alle perdite secondo le regole societarie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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