Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9309 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9309 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5076/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME;
– ricorrenti- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME; -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO LECCE n. 755/2018, pubblicata l’ 11/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/12/2024 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi al Tribunale di Brindisi da NOME COGNOME nei confronti dei germani NOME e NOME COGNOME con la quale chiese dichiararsi l’apertura della successione della madre NOME COGNOME, deceduta il 7.12.2008, ed accertarsi che l’asse ereditario della predetta defunta era costituito da 54/126 del RAGIONE_SOCIALE artigianale tipografico con annessa attività commerciale di vendita di articoli di cartoleria, cerimonia e filatelia, oltre ad una collezione di francobolli, beni il cui valore era stato stimato in € 145.469,73 con la sentenza del Tribunale di Brindisi n. 994/2007, passata in giudicato, che aveva definito il giudizio di divisione dell’asse ereditario del padre degli attori, NOME COGNOME, deceduto nel 1976 .
L’attrice propose anche domanda di rendimento dei conti e l’attribuzione della somma di € 48.469,98 corrispondente alla propria quota, pari a 18/126 di quella caduta nell’asse ereditario di NOME COGNOME.
I convenuti si costituirono instando per il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, chiesero la condanna dell’attrice al pagamento delle spese funerarie.
Il Tribunale di Brindisi dichiarò aperta la successione di NOME COGNOME, attribuì ai convenuti la quota di 27/126 ciascuno della quota materna dell ‘ azienda, calcolata, sulla base della CTU, al momento della divisione.
Avverso detta sentenza proposero appello NOME COGNOME e NOME COGNOME, che censurarono la sentenza di primo grado in relazione ai criteri di calcolo della quota dell’azienda attribuita
all’attrice; gli appellanti dedussero che, a seguito del decesso, avvenuto nel 1976, del padre COGNOME NOME, avevano continuato a gestire la tipografia unitamente alla madre per i primi cinque anni e, successivamente, avevano amministrato l’azienda in via esclusiva, senza alcun apporto della madre e, tanto meno, della sorella; nel corso del tempo, essi avevano apportato innovazioni e migliorie tali da trasformare in vera e propria azienda tipografica quello che una volta era stato il piccolo RAGIONE_SOCIALE paterno. Tale accertamento risultava, secondo gli appellanti, dalla sentenza del Tribunale di Brindisi n. 994/2007, passata in giudicato, che, nel giudizio di divisione dell’asse relitto di COGNOME NOME, coniuge di COGNOME NOME e padre delle danti causa, aveva accertato che l’azienda era stata gestita unicamente da NOME e NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza pubblica ta in data 11.7.2018, accolse parzialmente l’appello, riformando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto la rivalutazione sui frutti civili, confermando, per il resto, la pronuncia di prime cure.
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello ritenne che la quota dell’azienda di NOME fosse caduta in successione e la valutò con riferimento al momento della divisione.
La Corte d’appello giunse alla conclusione che il Tribunale avesse assegnato a COGNOME NOME una quota dell’azienda ‘intesa nella sua consistenza dinamica’ e non come quota del patrimonio, non essendo peraltro provato che la de cuius fosse rimasta estranea all’esercizio dell’impresa.
Avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso per cassazione NOME e COGNOME NOME sulla base di due motivi.
NOME NOME resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c., e degli artt. 2909 e 2697 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto che il RAGIONE_SOCIALE tipografico con annessa attività commerciale di vendita rappresentasse un bene in comunione tra NOME COGNOME e i due fratelli NOME, il cui valore andava calcolato al momento della proposizione della domanda di divisione giudiziale proposta da COGNOME NOME.
Secondo i ricorrenti, il Tribunale di Brindisi, pronunciando sulla domanda di divisione dell’asse ereditario di COGNOME NOME, con sentenza n. 994/2007, aveva sciolto la comunione ed attribuito a COGNOME NOME una quota dell’azienda condotta dal de cuius , prendendo atto della circostanza che l’azienda di COGNOME NOME non esisteva più nella sua originaria consistenza sicché nel giudizio di divisione dell’asse ereditario d ella suddetta COGNOME NOME detta azienda non avrebbe potuto fra parte della comunione ereditaria. Pertanto, la Corte d’Appello av eva errato nel riconoscere ad NOME un diritto ricadente su un bene, l’azienda rinnovata e potenziata post mortem di NOME COGNOME, diverso rispetto a quello esistente all’apertura della successione di quest’ultimo.
In definitiva, dopo la morte di COGNOME NOME, la comunione ereditaria tra gli eredi non si sarebbe formata in relazione all’azienda relitta da COGNOME NOME.
Di ciò sarebbe stata consapevole la stessa NOME COGNOME, sostenendo solo in comparsa di costituzione del giudizio di appello,
che sarebbe sorta una società di fatto tra la madre COGNOME NOME ed i ricorrenti. Si trattava di affermazione priva di riscontro probatorio, oltre che in contrasto con il giudicato costituito dalla citata sentenza n. 994/2007 del Tribunale di Brindisi, in cui si evinceva che, dopo l’apertura della successione di NOME COGNOME, l’azienda era stata gestita solo da COGNOME NOME ed COGNOME NOME e che alla gestione non aveva preso parte COGNOME NOME. Pertanto, si sarebbe dovuto sostenere che l a Corte d’appello di Lecce a veva violato il giudicato, allegando che non vi fosse prova che solo NOME e NOME avessero gestito l’azienda.
Si aggiunge che l a sentenza della Corte d’appello avrebbe violato anche il principio dell’onere della prova poiché sarebbe gravato su NOME dimostrare che fosse stata costituita una società di fatto tra la madre ed i fratelli.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., la violazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., nonché degli artt. 132 e 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla denunciata violazione dell’art. 718 c.c.
I ricorrenti osservano che la stessa attrice aveva chiesto 1/3 della quota dell’azienda assegnata alla de cuius nella consapevolezza della sua estraneità all’azienda gestita dai fratelli e nell’errata supposizione della disponibilità, da parte della madre, della quota liquidata con la sentenza del Tribunale di Brindisi n. 994/2007.
Si sottolinea, quindi, che l a Corte d’appello avrebbe dovuto accertare se nell’asse ereditario relitto della madre vi fosse l’azienda di cui COGNOME NOME chiedeva la divisione, tenendo conto del giudicato formatosi con la menzionata sentenza del Tribunale di Brindisi n. 994/2007, che avrebbe dato atto della trasformazione del piccolo RAGIONE_SOCIALE tipografico del comune dante causa COGNOME NOME da
parte dei figli NOME e NOME COGNOME, avvenuta senza alcun apporto da parte di NOME COGNOME.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado che aveva incluso nell’asse ereditario di NOME COGNOME la quota di 54/126 dell’azienda relitta del cuius NOME COGNOME, stimata con riferimento al momento della divisione.
Il giudizio di divisione dell’asse ereditario di NOME COGNOME era stato definito con sentenza del Tribunale di Brindisi n. 994/2007, passata in giudicato, che aveva ricostruito il patrimonio ereditario del de cuius , nel quale ricadeva anche l’azienda.
Con tale decisione, il Tribunale di Brindisi aveva accertato che ‘dopo l’apertura della successione l’azienda è stata gestita direttamente dai convenuti COGNOME NOME ed COGNOME NOME‘ e, una volta determinato il valore attuale dell’asse ereditario con riferimento al valore locativo dell’azienda in tutti gli anni in cui è stata gestita dai convenuti, ha assegnato ai predetti e ad COGNOME NOME il complesso aziendale nella sua originaria composizione in proporzione delle quote di ciascuno.
In dispositivo, infatti, il Tribunale ha assegnato a COGNOME NOME, COGNOME NOME ed COGNOME NOME il ‘RAGIONE_SOCIALE artigianale tipografico con annessa attività commerciale di vendita di articoli di cartoleria…. nella consistenza che detta azienda aveva al momento dell’apertura della successione di COGNOME NOME‘.
La Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che l’azienda fosse caduta in comunione tra gli eredi sol perché vi era stata un’assegnazione congiunta della stessa in proporzione delle quote a COGNOME NOME ed ai figli COGNOME NOME ed COGNOME NOME,
senza svolgere alcun accertamento in ordine alla sussistenza di una comunione incidentale tra la de cuius ed i figli NOME e NOME COGNOME.
La decisione della Corte d’appello si pone in contrasto con i principi affermati da questa Corte in tema di comunione di azienda ereditaria. Quest’ultima forma oggetto di comunione fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione, e cioè fino a quando i coeredi si limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius , negli elementi e con la consistenza in cui essa è caduta nel patrimonio comune, come può avvenire nel caso di affitto dell’azienda stessa.
Allorché, invece, quest’ultima viene ad essere esercitata con fine speculativo, con nuovi interventi e con nuovi utili derivanti dal nuovo esercizio, possono verificarsi due ipotesi: o l’impresa è esercitata, d’accordo, da tutti i coeredi, i quali convengono di continuarne l’esercizio, apportando nuovi incrementi o sviluppando i precedenti, a fine speculativo, e, in tal caso, sussistono tutti gli elementi della società, sia pure irregolare o di fatto, e la comunione incidentale si trasforma in società tra i coeredi, ovvero la continuazione dell’esercizio dell’impresa è effettuata da uno o da alcuni dei coeredi soltanto, ed allora la comunione incidentale è limitata all’azienda come relitta dal de cuius , con gli elementi – materiali e immateriali esistenti al momento dell’apertura della successione mentre il successivo esercizio, con gli incrementi personalmente apportati dal coerede o dai coeredi che lo effettuano e con gli utili e le perdite conseguenti, non può essere imputato che al coerede o ai coeredi predetti (cfr. Cass. n. 10188/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata). E’ stato, infatti, osservato che la distinzione tra società di persone e comunione di godimento, quale risulta dal raffronto tra gli artt. 2247
e 2248 c.c., trova applicazione anche riguardo ad un’azienda compresa in un’eredità.
Ne deriva, in applicazione del richiamato principio di diritto, che:
le consistenze, l’avviamento (v. Cass. n. 3775/1994) e, dunque, il complessivo valore aziendale devono essere fissati, ai fini divisionali, alla data di apertura della successione (fatta salva, ovviamente, la rivalutazione per il periodo successivo, trattandosi appunto di debito di valore: cfr. Cass. n. 6931/2016);
le spese, gli incrementi o i decrementi aziendali successivi a tale data non possono essere considerati comuni ma ascrivibili all’attività di chi le gestisce.
Ne consegue che la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare se, al momento dell’apertura della successione, fosse sussistente una comunione ereditaria con riferimento all’azienda, tenendo conto che il Tribunale di Brindisi aveva accertato, con più volte indicata sentenza n. 994/2007, passata in giudicato, che solo COGNOME NOME e NOME avevano esercitato l’attività di impresa.
In virtù di tali consolidati principi, ai quali il collegio intende dare continuità, la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare se, al momento della divisione dell’asse ereditario di NOME COGNOME, la continuazione dell’esercizio dell’impresa fosse stata effettuata dalla de cuius o soltanto dai convenuti.
La Corte d’appello ha, invece, erroneamente ritenuto che l’azienda fosse entrata nell’asse ereditario della de cuius sol perché alla stessa era stata attribuita una quota, pari a 54/126 del RAGIONE_SOCIALE artigianale e dell’attività commerciale di vendita, con riferimento alla consistenza che l’azienda aveva al momento dell’apertura della successione di COGNOME NOME.
Si trattava di una quota dell’eredità del dante causa, stimata con riferimento al valore che l’azienda aveva al momento del decesso di COGNOME NOME, aumentato del valore locativo per stimare il bene al momento della divisione, per tenere conto dell’apporto dei fratelli NOME e NOME COGNOME, che avevano gestito l’azienda.
La Corte d’appello -dopo aver affermato che l’azienda, nella sua consistenza originaria, era stata assegnata a COGNOME NOME, NOME e NOME COGNOME sulla base del valore al momento dell’apertura della successione di COGNOME NOME, accresciuta del valore locativo dal 1976 in poi – si è interrogata sul se ‘quella entità’ fosse caduta in successione, quale patrimonio da dividere tra i suoi eredi, oppure se a NOME COGNOME fosse stata attribuita ‘una quota dell’azienda intesa nella sua consistenza dinamica’.
La Corte di merito giunge alla conclusione che l’azienda fosse stata assegnata nella sua ‘consistenza dinamica’, affermando, che ‘non vi fosse riscontro alla circostanza che la COGNOME sia rimasta estranea all’esercizio dell’impresa, non essendo necessario l’apporto personale per configurarsi l’esercizio collettivo di un’impresa, opzione da cui deriva che la quota attribuita alla COGNOME fu intesa in senso dinamico’, e, a conforto di tale tesi, richiama la sentenza del Tribunale di Brindisi n. 994/2007, che aveva determinato il valore del bene al momento della divisione.
Tale affermazione si pone in contrasto sia con il giudicato costituito da quest’ultima sentenza , che aveva accertato che la gestione dell’azienda era stata svolta da parte dei soli germani NOME e NOME COGNOME, sia con il principio di diritto (al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) secondo cui l’azienda ereditaria forma oggetto di comunione fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione, e cioè fino a quando i coeredi si
limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius ; allorché, invece, quest’ultima viene ad essere esercitata da uno o da alcuni dei coeredi la comunione incidentale è limitata all’azienda come relitta dal de cuius , con gli elementi – materiali e immateriali – esistenti al momento dell’apertura della successione.
Ha, quindi errato la Corte d’appello nel determinare il valore dell’azienda con riferimento al momento della divisione dell’asse relitto di NOME COGNOME, senza accertare, ai fini della persistenza della comunione, se ed in quale misura la de cuius avesse contribuito alla gestione dell’azienda.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, che si uniformerà al principio di diritto in precedenza enunciato e provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione