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Avvocato stabilito: i limiti dello ius postulandi

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che un avvocato stabilito non può difendersi personalmente in un procedimento disciplinare senza agire ‘di intesa’ con un avvocato abilitato a esercitare con il titolo italiano. Il caso riguarda un legale sanzionato per l’uso improprio del titolo abbreviato ‘avv.’. Il suo ricorso al Consiglio Nazionale Forense è stato dichiarato inammissibile per difetto di ius postulandi, decisione ora confermata dalla Cassazione, che ha respinto il ricorso del professionista, sottolineando come l’autonoma capacità processuale sia preclusa in assenza della necessaria collaborazione documentata con un legale pienamente abilitato in Italia.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Avvocato Stabilito e Ius Postulandi: La Cassazione Fa Chiarezza

La figura dell’avvocato stabilito rappresenta un pilastro del mercato unico europeo, consentendo ai legali di un Paese membro di esercitare la professione in un altro. Tuttavia, questa integrazione comporta delle regole precise, specialmente riguardo alla capacità di agire in giudizio. Con la sentenza n. 24279 del 2024, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato un punto cruciale: può un avvocato stabilito difendersi personalmente in un procedimento disciplinare? La risposta ha importanti implicazioni per la professione forense.

I Fatti del Caso: Una Sanzione Disciplinare e l’Appello

A un professionista, iscritto nella sezione speciale dell’albo dedicata agli avvocati stabiliti, veniva contestato di aver violato il codice deontologico. L’accusa era di aver utilizzato in diverse occasioni il titolo abbreviato italiano (‘avv.’ e ‘avv.S.’), pur non possedendolo formalmente, generando così confusione. Il Consiglio distrettuale di disciplina lo sanzionava con la sospensione dall’esercizio della professione per due mesi.

Contro questa decisione, il legale proponeva appello al Consiglio Nazionale Forense (CNF), scegliendo di difendersi da sé, senza il patrocinio di un altro avvocato.

La Decisione del Consiglio Nazionale Forense: L’Inammissibilità del Ricorso

Il CNF, però, non è mai entrato nel merito della questione. Ha dichiarato il ricorso inammissibile per una ragione puramente procedurale: il ricorrente, in quanto avvocato stabilito, era privo dello ius postulandi, ovvero della capacità di stare in giudizio autonomamente. Secondo il CNF, egli avrebbe dovuto agire ‘di intesa’ con un avvocato iscritto all’albo ordinario, come previsto dalla normativa di settore. Poiché aveva presentato l’appello in proprio, l’atto era stato considerato invalido.

Il Ricorso in Cassazione e i limiti per l’avvocato stabilito

L’avvocato ha quindi impugnato la decisione del CNF davanti alla Corte di Cassazione, sollevando tre motivi di ricorso:
1. La prescrizione dell’illecito deontologico.
2. La violazione delle norme sul ius postulandi, sostenendo di potersi difendere da solo.
3. L’illogicità della sanzione originaria.

La Questione dello “Ius Postulandi” per l’Avvocato Stabilito

Le Sezioni Unite hanno ritenuto infondato il motivo centrale, quello relativo alla capacità processuale. La Corte ha ribadito che, secondo l’articolo 8 del D.Lgs. 96/2001, l’avvocato stabilito non possiede un autonomo ius postulandi nel nostro ordinamento. Per rappresentare, assistere e difendere una parte in giudizio (inclusi i procedimenti disciplinari), deve necessariamente agire ‘di intesa’ con un professionista abilitato a esercitare con il titolo di avvocato in Italia.

Questa ‘intesa’ deve essere formalizzata per iscritto prima del compimento del primo atto difensivo. Mancando tale requisito, l’avvocato stabilito non ha la ‘qualità necessaria’ per stare in giudizio, nemmeno per difendere sé stesso, secondo quanto previsto dall’art. 86 del codice di procedura civile.

L’Inammissibilità degli Altri Motivi di Ricorso

La Cassazione ha dichiarato inammissibili anche gli altri due motivi (prescrizione e congruità della sanzione). La ragione è tecnica ma fondamentale: il CNF aveva emesso una pronuncia di rito, dichiarando l’appello inammissibile senza esaminare il merito. Di conseguenza, le questioni sulla prescrizione e sulla sanzione non facevano parte del decisum della sentenza impugnata. Proporre tali censure per la prima volta in Cassazione è un errore procedurale che porta all’inammissibilità dei motivi stessi.

Le Motivazioni delle Sezioni Unite

La Corte ha spiegato che l’articolo 86 del c.p.c., che consente alla parte di stare in giudizio personalmente se ha la qualità per esercitare l’ufficio di difensore, deve essere coordinato con le norme speciali dell’ordinamento forense. La disciplina speciale per l’avvocato stabilito (D.Lgs. 96/2001) prevale e impone il requisito dell’intesa con un avvocato abilitato. Questa norma non prevede eccezioni, nemmeno quando l’avvocato stabilito è parte del procedimento disciplinare.

Inoltre, la Corte ha chiarito che la possibilità di sanare i vizi di rappresentanza, introdotta dalla riforma dell’articolo 182 c.p.c., non era applicabile al caso di specie, poiché il giudizio dinanzi al CNF era iniziato prima dell’entrata in vigore della modifica legislativa. Il regime precedente, applicabile al caso, non consentiva di sanare l’assenza totale dello ius postulandi.

Poiché il ricorso al CNF era stato proposto irritualmente, la sanzione disciplinare era diventata definitiva, rendendo inutile qualsiasi discussione successiva sulla prescrizione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un principio fondamentale: l’esercizio della professione da parte dell’avvocato stabilito in Italia è subordinato a una stretta collaborazione con i colleghi pienamente abilitati nel nostro Paese, almeno per quanto riguarda l’attività giudiziale. Questa pronuncia serve da monito: un avvocato stabilito che intenda agire in un qualsiasi giudizio, anche se per difendere un proprio diritto in sede disciplinare, deve sempre munirsi di un’intesa formale con un avvocato iscritto all’albo ordinario. In assenza di tale accordo, ogni atto processuale compiuto è nullo e il rischio è quello di vedersi precludere l’accesso alla giustizia per un vizio di forma non sanabile.

Un avvocato stabilito può difendersi da solo in un procedimento disciplinare?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’avvocato stabilito non ha un autonomo ‘ius postulandi’ e deve sempre agire ‘di intesa’ con un professionista abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato in Italia, anche quando deve difendere sé stesso in un procedimento disciplinare.

Cos’è l’ ‘intesa’ richiesta all’avvocato stabilito?
L’intesa è un accordo formale, che deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi i legali, con cui l’avvocato stabilito agisce congiuntamente a un avvocato pienamente abilitato in Italia. Questo accordo è necessario per tutte le attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio.

Perché la Cassazione ha dichiarato inammissibili i motivi sulla prescrizione e sulla sanzione?
Perché il Consiglio Nazionale Forense non aveva deciso su questi punti, ma si era limitato a dichiarare inammissibile l’appello per un vizio procedurale (la mancanza di ‘ius postulandi’). I motivi di ricorso per cassazione devono riguardare ciò che è stato effettivamente deciso dalla sentenza impugnata (‘decisum’). Introdurre questioni di merito non trattate nel grado precedente rende i motivi inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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