Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34420 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34420 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
Oggetto
Mandato -Assistenza in giudizio resa da avvocato stabilito -Nullità per difetto dei presupposti di cui agli artt. 7 e 8 d.lgs. n. 96 del 2001
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21024/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL.studiolegalefratiniEMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 321/2022 depositata il 1° febbraio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’A vv. NOME COGNOME ottenne dal Presidente del Tribunale di Milano decreto ingiuntivo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per la somma di Euro 16.322,61 a titolo di compensi per l’assistenza prestata in loro favore nel giudizio civile che li aveva visti contrapposti, davanti al Tribunale di Perugia, alla Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio.
Vi si opposero gli ingiunti eccependo la nullità del contratto d’opera professionale in quanto l’opposta, non iscritta ad alcun ordine professionale italiano al momento dello svolgimento dell’incarico ma avvocato stabilito, aveva utilizzato l’abbreviazione ‘ Av ‘ ingenerando confusione al cliente (in violazione dell’art. 7 del d.lgs . n. 96 del 2001) e non aveva prodotto la dichiarazione d’ intesa rilasciata da un avvocato abilitato (in violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 96 del 2001); chiesero conseguentemente accertarsi la non debenza dei chiesti compensi, ai sensi dell’art. 2231, primo comma, cod. civ. , ed instarono inoltre per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
In accoglimento dell’opposizione, sotto i profili indicati, il Tribunale adito, con sentenza n. 253 del 2021, revocò il decreto opposto e condannò l’opposta a restituire agli opponenti la somma già ottenuta oltre che al pagamento delle spese processuali.
Con sentenza n. 321/2022, resa pubblica il 1° febbraio 2022, la Corte d’appello di Milano , pronunciando sul gravame interposto dalla COGNOME, confermata la revoca del decreto ingiuntivo ha riformato la decisione di primo grado solo in punto di spese, compensandole per un terzo, come anche quelle del secondo grado, stante il rigetto della domanda riconvenzionale risarcitoria iterata dagli appellati che, con appello incidentale, avevano al riguardo lamentato l’omessa pronuncia del primo giudice.
Per quanto ancora interessa, sul tema dei compensi, ha in motivazione rilevato che:
─ nell’atto introduttivo del giudizio , al quale si riferiscono le prestazioni professionali di cui si chiede la remunerazione, difettavano effettivamente le indicazioni prescritte dall’art. 7 d.lgs. n. 96 del 2001, finalizzate a garantire al cliente una chiara informativa della disponibilità del titolo professionale (cui non poteva considerarsi equipollente la sola abbreviazione ‘ Av ‘ anteposta al nome del difensore);
─ gli opponenti sono stati dunque indotti in errore sulla persona del difensore cui avevano conferito l’incarico, ritenuto in possesso del titolo abilitante italiano, laddove invece si trattava di avvocato stabilito;
─ tanto meno risulta rispettato l’art. 8 d.lgs. cit., non avendo l’avvocato COGNOME dichiarato di avere agito d’intesa con un avvocato abilitato ad esercitare la professione in Italia, che assicurasse i rapporti con l’autorità procedente e fosse responsabile dell’osservanza dei doveri imposti ai difensori; la dichiarazione d’intesa non è stata richiamata nell’atto di citazione, né nella procura alle liti, e, soprattutto, non vi è prova che sia stata prodotta nel giudizio svoltosi davanti al Tribunale Perugia con l’iscrizione a ruolo (circostanza allegata per la prima volta in appello);
─ i n primo grado l’avvocato COGNOME aveva prodotto scrittura di intesa con l’avvocato NOME COGNOME anch’egli nominato procuratore alle liti, consacrata in una scrittura autenticata; la stessa, però, risulta tardiva rispetto alla costituzione in giudizio, essendo la scrittura dell’8 maggio 2014 .
Avverso tale sentenza l’Avv. NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono gli intimati, depositando controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata
data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ..
Sostiene che « deve essere soppesato il passaggio in giudicato della sentenza del processo di Perugia nel quale la questione della nullità della procura non è stata sollevata; il sotteso giudicato copre, dunque, il dedotto ed il deducibile; le sentenze di primo e secondo grado di questo giudizio sono inutiliter datae».
Il secondo motivo di ricorso è così intitolato: « violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 96 del 2001 in relazione all’art. 360 cod. proc. civ. comma 1 n. 3; omissione di giudizio su un documento decisivo (quello recante il n. 16 ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta di cui al giudizio di prime cure e contenente nel suo nucleo oggettivo la dichiarazione di intesa); motivo di ricorso ex art. 360 cod. proc. civ. comma 1 numero 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ».
Dopo aver trascritto ampio stralcio della decisione di primo grado, rileva la ricorrente che « dalla motivazione resa si evince in modo inequivocabile che il Giudice ha basato il proprio convincimento unicamente considerando il documento n. 17 allegato alla comparsa del giudizio di prime cure», mentre «nessuna considerazione … è stata spesa sul documento n. 16 versato in atti dalla convenuta opposta ».
Osserva che « in presenza della dichiarazione di intesa … la eventuale confusione ingenerata nel cliente dall’utilizzo dell’abbreviazione ‘ av .’ in luogo della dicitura ‘ abogado ‘, fermo il rilievo disciplinare -e la sussistenza di eventuali ipotesi di annullabilitànon poteva certo incidere … sulla validità del contratto di prestazione
d’opera professionale ».
Ciò in quanto -sostiene- la eventuale violazione di una norma di comportamento non può determinare la nullità del contratto.
Il primo motivo è inammissibile, sotto almeno due profili, ed è comunque manifestamente infondato.
3.1. Come questa Corte ha più volte chiarito, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato (v. ex multis Cass. n. 15737 del 23/06/2017; n. 13988 del 31/05/2018; n. 1398 del 22/01/2021): onere nella specie in alcun modo assolto.
3.2. Inoltre, secondo principio altrettanto consolidato, in tema di impugnazioni, l’eccezione di giudicato esterno può essere proposta nel corso del giudizio di legittimità a condizione che si sia formato dopo la conclusione del processo di appello e che la parte provveda a dedurre tempestivamente i fatti «nuovi» sopravvenuti, sicché l’eccezione è preclusa e il motivo d’impugnazione è inammissibile, se il giudicato sia intervenuto nelle more del giudizio d’appello senza tempestiva deduzione in quella sede, posto che in tal caso la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione ex art. 395 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U. 20/10/2010, n. 21493; v. anche Cass. 4/11/2015, n. 22506; 17/12/2015, n. 25401; 19/10/2016, n. 21170): nel caso di specie, l’ipotizzato giudicato si sarebbe formato addirittura prima dell’inizio del giudizio di merito e non risulta ─ né tanto meno è in questa sede precisato nel rispetto degli oneri imposti dagli art. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. ─ che l’opposta l’abbia mai dedotto per contrastare le ragioni addotte dagli opponenti.
3.3. In ogni caso, la sentenza resa a conclusione del giudizio cui è
riferita la prestazione professionale non potrebbe mai spiegare effetti vincolanti nella presente sede per ragioni soggettive e oggettive.
3.3.1. Essa verteva, infatti, anzitutto tra parti diverse: da un lato, gli odierni resistenti, dall’altro, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio.
Non può certo considerarsi quale terza parte contrapposta agli odierni resistenti il soggetto che in quel giudizio compariva quale difensore degli stessi, costituendo l’uno e gli altri, nell’ambito di quel giudizio, una sola e identica parte processuale.
3.3.2. Quel giudizio verteva comunque su questione totalmente diversa, rispetto alla cui risoluzione non costituiva passaggio logico necessario l’accertamento della validità della procura conferita da una parte del processo al proprio difensore.
Né si potrebbe in alcun modo ritenere che il mancato rilievo, in quel giudizio, della nullità della procura implichi accertamento sulla validità della stessa, significando esso solamente che su quel punto è mancato alcun accertamento.
Il secondo motivo è inammissibile, con riferimento ad entrambe le censure che al suo interno sono prospettate.
4.1. È inammissibile nella parte in cui denuncia vizio di omesso esame ex art. 360 n. 5 c.p.c., per la preclusione che deriva – ai sensi dell’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. – dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 28/02/2023, n. 5947; 15/03/2022, n. 8320; 6/08/2019, n. 20994; n. 22/12/2016, n. 26774); non può, anzi, non rimarcarsi che la censura viene
espressamente riferita alla sentenza di primo grado e solo di riflesso a quella d’appello, con riferimento alla quale si dice soltanto che « la Corte d’appello non ha cambiato opinione ed ha assentito con una sentenza fotocopia le motivazioni del primo giudice ».
4.2. Anche a intendere tale ultimo rilievo come diretto a denunciare vizio di omessa o apparente motivazione ex art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., là dove si imputa alla sentenza di avere motivato per relationem rispetto alla motivazione di primo grado, essa andrebbe detta ugualmente inammissibile per evidente carenza degli elementi che dovrebbero essere offerti al fine di consentirne il vaglio sotto tale profilo, non avendo in particolare la ricorrente evidenziato come e in che termini la motivazione di primo grado fosse stata censurata in sede di gravame.
Secondo principio consolidato, infatti, « in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366, n. 6, c.p.c. occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali » (Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, Rv. 643334).
4.3. La censura, peraltro, non sembra cogliere il nucleo centrale della ratio decidendi spesa sul punto dalla Corte d’appello che sta nel rilievo secondo cui « la dichiarazione d’intesa non è stata richiamata nell’atto di citazione, né nella procura alle liti e, soprattutto, non vi è prova che sia stata prodotta nel giudizio svoltosi davanti al Tribunale Perugia, con l’iscrizione a ruolo (circostanza allegata per la prima volta in appello) ».
Tale rilievo è di portata tale da doversi intendere come riferito non alla sola dichiarazione d’intesa che nel presente procedimento risulta
prodotta come allegato n. 17, ma anche a quella che, sempre nel presente procedimento, risulta prodotta come allegato n. 16 (e a cui è riferita la censura di omesso esame): il soggetto della proposizione è « la dichiarazione d’intesa » (dunque ogni dichiarazione d’intesa, non solo quella datata 8 maggio 2014 e allegata sub doc. n. 17).
Che sia questo il senso della frase è confermato anche dalla proposizione immediatamente successiva , nella quale si fa bensì specifico riferimento alla dichiarazione allegata come doc. 17, ma solo per dire che tale dichiarazione non smentiva il rilievo precedente.
In altre parole, il fulcro della decisione non sta nel rilievo che nel presente procedimento mancasse la prova dell’esistenza di una idonea e specifica dichiarazione d’intesa, ma in quello che tale dichiarazione non risultava prodotta nel giudizio davanti al Tribunale di Perugia.
L’assunto, dunque, posto a fondamento del motivo in esame, che agli atti del giudizio di primo grado del presente procedimento fosse presente, oltre a quella contenuta nel doc. 17, anche altra dichiarazione d’intesa, recante data precedente e allegata come doc. 16, di per sé non vale a confutare il rilievo che nessuna dichiarazione risultava invece prodotta nel giudizio davanti al Tribunale di Perugia.
4.4. Mette conto peraltro aggiungere che difetterebbe comunque il requisito della decisività del fatto di cui si lamenta l’omesso esame.
Nemmeno la dichiarazione menzionata in ricorso (doc. 16) soddisfa, infatti, il requisito di uno specifico riferimento al giudizio davanti al Tribunale di Perugia nel quale è stata resa la prestazione cui è riferita la pretesa opposta: requisito, invero, univocamente desumibile dall’art. 8 d.lgs. cit. là dove prevede che il professionista
abilitato, d’intesa col quale l’avvocato stabilito deve agire, « assicura i rapporti con l’autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori ».
4.5. Ne deriva l’inammissibilità anche della censura di error in iudicando , in quando dedotta sulla base di una diversa ricognizione del fatto (vale a dire sul presupposto che debba nella specie considerarsi in punto di fatto assolto l’onere imposto dall’art. 8 d.lgs. n. 96 del 2001).
Essa, dunque, lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie concreta così come accertata in sentenza, impinge esclusivamente nella ricognizione della stessa, sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., la cui prospettazione nel caso di specie va incontro ai rilievi sopra esposti.
4.6. A tutto concedere, peraltro, quand’anche fosse stata effettivamente prodotta nel giudizio davanti al Tribunale di Perugia specifica e idonea dichiarazione d’intesa, rimarrebbe comunque valida e autosufficiente ragione giustificativa della decisione qui impugnata l’inosservanza, in sé non contestata, dei requisiti previsti dall’art. 7 d.lgs. cit. .
Non può, al riguardo, condividersi l’assunto della ricorrente secondo cui l’inosservanza di tale disposizione assume rilievo solo sul piano disciplinare, ma non determina effetti invalidanti rispetto al
rapporto d’opera professionale.
Non pare dubitabile che, essendo posto allo scopo di evitare utilizzi decettivi o ingannevoli del titolo di avvocato, la sua violazione e tanto più l’effettivo risultato di trarre in inganno i clienti riguardo al possesso di tale titolo ─ nella specie oggetto di accertamento non fatto segno di specifica censura ─ comportino un vizio genetico del contratto d’opera professionale che ne determina la nullità.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente procedimento, liquidate come da dispositivo e da distrarsi in favore del difensore antistatario che ne ha fatto rituale richiesta nel controricorso.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, distratte in favore del difensore antistatario, Avv. NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto
per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza