Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32615 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32615 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5553-2019 proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. 5553/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 26/09/2024
CC
avverso la sentenza n. 82/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 08/11/2018 R.G.N. 49/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 82/2018, la Corte d’appello di Trento ha respinto il gravame di COGNOME NOME avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva rigettato la sua opposizione ad avviso di addebito, emesso a seguito di un accertamento ispettivo che aveva riqualificato come ordinario rapporto di lavoro subordinato quello intercorso tra l’opponente ed il soggetto dalla cui denuncia l’accertamento aveva preso le mosse.
Vidi NOME censura la pronuncia sulla base di cinque motivi.
Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 26 settembre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
CONSIDERATO CHE
Vidi NOME articola cinque motivi di ricorso.
I Motivo) violazione di legge, ex art. 360 comma 1 n. 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 51 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. perché il collegio giudicante era composto in parte da
magistrati che avevano già conosciuto i fatti oggetto del procedimento poiché facenti parte del collegio che aveva deciso vertenza tra il lavoratore ed altro convenuto.
II Motivo) violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 12/1979 e dell’art. 8 DM Ministro del Lavoro 15 gennaio 2014 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.: l’appellante aveva eccepito la nullità derivata dell’avviso di adde bito perché non era mai stato notiziato dell’avvio del procedimento ispettivo e la Corte d’appello ha respinto il motivo di gravame avverso il capo della sentenza che aveva ritenuto non sussistente l’obbligo di informazione con motivazione ritenuta contraddittoria.
III Motivo) violazione o falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 689/1981, dell’art. 3 della legge n. 241/1990, dell’art.13, comma 4, del d.lgs. n. 124/2004 come sostituito dall’art. 33 della legge n. 183/2010, dell’art. 5, comma 2, del D 15 gennaio 2014 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per avere la Corte ritenuto non fondata la doglianza di carenza di motivazione dell’avviso di addebito nonchè quella concernente la mancata audizione del ricorrente.
IV Motivo) violazione e/o falsa applicazione degli art. 2697 cod. civ., 112, 116, 253 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; illogica, insufficiente, fuorviante e contraddittoria motivazione in relazione a punti controversi e decisivi del giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per non avere la Corte considerato nel loro complesso gli elementi probatori acquisiti, testimoniali e documentali.
V Motivo) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per avere la Corte travalicato il limite tra chiesto e pronunciato in ordine alle sanzioni pecuniarie.
Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente, che afferma la sussistenza di ragioni di incompatibilità in capo a componenti del collegio tali che avrebbero dovuto comportarne l’astensione, non lamenta la nullità della sentenza ma violazione di legge.
L’aver fatto parte di altro collegio d’appello che ha deciso altra vertenza tra soggetti diversi e con diverso oggetto (pur nella sussistenza dei medesimi fatti materiali, ossia qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato) non costituisce ragione di obbligo di astensione ex art. 51 cod. proc. civ. (né, del resto, vi era stata ricusazione del componente del collegio ma solo una ‘eccezione di incompatibilità’ da parte della difesa).
Va richiamata sul punto la costante giurisprudenza di questa Corte come espressa, ex multis , da Cass. n. 15268/2019: «l’obbligo di astensione sancito dall’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. si impone solo al giudice che abbia conosciuto della stessa causa come magistrato in altro grado, posto che la norma è volta ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima “res iudicanda” in un unico processo; ne consegue che l’obbligo non può essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorché riguardante le stesse parti e pur se implicante la risoluzione di identiche questioni» (su necessità di previa ricusazione per far valere il difetto di capacità del giudice v. Cass. n. 7378/2023, Cass. n. 16831/2022 e precedenti richiamati).
Infondati sono il secondo e terzo motivo, da analizzarsi congiuntamente per l’intima connessione che li lega.
Con essi il ricorrente lamenta la sussistenza di violazioni delle garanzie endoprocedimentali nel procedimento ispettivo, dolendosi di non essere stato notiziato dell’avvio del medesimo nonchè del fatto che l’avviso di addebito non fosse motivato e che la sua richiesta di audizione fosse stata respinta, violazioni che, anche laddove ritenute sussistenti, non potrebbero determinare l’esito preteso, posto che il giudice del lavoro non è giudice dell’atto amministrativo ma del rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
Come da giurisprudenza consolidata di questa Corte, in caso di opposizione ad avviso di addebito o a cartella di pagamento, il ricorso introduce un ordinario giudizio di cognizione in ordine al rapporto contributivo, sicchè, anche in caso di eccepita nullità dell’avviso o della cartella, deve essere esaminato il merito della pretesa contributiva e deve essere vagliata la sussistenza o meno della dedotta obbligazione contributiva (Cass. n. 13313/2024, n. 8792/2024, n. 8781/2024 tra le più recenti).
L’opposizione promossa dall’odierno ricorrente ha instaurato un giudizio a cognizione piena, che non può arrestarsi al riscontro dei vizi formali dell’atto, denunciati nel ricorso, ed investe, in una prospettiva più ampia, la fondatezza della pretesa dedotta dall’Istituto. È nel giudizio e nel dispiegarsi del contraddittorio processuale che la pretesa dev’essere vagliata in tutti i suoi elementi costitutivi.
Con tale doverosa disamina, la Corte di merito si è cimentata, sulla scorta delle allegazioni e delle difese delle parti.
Come di recente argomentato da Cass. n. 19776/2023 (in un giudizio che aveva ad oggetto un’azione di accertamento negativo del credito contributivo, preteso da INPS sulla base di due verbali di accertamento ispettivo), «la violazione delle regole del giusto procedimento, sancite dai precetti
costituzionali (art. 97 Cost.) e specificate dalla legge nr. 241 del 1990, non si ripercuote sul sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali, ancorato alla sussistenza dei requisiti tipizzati dalla legge (di recente, Cass. nr. 3129 del 2023 che richiama Cass. nr. 37971 del 2022, punto 10, in conformità a un indirizzo oramai costante); … allorché difettino i fatti costitutivi del diritto vantato, l’interessato non può limitarsi a far leva sulle anomalie del procedimento amministrativo al fine di conseguire la prestazione che rivendica (sentenza nr. 37971 del 2022, cit., punto 11; in epoca più risalente, Cass., sez. lav., 24 febbraio 2003, n. 2804); …detti principi si attagliano anche all’ipotesi in cui sia stato l’Istituto previdenziale a dare impulso al procedimento, in seguito a una verifica ispettiva (Cass., nr. 3129 cit; Cass. nr. 31954 del 2019; nei medesimi termini, Cass. nr. 20604 del 2014); …quel che rileva è sempre l’accertamento del rapporto sostanziale dedotto in causa».
Né può poi sottacersi che, come già più volte precisato da questa Corte, «nel giudizio sul rapporto previdenziale, il verbale ispettivo viene in rilievo non nella sua natura di atto amministrativo, di cui si possa sindacare la legittimità come afferma il motivo, bensì come fonte di prova, liberamente valutabile dal giudice ai sensi dell’art.116 c.p.c. (Cass.14965/12)» (Cass. n. 5851/2024), con la conseguenza che, nella specie, il ricorrente avrebbe dovuto affermare che il verbale di accertamento era prova inattendibile in quanto non motivato, ma ciò non ha fatto, dolendosi, invece di vizi formali e procedurali ex se.
Inammissibile è il quarto motivo, con il quale, innanzitutto, si censura una insufficienza di motivazione, non più prospettabile.
Come noto, «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. n.7090/2022 ex plurimis ).
Nella specie, la Corte trentina, nell’ambito del proprio prudente apprezzamento delle risultanze istruttorie, ha concluso per la natura subordinata del rapporto di lavoro del soggetto dalla cui denuncia era partito l’accertamento, considerando e valorizzando le emergenze di causa, in particolare: la sua dichiarazione resa in sede ispettiva in ordine all’attività lavorativa prestata; le contraddizioni dell’atto di appello; l’inconsistenza della tesi che avrebbe voluto qualificare come praticantato libero pro fessionale l’attività del collaboratore – che si scontrava con i dati fattuali costituiti dall’omesso invio al competente ordine dei commercialisti della domanda di iscrizione nel registro dei praticanti contabili fatta sottoscrivere all’interessato, nella mancanza, in capo allo stesso, dei requisiti per formulare la richiesta, nel fatto che il medesimo, prima del supposto praticantato, fosse stato regolarmente assunto dallo studio del ricorrente, nell’eccessiva lunghezza (4 anni) del
periodo di pretesa pratica, che si sarebbe svolta a distanza di ben quattro anni dall’acquisizione del diploma; le sommarie informazioni acquisite in sede ispettiva sulla attività in concreto svolta dal denunciante e sulle modalità di svolgimento della ste ssa; le prove testimoniali assunte in primo grado; l’assenza di partita iva e di collaborazioni ulteriori.
La conclusione cui è giunta la Corte, poggiando sulla propria libera valutazione delle emergenze istruttorie, non è sindacabile se non nei limiti dell’art.360, comma 1, n.5 cod. proc. civ. (Cass. S.U. 20867/2020), rispetto al quale il motivo nulla, in effetti, argomenta.
Infatti, l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo come riformulato, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Detta violazione non è, però, configurabile se, come nel caso in esame, il fatto storico, rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. SU n. 8053 del 2014).
La censura che il medesimo motivo prospetta in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. non è stata, poi, correttamente veicolata, in presenza di sentenza confermativa della pronuncia di primo grado, sicchè il ricorrente avrebbe dovuto indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono
tra loro divergenti (Cass. n. 17005/2024, Cass. 5947/2023, Cass. n. 5528/2014; Cass. n. 26774/2016).
In realtà, con il quarto motivo, il ricorrente cerca di portare il giudice di legittimità ad una rilettura delle prove sul fatto, del quale chiede una nuova valutazione, attraverso una riproposizione delle emergenze di causa.
Sul punto, valga richiamare, ex multis , Cass. n. 17428/2021: «la valutazione delle risultanze istruttorie appartiene al dominio esclusivo del giudice del merito e ancora di recente le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass, SS.UU. n. 34476 del 2019; Cass. SS.UU. n. 33373 dei 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020)». A ciò si aggiunga che, come in più occasioni affermato, l’eventuale omesso esame di elementi istruttori di per sé non integra il vizio di omesso esame, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato preso in considerazione dal giudice, anche se la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie.
Infatti, per insegnamento costante di questa Corte, «il giudice non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi
sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Cass. n. 7675/2019, n. 21672/2018).
La doglianza investe, quindi, inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ. -la cui violazione, peraltro, è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass. n. 27301/2024, SU n. 11892/2016), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame -e si concretizza in una critica alla valutazione svolta in sentenza attraverso una differente, contrapposta lettura, sicchè, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, della circostanza controversa e del giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze, si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità e dunque inammissibile (Cass. n. 10749/2024, n. 25166/2019): «l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare
tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ( ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 16056/2016)» (Cass. n. 10749/2024).
Infondato è, infine, il quinto motivo, posto che la statuizione sulle sanzioni non può dirsi estranea al thema decidendum : vertendosi in materia di opposizione ad avviso di addebito, che viene contestato nel merito della debenza della contribuzione con lo stesso pretesa, oggetto del giudizio è, necessariamente, anche la debenza delle sanzioni, che sono consequenziali alla pr etesa fatta valere dall’Istituto.
Nella specie, l’affermazione contenuta in chiusura di sentenza in ordine alla correttezza del criterio di calcolo delle sanzioni civili si correla alla posizione processuale di soccombenza del ricorrente ed al contenuto della domanda introduttiva del giudi zio che lo stesso aveva proposto, poiché l’oggetto della domanda, con cui si contestava in radice l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la debenza di quanto preteso dall’Istituto, comprendeva anche le sanzioni correlate alla omissione contribu tiva: una volta confermata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e quindi dell’obbligo contributivo, viene confermato di conseguenza anche il calcolo delle sanzioni civili, senza che ciò possa essere considerato ultra petita .
Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con condanna alle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5500,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 26 settembre