Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1645 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1645 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/01/2025
Oggetto
Liquidazione d’avvocato
compensi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21690/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’ Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
COGNOME Avv. NOME, rappresentato e difeso da sé stesso (p.e.c.: EMAIL, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO INDIRIZZO, INDIRIZZO; -controricorrente – avverso l’ordinanza del Tribunale di Viterbo n. 1171/2022 depositata
il 29 giugno 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art . 14 d.lgs. n. 150 del 2011 l’Avv. NOME COGNOME chiese accertarsi il proprio diritto ad ottenere da NOME COGNOME e NOME COGNOME (rispettivamente madre e figlia) il pagamento dei compensi a lui spettanti per le prestazioni giudiziali rese in loro favore in diversi procedimenti davanti al Tribunale di Roma ed al Tribunale di Viterbo, con le conseguenti statuizioni di condanna.
Con ordinanza depositata in data 29 giugno 2022 l’adito Tribunale di Viterbo, rilevato che con sentenza n. 62 del 2022 era stata dichiarata apocrifa la quietanza prodotta dalle resistenti, le ha condannate in solido a corrispondere al ricorrente la complessiva somma di Euro 38.101,16.
Avverso tale provvedimento NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso straordinario ex art. 111, settimo comma, Cost. affidato a cinque motivi, cui resiste l’Avv. COGNOME depositando controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le ricorrenti denunciano, ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « violazione dell’art. 24, comma 4, del d.lgs. n. 137 del 2020, per l’irrituale notifica a mezzo p.e.c. alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo, e violazione dell’art. 298 c.p.c. per prematura istanza di riassunzione del processo
e conseguente nullità di tutti gli atti compiuti nel processo sospeso, in relazione agli artt. 24 co. 2 e 111 co. 2 Cost. ».
Sostengono che ─ nonostante l ‘ attestazione di cancelleria del passaggio in giudicato della sentenza n. 350 del 2021 resa dal Tribunale di Viterbo nel giudizio per querela di falso separatamente promosso in via principale dal COGNOME ed iscritto al n. 1481 del 2019 e in attesa della cui definizione era stata ordinata la sospensione del procedimento a quo ─ detta sentenza, al momento in cui controparte provvide alla riassunzione del giudizio sospeso, non poteva considerarsi ancora effettivamente passata in giudicato, per essere stata essa irritualmente notificata al Pubblico Ministero a mezzo p.e.c. inviata ad indirizzo (« prot.procuraEMAIL ») non abilitato alla ricezione di atti provenienti dalle parti, discendendone, ex art. 298, primo comma, cod. proc. civ., l’inefficacia della riassunzione e la nullità di tutti gli atti successivi.
2. Il motivo è infondato.
Indipendentemente da ogni valutazione sulla sussistenza della dedotta nullità della notifica al P.M. della sentenza conclusiva del processo pregiudiziale e in disparte il rilievo della manifesta inosservanza degli oneri di specificità ed autosufficienza delle relative allegazioni, è dirimente il rilievo che l’assunto secondo cui l’asserita irrituale notifica nei confronti del P.M. della sentenza resa nel giudizio di querela di falso avrebbe impedito il suo passaggio in giudicato è comunque destituito di giuridico fondamento.
Nei giudizi per querela di falso è previsto l’intervento obbligatorio del P.M. (art. 221, terzo comma, cod. proc. civ.), ma egli non è parte del processo, né è legittimato a proporre impugnazione (v. art. 72 cod. proc. civ.; Cass. 26/04/1979, n. 2407, Rv. 398713; v. anche conff., Cass. n. 4305 del 28/06/1986, Rv. 447072; n. 15504 del 05/11/2002, Rv. 558236; n. 23311 del 14/12/2004, Rv. 578476; n. 21092 del 09/10/2007, Rv. 599092).
La mancanza o la nullità della notifica nei suoi confronti della sentenza conclusiva del giudizio di falso, quand’anche ravvisabile nella specie, non avrebbe dunque potuto impedire il passaggio in giudicato della sentenza medesima per decorso del termine breve decorrente, ex artt. 285 e 326 cod. proc. civ., dalla notifica della sentenza effettuata dall’Avv. COGNOME nei confronti delle controparti, odierne ricorrenti.
Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano, ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « violazione degli artt. 190 e 275 c.p.c. in relazione all’art. 24 co. 2 e all’art. 111 co. 2 Cost., per avere il Tribunale di Viterbo deliberato la causa nella data del 7 Aprile 2022, indicata sia nella parte introduttiva che in calce all’ordinanza, prima della rimessione al Collegio in data 28 Giugno 2022 e per aver emesso e pubblicato lo stesso provvedimento il 29 Giugno 2022 senza attendere la scadenza dei termini perentori per il deposito delle memorie conclusionali e delle memorie di replica concesse ».
Il motivo è inammissibile, per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c..
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque, l’ammissibilità del motivo di censura, cosicché il ricorrente è tenuto ─ in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale ─ non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a indicare specificamente e localizzare nel fascicolo di causa gli atti da cui la dedotta violazione risulti (v. ex plurimis Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).
Nella specie le ricorrenti omettono di riportare o di trascrivere, quanto meno nelle parti rilevanti, il verbale d’udienza del 7 aprile
2022 che si dice contenesse l’assegnazione alle parti di un doppio termine per il deposito di memorie e repliche; neppure indicano, nel rispetto della citata disposizione normativa (Cass. Sez. U. 05/07/2013, n. 16887), se tale documento sia stato allegato al ricorso, in base alla previsione del successivo articolo 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass. Sez. U. 02/12/2008, n. 28547).
Come è stato più volte ribadito, l’osservanza del requisito della specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, requisito previsto dall’articolo 366, n. 6, cod. proc. civ., richiede « che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile » (Cass. Sez. U. 25/03/2010, n. 7161; Cass. 21/05/2020, n. 9341; 04/02/2020, n. 2520; 15/01/2020, n. 710; 07/11/2019, n. 28712; 27/06/2019, n. 17337).
Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., « omessa motivazione, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., quale requisito essenziale del provvedimento, e violazione del principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati all’art. 111, comma 6, Cost., nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento al capo della sentenza che ha determinato gli onorari in favore del resistente. Violazione del D.M. n. 55/2014 per la determinazione dei compensi dell’avvocato ».
Lamentano che il provvedimento impugnato sia privo della motivazione, per essersi il Collegio limitato, senza argomentare, ad una mera elencazione di calcoli, oltretutto matematicamente e logicamente contraddittori, che non consente di individuare le ragioni logico giuridiche poste a fondamento della decisione.
6. Il motivo è inammissibile.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti; la motivazione, pur estremamente succinta e in talune parti affetta da vuoti sintattici, risulta nel complesso comprensibile: si evince da essa che, con riferimento a ciascuno dei procedimenti per i quali sono state rese le prestazioni professionali per le quali sono chiesti i compensi, il Tribunale ha proceduto alla liquidazione sulla base delle parcelle predisposte dal legale, detraendo dagli importi in esse indicati gli acconti che rileva essere incontestati o idoneamente documentati, con esclusione di quelli recati da quietanze che in separato giudizio sono state ritenute recanti sottoscrizione non autentica (sentenza n. 62 del 2022).
Piuttosto, è la censura a porsi al di fuori del paradigma tracciato
dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa: a ben vedere, infatti, le ricorrenti mostrano di comprendere i motivi della decisione, ma ne contestano gli esiti in relazione a pretese lacune od omissioni riguardanti dati o elementi che esse assumono avrebbero dovuto essere considerati o per l’asserit o erroneo riconoscimento del compenso in relazione a fasi che, per taluno dei procedimenti, non avrebbero in realtà avuto luogo.
Devesi al riguardo ribadire che, intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione. Non può invece un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).
In questo secondo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) diretta a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti .
Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude,
infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio .
In relazione a tali limiti è appena il caso di rilevare poi l’inammissibilità del vizio contestualmente dedotto di insufficiente e contraddittoria motivazione, non essendo più ammesso in sede di legittimità un sindacato della motivazione sotto tali profili.
Parimenti inammissibile è poi la denuncia di violazione del d.m. n. 55 del 2014, in quanto prospettata sulla base di argomenti fattuali, non giuridici, peraltro esposti in palese inosservanza degli oneri di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ..
Con il quarto motivo le ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., « omesso esame di un fatto storico e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero la palese violazione del principio del ne bis in idem per intervenuto giudicato sostanziale e formale dell’ordinanza del 10 gennaio 2019, RG 1629/2018 del Tribunale di Viterbo ».
Il motivo è inammissibile sotto due profili.
10.1. Come questa Corte ha più volte chiarito, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato (v. ex multis Cass. n. 15737 del 23/06/2017; n. 13988 del 31/05/2018; n. 1398 del 22/01/2021): onere nella specie in alcun modo assolto.
10.2. Inoltre, secondo principio altrettanto consolidato, in tema di impugnazioni, l’eccezione di giudicato esterno può essere proposta nel corso del giudizio di legittimità a condizione che si sia formato dopo la conclusione del processo di merito e che la parte provveda a dedurre tempestivamente i fatti «nuovi» sopravvenuti, sicché l’eccezione è preclusa, e il motivo d’impugnazione è inammissibile, se il giudicato sia intervenuto nelle more del giudizio di merito senza tempestiva deduzione in quella sede, posto che in tal caso la sentenza che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione ex art. 395 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U. 20/10/2010, n. 21493; v. anche Cass. 4/11/2015, n. 22506; 17/12/2015, n. 25401; 19/10/2016, n. 21170): nel caso di specie, l’ipotizzato giudicato si sarebbe formato nel 2018 e, dunque, addirittura prima dell’inizio del giudizio di merito e non risulta ─ né tanto meno è in questa sede precisato nel rispetto degli oneri imposti dagli art. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. ─ che le ricorrenti lo abbiano mai dedotto per contrastare le ragioni addotte dalla controparte.
Con il quinto motivo le ricorrenti denunciano, ex art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., considerato che la domanda di liquidazione degli onorari è stata proposta pro quota dall’allora ricorrente e la condanna invece risulta in solido tra le parti, affetta dal vizio di extra/ultrapetizione per la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato ».
Anche tale censura si appalesa inammissibile per l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione dell’atto richiamato (ricorso introduttivo dell’Avv. COGNOME) .
Le ricorrenti omettono di riportare il contenuto delle domande proposte dalla controparte nell’atto introduttivo del giudizio, non mettendo così questa Corte nelle condizioni di verificare direttamente,
senza la necessaria mediazione della ricerca dell’atto nel fascicolo di causa, se fosse specificamente espressa una suddivisione pro quota della pretesa contestualmente avanzata nei confronti delle due odierne resistenti: specificazione tanto più necessaria ove si consideri che, trattandosi secondo quanto è dato desumere dalla sentenza e dalla stessa prospettazione delle parti, di incarichi professionali tutti conferiti e svolti nell’interesse comune di entramb e e, dunque, di rapporto unitario, la solidarietà dal lato passivo delle obbligazioni gravanti sulle mandanti deve presumersi ex art. 1294 cod. civ., con evidente riflesso anche sulla interpretazione della domanda sotto il profilo in questione.
Come è stato già in passato affermato, infatti, l ‘esistenza della presunzione fa sì che la domanda di condanna in solido sia da ritenere implicita in quella di condanna dei vari debitori (Cass. n. 2590 del 1960).
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere in definitiva dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna delle ricorrenti, in solido, alla rifusione in favore del controricorrente delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro
200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza