Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14696 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14696 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17832 R.G. anno 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, personalmente e in qualità di legale rappresentante della società , rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliat i presso quest’ultimo ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
contro
ricorrenti avverso la sentenza n. 3138/2022 depositata l’11 maggio 2022 .
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. E’ impugnata per cassazi one la sentenza della Corte di appello d i Roma, pubblicata l’11 maggio 2022, con cui è stato respinto il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante della società, avverso pronuncia del Tribunale capitolino. Questo aveva accolto le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE e COGNOME e aveva accertato che i detti convenuti violarono i diritti esclusivi delle società attrici su due software ; aveva inoltre condannato i convenuti al risarcimento del danno, disposto l’inibitoria al la prosecuzione o reiterazione dell ‘ illecito e ordinato la cancellazione dei programmi, oltre che la pubblicazione dell’intestazione e del disp ositivo della sentenza su due quotidiani a diffusione nazionale.
2. ─ Il ricorso per cassazione di NOME e COGNOME è articolato in due motivi. Resistono con controricorso RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Col primo motivo si denunciano la violazione e falsa applicazione di legge. La censura investe l’affermazione della Corte di appello secondo cui il c.t.u. sarebbe incorso in errore materiale nel dichiarare che l ‘ unica società ispezionata era RAGIONE_SOCIALE. Si deduce che il verbale del consulente sarebbe stato redatto correttamente e non recherebbe traccia di alcun errore materiale.
Col secondo mezzo i ricorrenti oppongono, ancora, la violazione e falsa applicazione di legge. Si deduce che il verbale di accesso del c.t.u. è un atto pubblico e che lo stesso non era stato oggetto di querela di falso : unico rimedio contemplato dall’ordinamento per contestare l’efficacia probatoria privilegiata del documento in questione.
2. La proposta impugnazione verte sull’accertamento disposto
nei confronti degli odierni ricorrenti, oltre che della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita nelle more del giudizio di merito, quanto all’illegittimo sfruttamento dei programmi di elaboratore nell a titolarità delle odierne controricorrenti. Viene in discorso, in particolare, l’attività espletata dal consulente nel corso di un procedimento di descrizione ante causam ex art. 161 l. aut. (l. n. 633/1941). La Corte di appello ha osservato che sia RAGIONE_SOCIALE che RAGIONE_SOCIALE operavano evidentemente al piano terra di un edificio ─ il cui primo piano era occupato da altra società, come rilevato dal c.t.u. ─ e che l’ausilia rio era incorso in errore materiale allorché aveva dichiarato di aver eseguito l’accesso presso la sola sede legale della società RAGIONE_SOCIALE. Ha osservato, in proposito, che nella sala stampa al piano terra il consulente aveva rinvenuto elaboratori di proprietà di RAGIONE_SOCIALE con installati prodotti delle società appellate: a tal fine viene menzionata la pag. 8 della relazione dell’ausiliario, ove si dà atto che «sull’elaboratore RAGIONE_SOCIALEeditrice03», appunto ubicato nella nominata sala stampa, erano presenti i programmi Office 2004 per Mac e Acrobat 9 Professional.
3. ─ I due motivi sono inammissibili e tale è il ricorso.
Entrambi i mezzi di censura denunciano la violazione e la falsa applicazione «della legge, ex art. 360, n. 3, c.p.c.», ma non precisano quali siano le norme di diritto di cui è lamentata l’inosservanza .
Merita ricordare, al riguardo, che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza
che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998).
I due motivi risultano essere, inoltre, carenti di autosufficienza.
Il primo è incentrato su di un verbale redatto dal c.t.u. «in linea con il verbale dell’ufficiale giudiziario », il secondo sul valore di atto pubblico che andrebbe riconosciuto a quest’ultimo verbale. I due mezzi di censura non recano, però, alcuna trascrizione, nemmeno in forma riassuntiva, dei due documenti che menzionano, né forniscono indicazioni quanto alla loro localizzazione nei fascicoli di causa. Ora, questa Corte reputa inammissibili, per violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass. 1 luglio 2021, n. 18695); più di recente, in una prospettiva che valorizza il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU questa S.C. ha precisato come l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi possa avvenire alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481): è stato difatti osservato che il principio di autosufficienza non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18 marzo 2022, n. 8950).
I proposti motivi sono infine non concludenti.
Si legge nel provvedimento impugnato che l’affermazione del c.t.u. relativa all’accesso presso l’immobile era contenuta nella relazione da lui redatta, ove era precisato che l’ausiliario stesso aveva eseguito l’accesso presso la sede legale della sola società RAGIONE_SOCIALE . E’ da escludere che l’elaborato , redatto da pubblico ufficiale (tale essendo certamente il c.t.u.), avesse valore fidefaciente quanto al fatto che sul luogo non operasse la società RAGIONE_SOCIALE. Ciò in quanto la sentenza impugnata non dà atto di alcuna precisa attestazione in tal senso: e del resto, una tale attestazione presenterebbe un fondamento valutativo quanto agli elementi rivelatori della presenza della società nei locali e non sarebbe perciò riconducibile a quanto l’atto pubblico è in grado di comprovare fino a querela di falso (la sua provenienza dal pubblico ufficiale, nonché e dichiarazioni delle parti e i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti). In conclusione, non vi è ragione per negare che la Corte di appello avesse la facoltà di interpretare l ‘elaborato peritale valorizzando, quale elemento decisivo, ai fini che rilevano in questa sede, il dato della presenza, nei locali visitati dal consulente, di due elaboratori di RAGIONE_SOCIALE. E ‘ anzi da aggiungere che un ‘ attività interpretativa del giudice del merito non avrebbe potuto trovare ostacolo n eppure nell’ipotesi in cui avesse avuto ad oggetto vere e proprie attestazioni del pubblico ufficiale circa i fatti avvenuti alla sua presenza (cfr., infatti, Cass. 28 luglio 1975, n. 2921).
4. ─ Ricorrono le condizioni per la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. richiesta dalle controricorrenti: ai fini indicati può assumere rilievo, infatti, anche la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame (Cass. Sez. U. 13 settembre 2018, n. 22405), come pure il fatto che questo presenti contenuti estremamente distanti dai precetti del codice di rito (Cass. 3 luglio 2019, n. 17814), o la deduzione di motivi palesemente inammissibili (Cass. 4 agosto 2021, n. 22208).
5. ─ Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna la ricorrente, a norma dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento dell’ulteriore somma di euro 7.000,00; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, ins erito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione