Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21895 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21895 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29187-2021 proposto da:
NOME, domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 360/2021 d ella Corte d’appello di Lecce, depositata in data 14/09/2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 07/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Inammissibilità del ricorso
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/03/2024
Adunanza camerale
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 360/21, del 14 settembre 2021, della Corte d’appello di Lecce, che respingendone il gravame proposto avverso la sentenza n. 3652/18, del 6 novembre 2018, del Tribunale di Lecce (dichiarando assorbito quello incidentale condizionato proposto da NOME COGNOME) -ha confermato la risoluzione, per grave inadempimento del conduttore COGNOME, del contratto di locazione immobiliare ad uso diverso da quello abitativo, condannandolo al pagamento, in favore della locatrice, della somma di € 10.000,00 per canoni scaduti , con decorrenza dal aprile 2015 e fino al rilascio dell’immobile, avvenuto nel gennaio 2016.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere divenuto conduttore del l’immobile suddetto, già di proprietà del defunto NOME COGNOME, destinandolo ad uso commerciale di parafarmacia, in forza di contratto concluso con il custode giudiziario nominato nell’ambito del giudizio di divisione ereditaria dei beni del ‘ de cuius ‘. Assegnato all’erede NOME COGNOME, con atto divisionale del 18 marzo 2015, il bene in questione, costei intimava al COGNOME sfratto per morosità, per canoni impagati, in relazione ai quali chiedeva pure emettersi decreto ingiuntivo per la complessiva somma di € 39.807,00.
Resisteva alla domanda il COGNOME, il quale -per quanto qui ancora di interesse -deduceva di aver affrontato un esborso di € 49.354,62, al fine di ottenere l’agibilità dell’ immobile, chiedendo, pertanto, in via riconvenzionale, l ‘ accertamento del proprio credito e la compensazione con le somme dovute all ‘ intimante.
Istruita la causa documentalmente e attraverso l’assunzione di prova testimoniale, il giudice di prime cure dichiarava risolto il contratto, per grave inadempimento del COGNOME, condannandolo al pagamento, in favore della COGNOME, della somma di € 10.000,0 0 per canoni scaduti, con decorrenza da ll’ aprile 2015 e fino al rilascio dell’immobile, avvenuto nel gennaio 2016.
La decisione veniva confermata dal giudice di appello.
Avverso la sentenza della Corte salentina ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1993, n. 546.
Si censura la sentenza impugnata per essere incorsa -quanto alla condanna al pagamento dei canoni di locazione -nel vizio di ultrapetizione, omettendo di considerare le effettive richieste della COGNOME, la quale in tutti gli atti del giudizio, in modo evidente ed esplicito, non avrebbe mai richiesto il pagamento dei canoni locativi scaduti, ma solo ed esclusivamente la risoluzione del contratto di locazione in essere, come esplicitato nel suo appello incidentale condizionato.
Nello stesso, infatti, si legge (pag. 4) che, ‘per lealtà processuale, e per sgomberare il campo da ogni contestazione inutile’, essa COGNOME ‘riconosce di non aver mai avanzato pretese di pagamento a carico del COGNOME dei canoni scaduti e non soluti sicché la statuizione della sentenza (condanna del COGNOME al pagamento di somme) risulta mai richiesta e pertanto va revocata’ . Ed ancora (a pag. 16), ella concludeva affinché l’adita Corte salentina volesse ‘rigettare la impugnazione della sentenza n. 3652/2018 Tribunale di Lecce proposta da COGNOME NOME ad
eccezione della condanna dello stesso al pagamento di euro 10.000,00′.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione di legge, in relazione allo svolgimento del contratto e per errata valutazione dei fatti e conseguente errore di diritto in ordine ad un elemento essenziale della vicenda, per avere la sentenza impugnata mancato di considerare l’inesistenza del certificato di agibilità necessario all’uso commerciale, al momento della sottoscrizione del contratto di locazione; elemento che è stato riconosciuto dal locatore, dete rminando la necessità di lavori sostenuti dall’affittuario, oggi ricorrente.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 cod. proc. civ. ‘per avere il Giudice deciso senza adeguata motivazione soprattutto in considerazione del contrasto con le risultanze processuali’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va dichiarato inammissibile, in ciascuno dei tre motivi in cui si articola.
8.1. Il primo motivo è inammissibile, per inosservanza dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., quanto all’onere di localizzazione degli atti -gli scritti defensionali della COGNOME, ipoteticamente rivelatori del denunciato vizio di ultrapetizione -sui quali esso si fonda.
8.1.1. Difatti, ‘il principio di autosufficienza’ del ricorso per cassazione, che ‘impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda’, va inteso nel senso che ‘occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile’ (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, ord. 10 dicembre 2020, n. 28184, Rv. 660090-01). Ed è appena il caso di precisare che a tale esigenza di localizzazione si può supplire -come chiarito da Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2011, n. 22726, Rv. 619317-01 -dichiarando di voler fare ri ferimento, al solo fine di esentarsi dall’onere di produzione di detti atti (prescritto dall’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c.) , alla presenza degli stessi o nel fascicolo d’ufficio del giudice di appello (ed eventualmente in quello di primo grado ad esso, in ipotesi, unito), oppure nel fascicolo di parte resistente, ove essi siano, eventualmente, presenti, ma sempre essendo necessaria, ai fini del rispetto dell’onere dell’art. 366 n. 6 quoad localizzazione, una specifica indicazione di detta presenza e della volontà di farvi affidamento.
D’altra parte, sempre nel senso dell’inammissibilità del presente motivo, deve rilevarsi come la sentenza impugnata dia atto che ‘le parti hanno precisato le conclusioni come da verbale d’udienza di discussione’. Ne consegue che, ai fini del rispetto dell’ art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare che le conclusioni che si assumono assunte dalla COGNOME nella comparsa di costituzione con appello incidentale (rigettare la impugnazione della sentenza n. 3652/2018 Tribunale di Lecce proposta da COGNOME NOME ad eccezione della condanna dello stesso al pagamento di euro 10.000,00) fossero state, effettivamente, ribadite nell’udienza di discussione.
8.2. Anche il secondo motivo è inammissibile, per una duplice, concomitante, ragione.
8.2.1. In primo luogo , perché l’affermazione circa l’esistenza dell’agibilità riguarda la situazione relativa al contratto di locazione precedente a quello oggetto di causa e all’attività che si esercitava nell’immobile in forza di esso. Siffatta circostanza, pertanto, già vale a determinare l’inammissibilità del motivo, a prescindere dal rilievo che esso prospetta un vizio che presenta i caratteri propri di quello revocatorio, come tale da censurarsi a norma dell’art. 395 cod. proc. civ.
In secondo luogo, perché il presente motivo non coglie la ‘ ratio decidendi ‘ della sentenza impugnata, donde -anche sotto questo profilo -la sua inammissibilità (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01), atteso che il rigetto della domanda riconvenziona le dell’odierno ricorrente è stata motivato sul rilievo che, ‘all’esito del giudizio’, non risultava ‘acquisita la prova’ non del difetto di agibilità dei
locali, ma del fatto ‘che le spese, di cui il COGNOME chiede il rimborso, siano, come dal medesimo dedotto, causalmente collegate all’agibilità dell’immobile ai fini del suo uso commerciale’.
8.3. Infine, pure il terzo motivo è inammissibile.
8.3.1. Sul punto, infatti, va rammentato che, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -nel testo ‘novellato’ dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio) il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).
Il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti ‘meramente apparente’, evenienza configurabile, oltre che nel caso di ‘carenza grafica’ della stessa, quando essa, ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01 ), o perché affetta da ‘irriducibile contraddittorietà’ (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018,
n. 22598, Rv. 65088001), ovvero connotata da ‘affermazioni inconciliabili’ (da ultimo, Cass. Sez. 6 -Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 64962801), mentre ‘resta irrilevante il semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01). Ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire ‘prescindendo dal confront o con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01), dovendo, pertanto, presentare carattere ‘testuale’ (come rammenta, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, in particolare al § 10.9.).
Nella specie, per contro, rivelatore del difetto di motivazione, secondo il ricorrente, sarebbe proprio il ‘contrasto con le risultanze processuali’, donde l’inammissibilità della censura perché basata su elementi aliunde rispetto alla motivazione.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 5.3 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della