Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5437 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5437 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
1.La Corte di Appello di Catanzaro ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME (dipendente della Regione Calabria presso il Settore Protezione Civile) avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro, che aveva respinto le sue domande, volte ad ottenere il pagamento della somma di € 19.183,32 a titolo di compenso per le ore di lavoro straordinario diurno, festivo e notturno, in reperibilità e turnazione, svolte negli anni 2011, 2012 e 2013.
2. La Corte territoriale ha rilevato che dalle buste paga risultava che era stato corrisposto quanto dovuto riguardo a turnazione e reperibilità, e che il pagamento delle relative somme era avvenuto in data anteriore al deposito del ricorso; per quanto attiene allo straordinario, ha evidenziato che il COGNOME aveva chiesto importi relativi ad un monte ore complessivamente esposto per tipologia, senza tuttavia indicare i giorni in cui sarebbe stato effettuato, con conseguente genericità della pretesa; ha inoltre rimarcato che il COGNOME non aveva indicato la relativa autorizzazione.
Richiamato il principio secondo cui nel pubblico impiego la retribuibilità delle prestazioni di lavoro straordinario è condizionata all’esistenza di una formale e preventiva autorizzazione allo svolgimento di tali prestazioni di lavoro eccedenti l’orario dell’ufficio e le disposizioni contenute nell’art. 3, comma 83, della Legge Finanziaria 2008, dell’art. 14, comma 4, del CCNL 1.4.1999 e dell’art. 38 del CCNL 14.9.2000, ha evidenziato che per gli anni 2011, 2012 e 2013 non era mai stato autorizzato e certificato al ricorrente l’effettivo espletamento di lavoro straordinario per come richiesto, non risultando agli atti del settore competente i modelli 2/RP autorizzati dal dirigente competente, ed ha pertanto ritenuto che per le suddette annualità erano state liquidate 1021 ore di lavoro straordinario in assenza di autorizzazione dirigenziale.
Il giudice di appello ha escluso che la documentazione prodotta innanzi al Tribunale con le note conclusive autorizzate del 26.3.2019 integrasse un’autorizzazione postuma allo svolgimento del lavoro straordinario o un riconoscimento di debito da parte della Regione; ha infatti evidenziato che gli elementi di prova forniti dal lavoratore erano tutti orientati al riconoscimento a posteriori, e non preventivamente, dello straordinario da lui effettuato.
Ha rilevato che gli allegati al DDS n. 1092 del 29.1.2013 erano elenchi costituenti una sorta di autocertificazioni prodotte dai diretti interessati, salva ogni opportuna e doverosa verifica da parte dell’Amministrazione regionale sulla titolarità e legittimità del credito, da parte dei richiedenti, in fase di liquidazione, e che già dai primi accertamenti esperiti sulla documentazione in atti, rinvenuta successivamente da personale interessato alla problematica de qua, la Regione aveva potuto rileva re l’assenza dei presupposti giuridici per il riconoscimento del servizio asseritamente prestato in regime di straordinario.
Ha aggiunto che i riepiloghi di ‘autorizzazione per rientri straordinari’ presenti in atti e asseritamente non valutati dal giudice di prime cure erano posteriori al presunto espletamento del lavoro straordinario rivendicato e non avevano fatto emergere la previa valutaz ione, da parte dell’Amministrazione, della necessità e della sostenibilità di tale lavoro eccedente l’ordinarietà ; ha inoltre escluso che le richieste istruttorie formulate dal ricorrente nei gradi di merito fossero idonee a conferire maggiore pregnanza alle domande giudiziali, in quanto non erano orientate a chiarire se vi fosse mai stata, riguardo all’attività lavorativa del Moraca, l’autorizzazione preventiva allo straordinario.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
La Regione Calabria ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ., vizio di motivazione, violazione della normativa europea e delle direttive CEE 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti aspetti
dell’organizzazione dell’orario di lavoro; violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 66/2003, in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere applicato il principio dell’autorizzazione al lavoro straordinario in modo assolutamente formalistico; evidenzia che le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 66/2003, emesso in attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, non trovano applicazione in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio espletato o di ragioni connesse ai servizi di ordine e sicurezza pubblica, di difesa e protezione civile.
Deduce che il settore della Protezione Civile, che si attiva in condizioni di emergenza, richiede spesso uno straordinario non prevedibile né preventivabile, potendo verificarsi che manchino preventivi atti formali da parte del dirigente designato.
Richiama i principi espressi dal Consiglio di Stato, secondo cui per il lavoro straordinario in determinati settori deve essere riconosciuta la sussistenza di autorizzazione implicita, riconosciuta in casi o eventi straordinari in cui la prestazione sia avvenuta nell ‘ambito di specifiche ed individuate attività cui il dipendente doveva obbligatoriamente partecipare, ovvero nel caso di servizio indispensabile che l’Amministrazione era obbligata a garantire, trattandosi di compiti irrinunciabili di assistenza.
Lamenta la mancata applicazione dei principi del riconoscimento implicito e del riconoscimento successivo del lavoro straordinario.
Evidenzia che il il decreto del Dirigente del Settore Protezione Civile n.1092/2013 aveva riorganizzato il servizio ‘emergenziale’ svolto dalla Protezione Civile prevedendo che venisse effettuato 365 giorni all’anno in h24 ed aveva aumentato le squadre a 5, con turni di 12 ore e reperibilità di 24 ore, con esplicito impegno ‘ ad autorizzare lo straordinario emergente per soddisfare specifiche esigenze di servizio’ .
Richiama inoltre il decreto dirigenziale n. 9886/2010 di assegnazione alla Sala Operativa regionale di Protezione Civile, la richiesta di accesso agli atti prot. 343172/siar del 17.11.2015 (con cui la Regione Calabria UOA di Protezione Civile aveva riconosciuto le somme dovute al COGNOME come ‘lavoro straordinario
programmato’ ) e la documentazione relativa ai sistemi di rilevazione automatica delle presenze, quali i cartellini marcatempo.
Con il secondo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.
Sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto compensare le spese di lite, in ragione della peculiarità della questione e della sussistenza di orientamenti difformi.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto non si confronta con il decisum .
La Corte territoriale ha rilevato che riguardo allo straordinario il COGNOME aveva chiesto importi relativi ad un monte ore complessivamente esposto per tipologia, senza tuttavia indicare i giorni in cui sarebbe stato effettuato, con conseguente genericità della pretesa, e il motivo non censura tali statuizioni.
La censura, nel prospettare la sufficienza di un’ autorizzazione implicita e di un riconoscimento successivo del lavoro straordinario, non si confronta con la sentenza impugnata, che per gli anni dal 2011 al 2013 ha rilevato l’inesistenza agli atti del settore competente dei modelli 2/RP autorizzati dal dirigente pro tempore , ha accertato che per le suddette annualità erano state liquidate 1021 ore di lavoro straordinario in assenza di autorizzazione dirigenziale ed ha escluso che il decreto n. 1092/2013 integri gli estremi di un riconoscimento di debito o di un’autorizzazione postuma allo straordinario .
Inoltre il motivo sollecita un giudizio di merito attraverso la rilettura di tale decreto e di altri documenti che non risultano dalla sentenza impugnata (decreto dirigenziale n. 9886/2010, richiesta di accesso agli atti prot. n. 343172/siar del 17.11.2015 e documentazione relativa ai sistemi di rilevazione automatica delle presenze, quali cartellini marcatempo), senza nemmeno precisare in quali atti dei gradi di merito sono stati indicati e quando sono stati prodotti nei gradi precedenti.
La fattispecie in esame è dunque del tutto diversa da quella esaminata da Cass. n. 23506/2022, secondo cui il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettiv o, atteso che l’art. 2108 cod. civ.
(applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato), interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. (in quel caso la Corte territoriale aveva accertato la sussistenza di disposizioni dei dirigenti responsabili alle quali il lavoratore non poteva sottrarsi ed aveva rilevato che la pianificazione dei turni di lavoro era tale da prevedere automaticamente lo sforamento dell’orario normale e si traducevano di fatto nell’imposizione dello straordinario) .
4. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Al di là delle modalità di formulazione della censura, non è configurabile l’omessa motivazione, in quanto la Corte territoriale ha dato atto dell’applicazione della regola della soccombenza.
Deve inoltre rammentarsi che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Inoltre questa Corte ha da tempo chiarito che in tema di responsabilità delle parti per le spese di giudizio (Capo IV del Titolo III del Libro Primo del codice di rito), la denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91, comma 1, c.p.c., in sede di legittimità trova ingresso solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa ( ex multis : Cass. n. 18128 del 2020 e Cass. n. 26912 del 2020) e che la compensazione delle spese processuali, di cui all’art. 92 cod. proc. civ., costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito (v., per tutte, Cass. SS. UU. n. 20598 del 2008).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 22 gennaio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME