Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15984 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15984 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 626-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE PUGLIA RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2002/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/11/2023 R.G.N. 1457/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
RETRIBUZIONE PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.626/2024 Cron. Rep. Ud.07/02/2025 CC
FATTI DI CAUSA
NOME, dipendente dell’ARIF Puglia dal 17 maggio 2010,con qualifica di operaio specializzato IV livello CCNL di settore, ha chiesto al Tribunale di Foggia di accertare l’inadempimento dell’ARIF Puglia (da ora, solo ARIF), sua datrice di lavoro, e la condanna della stessa a pagare, per il periodo dal febbraio 2015 al giugno 2020, di € 19.575,04 a titolo di remunerazione delle ore spese per il tragitto casa lavoro e viceversa e di retribuzione per 20 minuti di lavoro straordinario per giornata lavorativa, oltre al risarcimento del danno o a un’indennità per la mancata messa a disposizione di acqua potabile, servizi igienici e rifugio a uso spogliatoio, determinato in € 1.000,00 per ogni anno di lavoro dal 2015 in poi.
Il Tribunale di Foggia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 346/2023, ha accolto il ricorso limitatamente alla domanda concernente gli straordinari, quantificando la somma dovuta in € 1.789,84.
L’ARIF ha proposto appello.
La Corte d’appello di Bari ha rigettato l’impugnazione.
L’ARIF ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
NOME COGNOME non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione del principio iura novit curia ex art. 113 c.p.c. e dell’art. 345, comma 2, c.p.c., nonché la motivazione assente, apparente, manifestamente e irriducibilmente contraddittoria.
Contesta la circostanza che il giudice di appello abbia ritenuto tardiva e nuova la sua allegazione difensiva, avvenuta, per la
prima volta, in appello, dell’assenza di autorizzazione dello straordinario riconosciuto al dipendente.
Sostiene, sul punto, che si sarebbe trattato di una mera difesa e non di un’eccezione in senso stretto, concernendo la contestazione di fatti posti da controparte a fondamento del suo diritto e il mancato rispetto dell’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007.
1.1. La censura è in parte inammissibile e in parte fondata.
E’ inammissibile nella misura in cui riguarda il vizio motivazionale, considerato che la Corte d’appello di Bari ha chiaramente esplicitato le ragioni della sua decisione.
Peraltro, è fondata ove è prospettata una violazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c.
La Suprema Corte ha chiarito che si ha domanda nuova inammissibile in appello – per modificazione della causa petendi quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (Cass., SU, n. 15408 del 15 ottobre 2003; Cass., Sez. L, n. 15506 del 23 luglio 2015).
In particolare, nel rito del lavoro, la preclusione in appello di un’eccezione nuova sussiste nel solo caso in cui la stessa, essendo fondata su elementi e circostanze non prospettati nel giudizio di primo grado, abbia introdotto in sede di gravame un nuov o tema d’indagine, così alterando i termini sostanziali della controversia e determinando la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione (Cass., Sez. L, n. 2271 del 2 febbraio 2021). Pertanto, costituisce domanda nuova, non
proponibile per la prima volta in appello, quella che, alterando anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introduca una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, inserendo nel processo un nuovo tema di indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio (Cass., Sez. 6-L, n. 23415 del 27 settembre 2018).
Occorre accertare, quindi, se l’appello della P.A. presentasse elementi tali di novità da rendere ‘nuova’ la sua difesa, nel senso di snaturare le allegazioni di primo grado al punto da modificare in senso ‘sostanziale’ i termini della controversia.
Oggetto dell’azione del lavoratore, per quel che qui interessa, era la sua pretesa a ottenere il riconoscimento del lavoro straordinario svolto e il pagamento della relativa retribuzione.
L’ARIF ha contestato in primo grado questa domanda nel merito e, in seguito all’accoglimento della stessa, ha proposto appello, lamentando l’assenza di prova documentale dello straordinario reso e della necessaria autorizzazione.
Per stabilire se il motivo di gravame dell’ARIF fosse inammissibile bisogna verificare se esso esulasse dai termini della controversia.
Al riguardo, deve tenersi conto che, tradizionalmente, si è affermato, sino a pochi anni fa, che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato (non sono più in discussione la natura di P.A., a sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, della parte ricorrente e il carattere privatistico del rapporto di lavoro), il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone, di necessità, la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con
le previsioni di bilancio (Cass., Sez. L, n. 2509 del 31 gennaio 2017).
Peraltro, questa Corte ha precisato, in tempi più recenti, il suo precedente orientamento, chiarendo che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto d ell’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 17912 del 28 giugno 2024).
Ciò perché, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. (Cass., Sez. L, n. 23506 del 27 luglio 2022).
Dalla giurisprudenza menzionata, emerge come, nel pubblico impiego contrattualizzato, l’autorizzazione della P.A. sia necessaria perché il dipendente possa prestare lavoro straordinario.
Si tratta, quindi, di un elemento costitutivo della pretesa del lavoratore che agisca per il suo pagamento e che, pertanto, deve essere da lui allegato e dimostrato.
Non può sostenersi, allora, che la P.A. non potesse contestare in appello l’assenza di prova dell’autorizzazione, in quanto si trattava di un elemento che avrebbe dovuto essere allegato e provato dal ricorrente originario e la cui sussistenza avrebbe dovut o essere verificata d’ufficio dal giudice.
Non avendo il Tribunale di Foggia operato il necessario accertamento, ben poteva l’ARIF chiedere alla Corte d’appello di Bari di compierlo.
D’altronde, la P.A. ha sempre negato, anche in appello, la spettanza all’intimato del diritto allo straordinario, il che comporta che il tema della sua autorizzazione non era certo nuovo in appello, tanto che, in ordine all’an della pretesa del dipendente, non si era ancora formato il giudicato.
Ne consegue l’accoglimento parziale del motivo.
2. Con il secondo motivo la P.A. ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 3, comma 83, della legge n 244 del 2007 e dell’art. 97 Cost., perché la corte territoriale avrebbe considerato prova valida del lavoro straordinario le risultanze di alcune testimonianze senza, rilevare che non vi erano agli atti i tabulati estratti dalle rilevazioni dei cartellini marcatempo o dei fogli di presenza debitamente controfirmati ai sensi dell’art. 3, c omma 83, della legge n. 244 del 2007.
Inoltre, contesta l’assenza di ogni provvedimento autorizzazione del lavoro straordinario.
2.1. Il motivo è fondato.
La retribuzione per il lavoro straordinario nel pubblico impiego è regolata dai seguenti principi: il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone necessariamente la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (Cass. n. 2509/2017).
Nel pubblico impiego contrattualizzato il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 cod. civ., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario, se debitamente autorizzato; pertanto, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione datoriale è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. (Cass. n. 23506/2022 ; Cass. n. 17912/2024); per autorizzazione, nell’ambito del lavoro straordinario, si intende il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente vel prohibente domino, ma con il consenso anche implicito del medesimo; il consenso, una volta esistente, integra gli estremi che rendono necessario il pagamento, anche ove la richiesta risulti illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo.
Considerato che la sussistenza di un atto datoriale di autorizzazione preventiva costituisce un presupposto normativo, è da ritenersi che, in applicazione del principio iura novit curia, la Corte territoriale fosse tenuta ad affrontare d’ufficio tale quest ione.
Considerato altresì che l’autorizzazione preventiva riveste natura di fatto costitutivo del diritto azionato e che dovesse pertanto essere allegato dall’attore, non può non ritenersi che l’effettiva sussistenza di tale fatto vada sempre verificata dal giudice di merito, indipendentemente dalla proposizione di una specifica eccezione da parte del convenuto e che la contestazione dell’Amministrazione in appello costituisca una mera difesa, non preclusa dal divieto di nova, salva l’operatività del principio di non contestazione, che opera solo riguardo agli aspetti rilevanti fondamento della domanda atto; solo l’acquisizione al processo della componente fattuale del fondamento della domanda può ritenersi preclusiva del rilievo in appello ( cfr. Cass. 9561/2023).
Nel caso di specie il giudice di appello non ha compiuto l’anzidetto accertamento in fatto, in quanto ha erroneamente ritenuto estranea al campo d’indagine dei giudici di merito la questione relativa alla necessità di un atto autorizzativo dell’ente, senza verificare se era stata tempestivamente allegata e provata la sussistenza di un’autorizzazione preventiva dell’Agenzia nei confronti del COGNOME per lo svolgimento di lavoro straordinario.
Il ricorso va pertanto accolto per quanto di ragione.
La sentenza impugnata è cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite.
La Corte,
accoglie il ricorso per quanto di ragione;
-cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche quanto alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione