Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23150 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23150 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
1.La Corte di Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME (Collaboratore Amministrativo Professionale alle dipendenze della ASL Roma F) avverso la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che aveva respinto le sue domande, volte ad ottenere la condanna dell’Azienda al pagamento della somma di € 20.723,85 a titolo di retribuzione per lavoro straordinario maturate fino al 31.12.2006.
La COGNOME aveva dedotto di avere maturato 1670 ore di lavoro straordinario fino al 15.5.2008 (di cui 1658,20 fino al 31 dicembre 2006 e 12,48 dal 1° gennaio 2008 al 15 maggio 2008), e di avere ricevuto nell’aprile 2008 una prima tranche del dovuto, pari a 50 ore di straordinario; aveva inoltre evidenziato che in forza di accordi sindacali, le ore di straordinario congelate dal 31.12.2006 dovevano essere pagate purché certificate dal dirigente entro il 31.12.2007; aveva inoltre richiamato la nota del 5.9.2007, con cui il dirigente aveva attestato che il maggiore orario dalla medesima effettuato ‘ era da intendersi svolto in straordinario per esigenze di servizio accumulate negli anni, autorizzato nei tempi e nei modi stabiliti dai Dirigenti responsabili pro tempore, titolari della procedura. Per quanto riguarda le copie di autorizzazione, le stesse sono in deposito presso l’archivio dell’Ufficio del Personale, il dipendente ogni mese consegna il riepilogo della situazione lavorativa siglata dal Dirigente Responsabile ‘.
La Corte territoriale ha rilevato che nella memoria di costituzione relativa al giudizio di primo grado, la ASL aveva sostenuto che l’attestazione del Dott. COGNOME, rilasciata a posteriori e a sanatoria di un arco temporale dal 1998 al 2006, non poteva supplire alla preventiva autorizzazione all’espletamento di lavoro straordinario da parte del dirigente responsabile ed aveva evidenziato che agli atti della UOC Personale Dipendente non vi erano le autorizzazioni
preventive dei dirigenti responsabili; ha pertanto disatteso il primo motivo di appello, con cui la COGNOME aveva dedotto che la nota del 5.9.2007 non era stata contestata né disconosciuta dalla ASL.
Il giudice di appello ha inoltre ritenuto che la suddetta attestazione fosse priva di valenza probatoria, in quanto non indicava da quali dirigenti, con quali modalità ed in quali tempi fossero state concesse le autorizzazioni, delle quali non vi era tracc ia documentale; a riprova dell’inesistenza delle autorizzazioni e dell’inattendibilità della medesima attestazione, ha evidenziato che l’appellante non aveva esibito alcuna delle copie di autorizzazione menzionate nella nota, non aveva mai dedotto che, contrariamente a quanto prospettato dalla ASL, tali copie si trovassero nell’archivio dell’Ufficio del personale e non aveva mai chiesto l’accesso agli atti, né un ordine di esibizione cui fosse stato opposto un rifiuto.
Ha rilevato che il capitolo di prova n. 3 era inconferente, in quanto tendeva a dimostrare l’espletamento del lavoro straordinario, e non la sussistenza della preventiva autorizzazione, mentre il capitolo n.5 tendeva a dimostrare che il dott. COGNOME avesse attestato quanto contenuto nella nota del 5.9.2007, circostanza che non era oggetto di contestazione; ha pertanto disatteso anche il secondo motivo di appello.
Avverso tale sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.
La ASL Roma 4 ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2108 e 2735 cod. civ., degli artt. 116, 221 e 366 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 .
Addebita alla Corte territoriale il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove acquisite, da cui era derivata una ricostruzione del fatto del tutto inesatta e diversa rispetto a quella effettivamente dedotta in giudizio.
Richiamate le note del 14.9.2007 e del 5.9.2007, evidenzia che dalle medesime risulta che il lavoro straordinario svolto dalla Tamanti era stato
preventivamente autorizzato, che il Dott. COGNOME aveva verificato l’esistenza dell’autorizzazione preventiva, nonché il deposito presso l’Ufficio del Personale degli originali e delle copie delle autorizzazioni preventive, oltre che dei prospetti di riepilogo.
Aggiunge che tale attestazione non era mai stata contestata dall’azienda nemmeno per quanto attiene alla provenienza e alla rappresentatività del Dott. COGNOME.
Deduce che la nota del 5.9.2007 non costituiva una documentazione a posteriori rilasciata ‘in sanatoria’ ma era idonea a dimostrare le preventive autorizzazioni; evidenzia che il COGNOME anche quale superiore gerarchico, aveva attestato l’effettività degli accertamenti eseguiti ed aveva personalmente siglato i prospetti di riepilogo; sostiene pertanto che tale nota costituisce una prova decisiva, in quanto la verifica era stata richiesta dal Direttore Amministrativo dell’Azienda ed era stata eseguita dal Dirigente Responsabile UOC Dott. COGNOME che nella sua qualità di superiore gerarchico aveva il potere di sostituirsi ai funzionari del Comparto e Servizio UOC da lui diretto nell’attestare l’effettività degli accertamenti eseguiti e dei suoi risultati.
Sostiene che tale attestazione ha contenuto confessorio e lamenta l’omessa valutazione del fatto storico decisivo, costituito dalla verifica del maggiore orario effettuata dal Responsabile UOC.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., dell’art. 2108 cod. civ. e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.
Torna a sostenere che l’attestazione del 5.9.2007 costituisce una prova decisiva, essendo incontestata la circostanza che l’ente era consapevole dello straordinario prestato dalla COGNOME e che tale straordinario non era stato espletato contro la sua volontà.
Argomenta che dall’attestazione del 5.9.2007 risultava che lo straordinario era stato richiesto dallo stesso COGNOME che dai vari funzionari dirigenti dei distretti veterinari del Comparto di cui era responsabile anche per supplire alla carenza di person ale amministrativo nell’Ufficio di Coordinamento e nei vari Distretti Veterinari.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 244, 414 e 420 cod. proc. civ., nonché il difetto di motivazione in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 4 e 5 cod. proc. civ.
Lamenta l’omessa motivazione sulla mancata ammissione del capitolo di prova n. 4, teso a dimostrare che il lavoro straordinario era stato prestato in conformità all’accordo stipulato tra l’Amministrazione e le OOSS di categoria (e quindi a seguito di preve ntiva autorizzazione), e l’errata interpretazione del capitolo di prova n. 5, non avendo la Corte territoriale compreso che tale capitolo era teso a dimostrare che il Dott. COGNOME aveva verificato la sussistenza della preventiva autorizzazione dei funzionari responsabili.
Il primo ed il secondo motivo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone necessariamente la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (Cass. n. 2509/2017).
Si è inoltre evidenziato che nel pubblico impiego contrattualizzato il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 cod. civ., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato; pertanto, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione datoriale è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. (Cass. n. 23506/2022; Cass. n. 17912/2024).
P er autorizzazione, nell’ambito del lavoro straordinario, si intende il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente vel prohibente domino , ma con il consenso anche implicito del medesimo; il consenso, una volta esistente, integra
gli estremi che rendono necessario il pagamento, anche ove la richiesta risulti illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo.
Sebbene l’autorizzazione prevista dal CCNL risponda ad ulteriori ragioni (programmatiche, di spesa, etc…) o risalga a fattispecie diversa da quella dello straordinario (attività da remunerare con compensi incentivanti di cui non si realizzino i presupposti), rispetto alla remunerazione del lavoratore ciò che conta è lo svolgimento del lavoro su incarico anche solo implicito del datore e non contro la volontà di questi, sicché non rileva il fatto che siano osservate forme, né che l’autorizzazione si mani festi per qualunque ragione come invalida o potenzialmente tale, oppure come inidonea al suo scopo originario.
La sentenza impugnata non è conforme a tali principi sicché se ne impone la cassazione con rinvio alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, affinché riesami la controversia alla luce dei su estesi principi.
Il terzo motivo, che denuncia la mancata ammissione della prova testimoniale, deve pertanto ritenersi assorbito, essendo nei poteri del giudice del rinvio di riesaminare le richieste istruttorie in relazione al principio di diritto da applicare.
In conclusione, vanno accolti i primi due motivi, assorbito il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie i primi due motivi e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 16 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME