Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17205 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 17205 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso 23529-2022 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli
Oggetto
R.G.N. 23529/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 16/04/2025
PU
avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 107/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 25/03/2022 R.G.N. 597/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del l’Avvocata Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME uditi gli avvocati NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
Il Tribunale di Torino, innanzi al quale era stato impugnato dai lavoratori in epigrafe il trasferimento del ramo d’azienda relativo alla Direzione Recupero Crediti (DRC) da Intesa Sanpaolo Group Service (ISGS) s.c.p.a. (società consortile partecipata da Intesa Sanpaolo s.p.a., successivamente fusa per incorporazione in quest’ultima) a RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE (successivamente ridenominata RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) con decorrenza 30.11.2018, deducendo la nullità della cessione per insussistenza dell’autonomia del ramo ceduto e per difetto di preesistenza dello stesso ramo rispetto alla cessione, in accoglimento del ricorso accertava l’inefficacia nei confronti dei ricorrenti del trasferimento del ramo d’azienda e l’inefficacia della cessione dei rispettivi contratti di lavoro, e condannava Intesa San Paolo a ripristinare i rapporti di lavoro dalla data di cessione dei contratti.
L a Corte d’Appello di Torino, in accoglimento degli appelli riuniti di cedente e cessionaria, in riforma della sentenza impugnata, respingeva le domande proposte con il ricorso introduttivo.
In particolare, la sentenza di appello sottolineava le peculiarità dell’operazione societaria e negoziale sottesa alla cessione del ramo d’azienda afferente l’attività recuperatoria prima svolta nell’ambito delle società del gruppo ISP dalla funzione DRC, la natura dematerializzata del compendio ceduto (composto da personale specializzato in possesso di specifiche conoscenze, competenze e know-how ), la non necessità che fossero trasferite attività e strutture collegate al recupero crediti (quali l’Ufficio S upporto Tecnico Amministrativo), e valorizzava lo schema del mandato di gestione dei crediti, autonomo rispetto al contratto di cessione di ramo d’azienda, nel contesto della complessiva operazione posta in essere, alla luce dell’attività svolta dal compendio aziendale ceduto.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello hanno proposto ricorso per cassazione i lavoratori con quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso entrambe le società; tutte le parti hanno depositato memorie per l’udienza camerale del 10.9.2024; attesa la rilevanza nomofilattica, la causa è stata fissata all’odierna pubblica udienza.
In vista di questa, sono state depositate memorie scritte del P.G. e di tutte le parti. Il P .G. ha concluso per il rigetto del ricorso. La causa è stata discussa oralmente dai difensori delle parti e trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, i ricorrenti deducono (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., per motivazione apparente in ordine allo «specifico know-how» o «comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche» che permetterebbe di considerare ciò che è stato ceduto da Intesa Sanpaolo a RAGIONE_SOCIALE (già Tersia) un c.d. ‘ramo leggero o dematerializzato’ – (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.).
Con il secondo motivo, deducono (art. 360, n. 4, c.p.c.), violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. per motivazione apparente in ordine al requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto.
I suddetti motivi, connessi, sono infondati.
La sentenza gravata riporta ampia motivazione (che infatti viene criticata nei motivi successivi) e raggiunge il cd. minimo costituzionale (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile il controllo sul suo ragionamento (cfr. Cass. n. 9105/2017, n. 20921/2019); ipotesi non ricorrente nel caso in esame
Con il terzo motivo, i lavoratori ricorrenti deducono (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell’art. 2112 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto sussistente il requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto.
Il motivo -che si traduce nella doglianza dell’errata sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta -è
fondato.
La Corte d’Appello ha dato atto che la struttura di supporto specialistico tecnico e amministrativo era rimasta in Intesa Sanpaolo.
Si tratta di dato fattuale, pacifico, che incide significativamente sulla valutazione del requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto; autonomia che non può ritenersi sussistere nel caso di specie, in cui la società cessionaria per poter svolgere la propria attività ha necessariamente dovuto concludere contratti di servicing con la società cedente o con altre società del gruppo.
Come osservato dal P.G., se l’attività prima svolta in proprio dalla cedente poteva dirsi caratterizzata dalla completezza del servizio svolto, avendo in carico l’istituto sia la gestione amministrativa dei crediti in sofferenza, sia la gestione delle attività di recupero dei crediti e dei relativi beni, oltre che ovviamente la gestione amministrativa del servizio e del personale, il complesso dell’attività ceduta risulta invece frutto di un’operazione di frazionamento che si rivela artificiosa, perché alla cedente sono comunque rimaste la titolarità degli assets , una parte della attività di recupero, il servizio di gestione amministrativa del personale e delle attività.
Né l’applicazione dello schema contrattuale del mandato gestorio conferito dalla cedente consente l’aggiramento del regime imperativo dell’art. 2112 c.c., atteso che l’autonomia funzionale non si deve basare sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di appalto, ma deve riguardare l’organizzazione della frazione del preesistente complesso produttivo costituito dal
ramo ceduto (Cass., n. 10542/2016).
A fronte dell’accertamento di fatto emerso nel merito, la conclusione sarebbe dovuta essere in termini di assenza di autonomia funzionale del ramo ceduto (e non l’opposto).
L’errore di sussunzione si è tradotto, quindi, nell’applicare l’art. 2112 c.c. invece inapplicabile, perché la fattispecie concreta, come accertata dalla Corte territoriale, non ne presentasse uno dei requisiti fondamentali, ossia l’autonomia funzionale.
Al riguardo va ricordato il pacifico orientamento di questa Corte, secondo cui il ramo d’azienda rilevante ex art. 2112 c.c. deve pur sempre rispettare la nozione di impresa e pertanto deve pur sempre avere quell’autonomia funzionale idonea a consentire lo svolgimento ex se dell’attività imprenditoriale (nella nozione data dall’art. 2082 c.c.) sul mercato, quindi anche verso terzi, e non solo verso la cedente.
In particolare, questa Corte ha affermato che, ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 d.lgs. n. 276/2003, rappresenta elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione.
L’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale
l’impiego del termine “conservi” nell’art. 6, par. 1, commi 1 e 4, della direttiva 2001/23/CE, ” implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento ” (sentenza 6 marzo 2014, C-458/12; sentenza 13 giugno 2019, C-664/2017 -Cass. n. 22249/2021).
In definitiva, il ramo ceduto deve essere in grado di svolgere attività di impresa indipendentemente dall’eventuale contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato fra cedente e cessionaria (Cass. n. 19034/2017: in quel giudizio questa Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto integrato il trasferimento di ramo d’azienda nel caso di cessione di un call center , benché per la realizzazione dell’attività ceduta fosse necessaria una continua interazione con programmi informatici rimasti nella proprietà esclusiva della cedente; nello stesso senso Cass. n. 11247/2016).
La Corte territoriale non ha fatto buon governo di tale orientamento; pur avendo verificato che in concreto, dopo la cessione del ramo d’azienda, l’attività della cessionaria era rimasta indissolubilmente legata, in termini di vera e propria dipendenza funzionale, ad alcune attività rimaste alla cedente, ha nondimeno ritenuto sussistente la fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio in relazione al motivo accolto, affinché siano tratte tutte le conseguenze dall’accertamento del rilievo che, nel caso concreto, ha avuto la necessaria interazione della cessionaria con la struttura di supporto tecnico e amministrativo rimasta presso la cedente (e poi presso Intesa Sanpaolo s.p.a.).
Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono nullità della sentenza e del procedimento ex art. 112 c.p.c., per omessa
pronuncia sull’eccezione relativa alla carenza del requisito della preesistenza del ramo, riproposta ex art. 346 c.p.c.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del terzo; in disparte l’erronea qualificazione come eccezione di quella che, in realtà, era una mera difesa inerente all’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., resta da osservare che l’insussistenza del requisito dell’autonomia funzionale rende in concreto irrilevante accertare l’ulteriore requisito della preesistenza.
Alla Corte del rinvio è demandata anche la regolamentazione delle spese di lite, incluse quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 aprile 2025.