Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 4312 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U   Num. 4312  Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13085-2023 proposto da:
COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  NOME  COGNOME,  che  le rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
SENATO DELLA REPUBBLICA, in persona del Presidente pro  tempore , domiciliato ope  legis in  ROMA,  INDIRIZZO,  presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO dalla quale è rappresentato e difeso;
– controricorrente –
per la risoluzione del conflitto negativo di giurisdizione tra la sentenza n. 6448/2022  del  TRIBUNALE  di  ROMA,  depositata  il  08/07/2022  e  le
Oggetto
CONFLITTO NEGATIVO DI GIURISDIZIONE
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/12/2023
CC
decisioni  nn.  232  e  241  rispettivamente  del 21  ottobre  e  dell’11 novembre 2020 del RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE della Repubblica Udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 05/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME,  il  quale  conclude  per  il  dichiararsi  il  difetto  assoluto  di giurisdizione del giudice ordinario per essere la controversia devoluta alla cognizione degli organi di autodichia del RAGIONE_SOCIALE della Repubblica.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per conflitto reale negativo di giurisdizione, ai sensi dell’art. 362, comma 2, n. 2, cod. proc. civ., con riferimento, da un lato, alle decisioni nn. 232 e 241 del 2020 del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE della Repubblica, che hanno confermato le pronunce nn. 648, 649, 650, 652 del 18 settembre 2019 rese dalla Commissione Contenziosa , la quale si era espressa per l’inammissibilità dei ricorsi ; dall’altro alla successiva sentenza del Tribunale di Roma n. 6448 dell’8 luglio 2022 che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Hanno esposto le ricorrenti di avere prestato per decenni attività lavorativa in favore del RAGIONE_SOCIALE della Repubblica (la COGNOME dall’ottobre 1989 al marzo 2018; la COGNOME dall’aprile 1994 al marzo 2018; la COGNOME dal luglio 1985 al marzo 2018; la COGNOME dall’aprile 2005 al dicembre 2015 e, poi, dal settembre 2016 al novembre 2017), sulla base di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e di impiego a tempo determinato, formalmente conclusi con i Presidenti succedutisi nel tempo.
Hanno dedotto che le prestazioni, in realtà, erano state rese in regime di subordinazione ed hanno precisato che i compiti assegnati non erano di tipo  fiduciario  e  personalistico,  perché  le  mansioni,  seppure  svolte all’interno  del  Gabinetto  di  Presidenza, non differivano  in  alcun  modo
dalle  attività  di  segreteria,  di  smistamento  delle  telefonate,  di  cura dell’archivio, di elaborazione di testi, tipiche del coadiutore parlamentare. Hanno evidenziato di essere state pienamente inserite nell’organizzazione del RAGIONE_SOCIALE, tanto che tutte le comunicazioni riguardanti la  gestione  del  rapporto  erano  inviate  o  provenivano dall’Ufficio  del  Personale  e  dai  funzionari  che,  nel  tempo,  avevano rico perto l’incarico di direttore del gabinetto di presidenza.
Hanno allegato, in sintesi, di essere state sottoposte al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del RAGIONE_SOCIALE della Repubblica, che aveva anche direttamente adempiuto gli obblighi retributivi e contributivi.
Nel riassumere la vicenda processuale, le ricorrenti hanno, poi, dedotto di avere proposto in data 15 ottobre 2018 distinti ricorsi alla Commissione Contenziosa del RAGIONE_SOCIALE, con i quali, sul presupposto dell’avvenuto instaurazione di un rapporto di fatto con l’Amministrazione, avevano domandato: l’ accertamento del rapporto; la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive fra quanto spettante al coadiutore parlamentare e quanto percepito, differenze dovute ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 Cost. e 2099 cod. civ.; la condanna dell’amministrazione al risarcimento del «danno comunitario», nella misura massima di dodici mensilità, per l’abusiva reiterazione dei «contratti precari succedutisi».
La Commissione ha dichiarato inammissibili i ricorsi, rilevando che «la controversia… si colloca fuori del perimetro della giurisdizione della Commissione contenziosa, quale organo di autodichia» giacché «è di tutta evidenza… che il rapporto di collaborazione sul quale si fonda il ricorso, in quanto non afferente alle funzioni proprie dell’organo sovrano e, quindi, estraneo all’attività dell’amministrazione ad esse preordinata abbia avuto quale esclusiva controparte negoziale la persona del Presidente in carica».
 Le  richiamate  conclusioni  sono  state  condivise  dal  RAGIONE_SOCIALE con le pronunce indicate in premessa, che hanno respinto gli appelli sul rilievo che l’autodichia opera esclusivamente per i rapporti di impiego instaurati dal RAGIONE_SOCIALE all’esito di concorso pubblico, rapporti non configurabili nella fattispecie perché i Presidenti succedutisi
nel  tempo  avevano  agito  a  titolo  personale  e  non  in  rappresentanza dell’amministrazione.
 Le  ricorrenti  hanno  quindi  adito  il  Tribunale  di  Roma,  con  ricorso depositato  il  6  ottobre  2021  con  il  quale,  sulla  base  delle  medesime allegazioni sopra riassunte, invocando anche l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ., hanno convenuto in giudizio il RAGIONE_SOCIALE della Repubblica e chiesto l’accoglimento delle domande precisate al punto 3.
Con sentenza del 6 luglio 2022 il giudice ordinario adito ha declinato la giurisdizione ed ha rilevato che, ai sensi dell’art. 72, comma 1, T.U. delle norme regolamentari riguardanti il personale del RAGIONE_SOCIALE della Repubblica, rientra nella giurisdizione dell’organo di autodichia la domanda con la quale si prospetta l’instaurazione di fatto del rapporto di lavoro subordinato, perché la disposizione regolamentare è riferita a qualsiasi rivendicazione che tragga origine dal rapporto di impiego, a prescindere dalle modalità attraverso le quali lo stesso si costituisce. Ha aggiunto il Tribunale, richiamando la motivazione della pronuncia della Corte Costituzionale n. 262/2017, che l’affidamento a collegi interni del compito di interpretare e applicare le norme relative al rapporto di lavoro dei dipendenti con gli organi costituzionali è un riflesso dell’autonomia di detti organi, che sarebbe compromessa qualora si consentisse alla giurisdizione comune di interpretare ed applicare la disciplina che regola l’asset to e il funzionamento degli apparati serventi, dei quali gli organi costituzionali si dotano. Ha precisato che le ragioni che stanno a fondamento della giurisdizione domestica non consentono di differenziare dal rapporto formalmente instaurato con l’organo costituzionale, quello che, secondo la prospettazione della domanda, si assume realizzato in via di fatto.
Il ricorso domanda alla Corte di Cassazione, ex art. 362, comma 2, cod.  proc.  civ.,  «di  risolvere  il  denunciato  conflitto  reale  negativo  di giurisdizione  creatosi  tra  la  giurisdizione  domestica  del  RAGIONE_SOCIALE  della Repubblica e il Giudice Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro, con ogni conseguente provvedimento ».
Il RAGIONE_SOCIALE della Repubblica ha notificato controricorso ed ha concluso per l’infondatezza del ricorso e per il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario.
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato memoria, con la quale, ritenuto  ammissibile  il  conflitto,  ha  concluso  per  la  dichiarazione  del «difetto  assoluto  di  giurisdizione  del  giudice  ordinario  per  essere  la controversia  devoluta  alla  cognizione  degli  organi  di  autodichia  del RAGIONE_SOCIALE della Repubblica ».
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile.
Da tempo queste Sezioni Unite hanno affermato che la denuncia di un conflitto negativo di giurisdizione presuppone che le contrapposte pronunzie si caratterizzino per la comune delibazione della questione pregiudiziale sulla potestas judicandi in relazione all’oggetto della domanda, inteso come petitum sostanziale, ossia non solo e non tanto in funzione della particolare statuizione che si chiede al giudice, bensì anche e soprattutto in funzione della causa petendi, vale a dire dell’intrinseca natura del rapporto dedotto dall’attore a fondamento delle sue pretese, come individuata dal giudice adito.
Prendendo le mosse da detta premessa è stato, poi, precisato che, poiché la decisione sulla giurisdizione è caratterizzata dal fatto che l’apprezzamento affidato al giudice, col correlativo potere di qualificazione giuridica, deve essere esercitato in riferimento agli elementi dedotti ed allegati dalla parte, ed a prescindere da ogni accertamento sulla loro effettiva sussistenza e sulla fondatezza della domanda, un reale conflitto si può configurare solo allorquando le decisioni contrastanti conseguano a valutazioni di dati omogenei, nel senso che entrambe presuppongano l’esercizio del potere in modo astratto e con esclusivo riferimento a quelle deduzioni ed allegazioni.
A detta situazione, si è precisato, non può essere assimilata quella nella quale  uno  dei  giudici  emetta  una  pronuncia  declinatoria  della  propria potestas  judicandi mentre  l’altro,  al  di  là  della  formula  utilizzata  in
dispositivo,  provveda  nella  sostanza  all’accertamento  richiesto  dalla domanda  e,  all’esito  di  esso,  neghi  in  concreto  l’esistenza  di  quel medesimo  rapporto  la  cui  configurabilità  astratta  (cioè  in  base  alla domanda) sia stata posta a fondamento dell’anzidetta pronuncia (Cass. S.U.  12  marzo  2001  n.  102;  Cass.  S.U.  nn.  27401  e  27402  del  13 dicembre 2005; Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16540; Cass. S.U.  4 luglio 2016 n. 13576).
1.1. Quest’ultima evenienza è quella che ricorre nella fattispecie , atteso che se, da un lato, la pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del Tribunale di Roma si riferisce al rapporto di impiego instaurato di fatto con il RAGIONE_SOCIALE della Repubblica, in relazione al quale il giudice ordinario ha affermato la riserva di giurisdizione in favore dell’organo di autodichia, non altrettanto può dirsi quanto alle decisioni del RAGIONE_SOCIALE che, nel rigettare l’impugnazione proposta avverso le pronunce della Commissione contenziosa, hanno escluso che quel rapporto potesse essere configurato e da ciò hanno tratto, quale ulteriore conseguenza, che ogni eventuale rivendicazione doveva essere fatta valere nei confronti dell’effettivo titolare del rapporto di impiego, di natura privatistica, ossia delle persone fisiche che avevano rivestito negli anni la carica di Presidente del RAGIONE_SOCIALE ed avevano, dapprima, conferito alle ricorrenti incarichi di collaborazione e successivamente stipulato i contratti a tempo determinato posti a fondamento del ricorso.
1.2. Si legge, infatti, nelle motivazioni, sovrapponibili, del RAGIONE_SOCIALE:« l’autodichia opera esclusivamente per quei rapporti instaurati dall’Amministrazione del RAGIONE_SOCIALE. E’ di palmare evidenza che, nella fattispecie, il rapporto di collaborazione ed i successivi contratti di lavoro a termine sono intercorsi tra le appellanti ed i diversi Presidenti pro tempore del RAGIONE_SOCIALE, i quali agivano a titolo personale e non in rappresentanza dell’Amministrazione; potere che compete esclusivamente al Segretario Generale. Ne consegue l’inapplicabilità sia della normativa prevista in tema di pubblico impiego, in quanto espressamente esclusa dal RAGIONE_SOCIALE della Repubblica in virtù dell’autonomia normativa riservatagli dalla Costituzione; sia del richiamo all’articolo 3 6 della Costituzione che richiede espressamente il
riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro del quale si chiede la tutela: subordinazione che non si evince in alcun modo nel caso di specie… .».
Analogamente la Commissione contenziosa, nelle pronunce poi confermate dal RAGIONE_SOCIALE, aveva escluso che i rapporti fossero intercorsi con l’amministrazione del RAGIONE_SOCIALE ed aveva richiamato l’art. 18 del decreto del Presidente del RAGIONE_SOCIALE n. 11437 del 2010 osservando che lo stesso « chiarisce in termini inequivoci che tale relazione intercorre tra i componenti delle segreterie particolari ed i consulenti da un lato e il Presidente del RAGIONE_SOCIALE e i senatori o ex senatori dall’altro ed ha natura fiduciaria….. ». Aveva, altresì, ritenuto non condivisibili i dubbi di sospetta incostituzionalità prospettati dalle ricorrenti, rilevando che « lo scopo della disciplina è quello di assicurare al Presidente ed ai senatori componenti del RAGIONE_SOCIALE di Presidenza ed agli altri senatori aventi titolo l’adeguata provvista di personale di Segreteria, in qualità di collaboratori fiduciari, per lo svolgimento di attività di rilievo politico istituzionale estranee allo svolgimento delle funzioni tipiche….. Da ciò l’esclusiva rilevanza privatistica della relazione così instaurata, vigente solo tra la persona fisica del parlamentare ed il soggetto da lui prescelto, senza alcun ruolo attivo da parte dell’amministrazione al di fuori delle attività pratiche ad essa delegabili in conformità a quanto prev isto negli atti regolamentari interni… ».
L’organo di autodichia, quindi, a fronte della domanda formulata sul presupposto che si fosse instaurato, in via di fatto, un rapporto di impiego con l’amministrazione del RAGIONE_SOCIALE, ha, nella sostanza e sulla base di plurime argomentazioni, ritenuto che detta domanda non fosse fondata, e, ravvisata l’esclusiva legittimazione delle persone fisiche che il rapporto avevano instaurato nonché la natura privatistica del medesimo, ha declinato la giurisdizione sulle pretese scaturenti da detto ultimo rapporto, non da quello, prospettato dalle ricorrenti ma non ravvisato dall’organo giudicante , asseritamente intercorso con il RAGIONE_SOCIALE, rapporto al quale si riferisce, invece, la sentenza del giudice ordinario, dinanzi al quale le ricorrenti hanno convenuto l’amministrazione del RAGIONE_SOCIALE, non i
Presidenti  succedutesi  nel  tempo,  nei  cui  confronti,  secondo  l’organo dell’autodichia, le pretese dovevano essere fatte valere.
1.3. In altri termini non si ravvisa alcun contrasto, quanto alla giurisdizione ed ai limiti dell’autodichia , fra le pronunce asseritamente confliggenti perché l’una, quella del Tribunale, ha correttamente escluso che il giudice ordinario possa statuire sull’instaurazione o meno di un rapporto di impiego con l’amministrazione del RAGIONE_SOCIALE; l’altra, quella dell’organo di autodichia, ha negato che quel rapporto si fosse instaurato, pronunciando sul merito della domanda, aggiungendo, poi, che ogni rivendicazione doveva essere fatta valere dalle ricorrenti nei confronti delle persone fisiche con le quali il rapporto privatistico si era instaurato, persone che non sono state evocate in giudizio dinanzi al Tribunale, il quale, quindi, non ha reso alcuna statuizione sulla giurisdizione inerente al rapporto con le stesse instaurato.
1.5. In via conclusiva il denunciato conflitto va escluso alla radice per le ragioni innanzi esposte e ciò esime queste Sezioni Unite dal pronunciare sull’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 362 cod. proc. civ. nei casi in cui una delle due pronunce asseritamente confliggenti sia resa dall’organo di autodichia.
 Le  spese  del  giudizio  di  cassazione  devono  essere  integralmente compensate  fra  le  parti  in  ragione  della  assoluta  peculiarità  della fattispecie e della complessità della vicenda processuale.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti  precisati  da  Cass.  S.U.  n.  4315/2020,  della  ricorrenza  delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalle ricorrenti.
P.Q.M.
La  Corte,  dichiara  inammissibile  il  ricorso  e  compensa  le  spese  del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle
ricorrenti,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella Camera di consiglio del 5 dicembre 2023