Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12117 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12117 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15664/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv . NOME COGNOME ed elett.te domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore ; -intimato- per la cassazione del decreto della Corte di appello di Perugia n. 4/2023, depositato il 20 aprile 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso ex art. 3, legge n. 89/2001, depositato presso la Corte di Appello di Roma nel gennaio 2019, riassunto presso la
Corte di Appello di Perugia, a seguito di declaratoria di incompetenza territoriale, NOME COGNOME chiedeva che venisse dichiarata la violazione dell’art. 6, Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali , sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui al relativo par. 1, in relazione alla durata di un procedimento, in materia di equa riparazione, protrattosi complessivamente otto anni (Gennaio 2010/Gennaio 2018), per un solo effettivo grado di giudizio.
Costituitasi l’amm inistrazione, con decreto n. 780/2019, depositato il 26 agosto 2019, la Corte di Appello di Perugia accoglieva parzialmente la domanda, condannando il Ministero al pagamento, in favore della parte istante, della somma di euro 600,00, oltre interessi legali dal deposito della domanda giudiziale al saldo e alle spese di lite.
Avverso detta decisione NOME COGNOME ricorreva alla Corte di cassazione con un solo motivo di impugnazione, censurando la decisione della Corte di Appello di Perugia per violazione e/o falsa applicazione di legge – artt. 2 e 2 bis, legge n. 89/2001.
La Corte di legittimità, con ordinanza n. 28491/2020, depositata il 15 dicembre 2020, accoglieva il ricorso, cassava il decreto impugnato, e rinviava la causa anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Perugia, in altra composizione.
Riassunta la causa, ex art. 392 cod. proc. civ., la Corte di Appello di Perugia, con decreto n. 600/2021, condannava l’ amm.ne al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 663,70 oltre interessi legali dal deposito della domanda giudiziale al saldo e al pagamento delle spese di cassazione, liquidate in euro 323,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario 15% ca e 22% iva, euro 27,00 per spese vive. Ometteva di pronunciarsi sulle spese della fase originaria di merito, tenutasi dinanzi alla Corte umbra e conclusasi con il precedente decreto n. 780/2019.
Avverso detta pronuncia, l’istante ricorreva nuovamente alla Corte di cassazione, con due motivi di impugnazione, censurando la decisione della Corte di Appello di Perugia per aver omesso del tutto di considerare le spese dell’originario giudizio di merito (che, peraltro, erano state già liquidate in ‘ euro 450,00 ‘ dal decreto n. 780/2019); con il secondo, per aver compensato integralmente, tra le parti, le spese del giudizio di riassunzione ex art. 392 cod. proc. civ., conseguente alla pronuncia della Suprema Corte n. 28491/2020.
Con ordinanza n. 34340/2022, depositata il 22 novembre 2022, la Corte di cassazione accoglieva entrambi i motivi del ricorso, cassava il decreto impugnato, e rinviava di nuovo alla Corte d’Appello di Perugia, altra composizione, anche per il capo delle spese del presente giudizio di legittimità.
2. -Parte ricorrente riassumeva nuovamente il giudizio, ex art. 392 c.p.c., presso la Corte di appello di Perugia, la quale – costituitasi l’amm .ne resistente -, con decreto n. 50/2023, in accoglimento della domanda, posta l’incontestata condanna del Ministero al pagamento in favore del ricorrente di euro 663,70, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; risultando altresì incontestata la condanna della stessa amm.ne al pagamento delle spese di lite del primo grado di legittimità (euro 323,00), definito dall’ordinanza n. 28491/2020 su tali premesse, considerato il valore del decisum (euro 663,70) dei parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, aggiornate D.M. n. 147 del 13 agosto 2002 e ritenuto di dovere applicare il minimo della tariffa, considerata la semplicità della materia controversa, provvedeva alla liquidazione condannando il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, delle ‘ spese di lite relativamente: a) alla fase originaria di merito (conclusasi con il decreto della Corte di Appello di Perugia n. 780/2019, poi cassato) liquidata in euro 27,00 per esborsi in complessive euro 337,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, Iva e CI, da distrarsi …. b) del
grado di legittimità, definito dall’ordinanza della Suprema Corte n. 34340/2022 liquidato in euro 27,00 per esborsi e euro 339,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, Iva e CI, da distrarsi …. c) della prima fase di rinvio ex art. 392 c.p.c. (conclusasi con il decreto della Corte di Appello di Perugia n. 600/2021, poi a sua volta parzialmente cassato) liquidato in euro 27,00 per esborsi e euro 337,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, Iva e CI, da distrarsi …. d) della seconda fase di rinvio ex art. 392 c.p.c. liquidata in euro 27,00 per esborsi e euro 337,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, Iva e CI, confermando per il resto il decreto n. 600/2021, depositato l ’11 novembre 2021.
-Avverso tale decreto il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Il Ministero della Giustizia non si è costituito.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e/o falsa applicazione di legge – art. 91, cod. proc. civ.; art. 2233, ii comma, cod. civ.; d.m. n. 55/2014, d.m. n. 37/2018 e d.m. n. 147/2022; art. 4, punto 5, d.m. n. 55/2014; mancata liquidazione compensi distinti per fasi, in relazione ad ogni grado di giudizio. Il ricorrente evidenzia che non è censurata, in questa sede, la sola liquidazione delle spese di lite del primo grado di legittimità (euro 323,00) , definito dall’ordinanza n. 28491/2020, la cui misura il decreto impugnato ha in effetti confermato. Di contro, ingiusta ed illegittima risulterebbe la liquidazione delle spese di lite – sempre poste a carico dell’amm inistrazione soccombente – per gli altri quattro gradi, in cui il giudizio si è articolato, ed esattamente tre di merito (fase originaria, definita dal decreto della Corte di Appello di Perugia n. 780/2019; nonché prima e seconda fase di riassunzione
ex art. 392 c.p.c., rispettivamente definite dai decreti della stessa Corte territoriale n. 600/2021 e n. 50/2023); e una di legittimità ( definita dall’ordinanza della Suprema Corte n. 34340/2022).
Al riguardo, il decreto impugnato ha liquidato tali spese di lite (e per tutti i quattro gradi predetti), in maniera globale ed onnicomprensiva, limitandosi ad indicare l’importo finale liquidato per ciascun grado (rispettivamente, euro 337,00 per ognuno dei tre di merito, ed euro 339,00 per quello di legittimità), e senza mai provvedere ad individuarne e a distinguerne le voci afferenti alle singole e rispettive fasi.
In realtà, ai sensi dell’art. 4, punto 5, del D.M. n. 55/2014, ‘ il compenso è liquidato per fasi ‘ : ed infatti la Suprema Corte ha sempre precisato che ‘ il giudice, anche in assenza di nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, deve indicare il sistema di liquidazione adottato, con la tariffa applicata, non potendo limitarsi ad una determinazione globale di tali compensi senza indicazione delle voci non considerate o ridotte ‘ (Cass. Civ.; Sez. VI; n. 15443/2021 del 3/6/2021).
Ne conseguirebbe , già sotto questo primo profilo, l’ingiustizia e l’i llegittimità della liquidazione delle spese di lite disposta, per tutti i predetti quattro gradi, dal decreto impugnato, essendosi lo stesso limitato ad una ‘ determinazione globale dei compensi ‘ , senza operarne alcuna distinzione delle relative voci per singole e rispettive fasi.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e/o falsa applicazione di legge – artt. 10 e 91, cod. proc. civ.; art. 2233, 2 comma, cod. civ.; liquidazione compensi ex d.m. n. 55/2014, d.m. n. 37/2018 e d.m. n. 147/2022. In via subordinata si deduce che il decreto impugnato determina le spese della seconda riassunzione ex art. 392 cod. proc. civ. , conseguente all’ordinanza della Suprema Corte n. 34340/2022, in ‘ euro 337,00’. Al riguardo, il decreto impugnato assume, testualmente, di aver applicato i parametri
previsti dal D.M. n. 55/2014 (aggiornati dal D.M. n. 147/2022), in misura pari al ‘ minimo della tariffa ‘ ma di aver, ai fini dello scaglione tariffario di riferimento, ‘ considerato il valore del decisum (euro 663,70) ‘ . Nel secondo giudizio di riassunzione, ex art. 392 c.p.c., conseguente alla pronuncia della Corte di cassazione n. 34340/2022, ‘ il ‘ decisum ‘ -a seguito dell’accoglimento della relativa impugnazione di legittimità, proposta dal solo istante -comprenderebbe certamente tutte le spese di lite, determinate nuovamente e complessivamente dal decreto impugnato in euro 337,00, per la ‘ fase originaria di merito ‘ ; euro 339,00, per il ‘ grado di legittimità, definito dall’ordinanza …. n. 33340/2022 ‘ ; euro 337,00, per la ‘ prima fase di rinvio ex art. 392 c.p.c. ‘ ; ed euro 337,00, infine, per la ‘ seconda fase di rinvio ex art. 392 c.p.c. ‘ : il tutto per un totale di euro 1.350,00 (euro 337,00 + euro 339.0 + euro 337,00 + euro 337.00). Lo scaglione tariffario in concreto applicabile non risulta quindi essere quello da euro 0 ad euro 1.100,00, considerato dal decreto impugnato, ma quello superiore (vale a dire, da euro 1.100,00 ad euro 5.200,00), in virtù di quanto complessivamente rideterminato, dal decreto impugnato, a titolo di spese di lite (euro 1.350,00). Pertanto, i relativi ‘ minimi ‘ tariffari, così come stabiliti dalla Tabella n. 12 ( ‘giudizi innanzi alla Corte di Appello ‘ ), del D.M. n. 55/2014 (aggiornati dal D.M. n. 127/2022, ed in relazione allo scaglione di valore da euro 1.100,00 ad euro 5.200,00), sarebbero in realtà i seguenti: euro 268,00 per la fase di studio; euro 268,00 per la fase introduttiva; euro 496,00 per la fase di istruttoria / trattazione; euro 425,50 per la fase decisionale. Il tutto pari, pertanto, ad euro 1.457,50 (euro 268,00 + euro 268,00 + euro 496,00 + euro 425,50), per la seconda fase di riassunzione ex art. 392 c.p.c., tenutasi dinanzi alla Corte di Appello di Perugia, e definita dal decreto in questa sede impugnato (n. 50/2023): e non a ‘ euro 337,0 0’, come liquidato dal decreto impugnato.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
Il procedimento camerale di equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo di cui alla l. n. 89 del 2001 ha natura contenziosa e, pertanto, ai fini della liquidazione dei compensi spettanti agli avvocati va applicata la tabella 12 allegata al d.m. n. 55 del 2014 per il giudizio dinanzi alla Corte d’appello (Cass., Sez. VI-2, 21 luglio 2020, n. 15493; Cass., Sez. VI-2, 14 novembre 2016, n. 23187) e la tabella 13 per i giudizi innanzi alla Corte di cassazione.
Va inoltre chiarito che l’opposizione ex art. 5ter della legge n. 89 del 2001, avverso il decreto di rigetto non è assimilabile ad un appello, con la conseguenza che, se la domanda viene accolta in tale sede, la condanna alle spese segue l’esito complessivo del giudizio, senza che sia possibile procedere a una distinta liquidazione per la fase monocratica (ass., Sez. II, 3 settembre 2024, n. 23630).
In tema di spese legali, in assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile (Cass., Sez. II, 13 aprile 2023, n. 9815).
Applicando le tabelle di cui al D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, considerando un decisum pari all’importo liquidato a titolo di indennizzo per equa riparazione (euro 663,70) per la fase originaria di merito e del primo giudizio di rinvio (valore della causa fino a € 1.100), si ottiene un valore pari al compenso tabellare minimo per ciascuna fase di merito di euro 337,00 (considerando per la fase di studio della controversia, valore minimo: € 71,00, per la fase introduttiva del giudizio, valore minimo: € 71, 00, per la fase istruttoria e/o di trattazione, valore minimo: € 90,00 e per la fase decisionale, valore minimo: € 105,00) e di euro 339,00 per il secondo giudizio di legittimità (considerando per la fase di studio della controversia,: € 126,00, per la fase introduttiva del giudizio,
valore minimo: € 142,00 e per la fase decisionale, valore minimo: € 71,00), per cui i minimi non risultano essere stati violati in relazione a tali fasi.
Per il secondo giudizio di rinvio, per la determinazione del valore della controversia, va richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui quando un giudizio prosegua nel successivo grado soltanto per la determinazione delle spese di lite a carico della parte soccombente, il differenziale tra la somma attribuita dalla decisione impugnata e quella ritenuta corretta dall’impugnante costituisce il “disputatum” della controversia e sulla base di tale criterio, integrato da quello del “decisum”, vanno determinate le ulteriori spese di lite riferite al detto grado (Cass., Sez. VI-1, 5 marzo 2020, n. 6345; Cass., Sez. VI-5, 16 novembre 2017, n. 27274; Cass., Sez. Un., 11 settembre 2007, n. 19014).
Il valore di riferimento nel secondo giudizio di rinvio è dunque pari alle spese riconosciute in relazione alle fasi per cui è stata richiesta la liquidazione con riferimento alla fase originaria di merito (euro 337,00), al secondo giudizio legittimità (euro 339,00) e alla prima fase di rinvio (euro 337,00), per un importo complessivo di euro 1.013,00, per cui l’importo liquidato di euro 337,00 (valore della causa fino a € 1.100) non risulta essere inferiore al minimo (considerando per la fase di studio della controversia, valore minimo: € 71,00, per la fase introduttiva del giudizio, valore minimo: € 71,00, per la fase istruttoria e/o di trattazione, valore minimo: € 90,00 e per la fase decisionale, valore minimo: € 105,00)
-Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e/o falsa applicazione di legge – artt. 91, 324 e 336, cod. proc. civ. Ferma restando la valenza assorbente del primo motivo, si rappresenta che la Corte di Appello risulta aver liquidato, a titolo di compensi, la somma di ‘ euro 337,00 ‘ per la fase originaria di merito (quella definita dal decreto n. 780/2019, poi cassato dall’ordinanza n. 28491/2020 della Suprema Corte, e su cui il successivo decreto
n. 600/2021 ha poi del tutto omesso di pronunciarsi – e su tale omessa pronuncia quest’ultimo è stato quindi a sua volta cassato dall’ordinanza n. 34340/2022 ). Si tratta, in realtà, di una somma inferiore a quella già determinata dal decreto n. 780/2019 (euro 450,00), originariamente impugnato, e quindi cassato dall’ordinanza n. 28491/2020.
Si deduce che all’esito dell’accoglimento di una impugnazione, proposta dalla sola parte privata, il Giudice non può ridurre le spese già determinate dal provvedimento impugnato, ed a favore della parte privata stessa, per la fase precedente.
2.1. -Il motivo è infondato.
Come evidenziato nella trattazione dei precedenti due motivi, l’opposizione ex art. 5ter della legge n. 89 del 2001, avverso il decreto di rigetto non è assimilabile a un appello, con la conseguenza che, se la domanda viene accolta in tale sede, la condanna alle spese segue l’esito complessivo del giudizio, senza che sia possibile procedere a una distinta liquidazione per la fase monocratica (Cass., Sez. II, 3 settembre 2024, n. 23630).
Pertanto, in sede di opposizione, la Corte d’appello rivaluta nuovamente la pretesa e la liquidazione disposta, potendo liquidare un importo diverso, purché non scenda al di sotto dei minimi, nella specie non violati, non trovando applicazione la giurisprudenza di questa Corte riguardo al potere del giudice di appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali (Cass., Sez. III, 29 ottobre 2019, n. 27606), non essendo l’opposizione ex art. 5ter della legge n. 89 del 2001 equiparata a un giudizio d’appello.
-Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza o del procedimento – vizio di omessa pronuncia – art. 112, cod. proc. civ. Nelle conclusioni contenute rispettivamente a pag. 5 del secondo ricorso di legittimità, nonché a pag. 6 del secondo ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c., l’istante aveva
espressamente domandato che, nella specifica determinazione delle spese di lite di tali due gradi, si applicasse anche lo ‘aumento previsto dall’art. 4, comma 1 bis, del D.M. n. 55/2014’, per aver utilizzato modalità telematiche, ed aver redatto così i relativi atti processuali ‘con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione’. Ne conseguirebbe un ulteriore vizio del decreto impugnato, per non essersi affatto pronunciato su tali richieste, avanzate sia nel secondo ricorso di legittimità, notificato all’Amm.ne il 7/3/2022; sia nel secondo giudizio di riassunzione, ex art. 392 cod. proc. civ. (depositato presso la Corte di Appello di Perugia il 2/1/2023).
3.1. -Il motivo è fondato.
L’art. 4, comma 1-bis, del d.m. n. 55 del 2014 nella formulazione applicabile ratione temporis prevede che « Il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 è ulteriormente aumentato fino al 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto ».
La disposizione normativa ha introdotto la possibilità di utilizzare più raffinate tecniche informatiche per la redazione di atti giudiziari e di documenti, nella specie la possibilità di ‘consentire la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati’: la tecnica di redazione a cui fa riferimento la norma consente di ‘navigare’ all’interno dell’atto (e dei documenti allegati) con tecniche ‘ipertestuali’ (indici ipertestuali e riferimenti incrociati), in modo da ‘saltare’ direttamente (clicca ndo su specifiche parole) tra varie parti dell’atto oppure alla lettura dei documenti allegati oppure ad un sito web (avente contenuti rilevanti per la controversia). L’elaborazione di un testo mediante queste tecniche richiede, all’autore, una
specifica (e più complessa) strutturazione del testo da redigere e comporta, per il lettore (avvocato della controparte e giudice), il vantaggio di ridurre significativamente i tempi di consultazione. In considerazione, da una parte, della complessità dell’adozione di strumenti per la creazione di ‘atti navigabili’ e, dall’altra, della utilità per le parti del processo, è previsto l’aumento del compenso spettante all’avvocato.
Nel caso di specie, nell’impugnato decreto, la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi (e, quindi, di riconoscere eventualmente il relativo importo in favore dell’opponente) sulla richiesta (espressamente formulata e trascritta in ricorso) di liquidazione della maggiorazione dei compensi per la redazione degli atti mediante modalità telematiche di cui all’art. 4, comma 1-bis, del D.M. n. 55/2014.
Il ricorso va quindi accolto limitatamente al quarto motivo, rigettati i motivi uno, due e tre, con la cassazione del decreto impugnato e il rinvio, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati il primo, il secondo e il terzo motivo;
cassa il decreto impugnato limitatamente al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione