Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3389 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3389  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23056/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante  pro  tempore,  elettivamente  domiciliato  in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL).
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante  pro  tempore,  e  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,  quale società  di  gestione  del  fondo  comune  di  investimento  ‘RAGIONE_SOCIALE‘,  rappresentate  e
difese,  anche  disgiuntamente  fra  loro,  dagli  AVV_NOTAIOti  prof.  NOME COGNOME (EMAIL), NOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL, fax NUMERO_TELEFONO), in virtù di procure speciali in calce al presente atto, su foglio separato, ed e NOME COGNOME (RAGIONE_SOCIALE), in Roma, INDIRIZZO
elettivamente domiciliate presso lo studio degli AVV_NOTAIO COGNOME INDIRIZZO.
-controricorrenti- avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3378/2020 depositata il 10/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
1. RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, è stata conduttrice di numerose  strutture  alberghiere  di  proprietà  della  RAGIONE_SOCIALE, concesse poi nel 2003 ad RAGIONE_SOCIALE (di seguito per  brevità:  ERE)  in  qualità  di  usufruttuaria,  tra  cui  l’RAGIONE_SOCIALE sito in Pieve Emanuele.
Il  contratto  di  locazione  dell’RAGIONE_SOCIALE  prevedeva  un canone di locazione annuale determinato, per gli anni 1998-2002, in una percentuale crescente dal 6%  al 14%  dei ricavi complessivi realizzati; la percentuale del 14%  sarebbe  poi rimasta costante negli anni successivi.
Successivamente,  in  corso  di  rapporto,  RAGIONE_SOCIALE,  subentrata  ad RAGIONE_SOCIALE nel 2003, ed RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, stipulavano  tre  scritture  private  -in  data  16  maggio  2002,  22 ottobre 2004 e 7 giugno 2005con cui, secondo la
prospettazione  della  ricorrente  RAGIONE_SOCIALE,  il  canone  sarebbe stato  ricalcolato  ed  aumentato,  per  cui  nel  periodo  dall’uno gennaio 2006 al 23 dicembre 2015 RAGIONE_SOCIALE sostiene di aver pagato  ad  ERE  un  canone  di  gran  lunga  maggiore  di  quanto dovuto in base all’originario contratto del 1997.
2. Pertanto RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE (quest’ultima società di gestione del fondo immobiliare di tipo chiuso nel quale RAGIONE_SOCIALE ha conferito l’RAGIONE_SOCIALE a fine anno 2015, sicché da tale data NOME è subentrata a RAGIONE_SOCIALE nella posizione di locatore di RAGIONE_SOCIALE), avanti al Tribunale di Milano, impugnando le tre scritture private e chiedendone di dichiararsi la nullità perché stipulate in violazione delle norme che in corso di rapporto vietano accordi di aumento del canone tra locatore e conduttore; chiedeva per l’effetto la condanna di NOME a restituire le somme percepite, a titolo di aumento non dovuto del canone, o in subordine a qualsivoglia altro titolo, nonché a titolo di rivalutazione automatica annuale del canone di locazione in misura del 100% o in subordine del solo 25% dell’Istat eccedente la soglia legale del 75%; chiedeva altresì la condanna di NOME alla restituzione delle somme percepite quale incremento non dovuto del canone di locazione e quale incremento non dovuto dell’indennità di occupazione dell’RAGIONE_SOCIALE dal 1° gennaio 2016 al 15 febbraio 2016, data della riconsegna calcolata sull’ultimo canone di locazione, da ridursi per effetto della nullità delle scritture private impugnate.
Resistevano NOME ed NOME, allegando che l’incremento del canone di cui alle scritture private era valido in quanto giustificato  dall’esigenza  di  riequilibrare  il  sinallagma  a  seguito dell’effettuazione di lavori -di cui al cd. ‘Accordo  Migliorie’ stipulato inter partes – che avrebbero incrementato le prospettive reddituali dell’RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Con sentenza del 14 febbraio 2020 il Tribunale di Milano solo parzialmente accoglieva le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di NOME, ritenendo sussistenti i profili di nullità, dedotti ai sensi degli artt. 79 e 32 legge 392/1978 delle scritture integrative del 16 maggio 2002, 22 ottobre 2004 e 7 giugno 2005, solo in riferimento alla clausola che aveva determinato l’aumento Istat in misura del 100%, anziché del 75%, quale misura massima espressamente consentita, con conseguente limitata condanna di ERE alla restituzione di una minor somma, per l’indebita maggiorazione del 25% Istat, oltre interessi legali della domanda giudiziaria al saldo, rispetto agli ingenti importi richiesti. Il Tribunale dichiarava invece inammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito, in quanto svolta -in via subordinata nel denegato caso in cui le tre scritture fossero state riconosciute valide- solo in sede di udienza di discussione e nelle note integrative.
 Avverso  tale  sentenza  RAGIONE_SOCIALE  proponeva appello, in cui resistevano NOME ed NOME.
Con  sentenza  n.  3378/2020  del  10  febbraio  2021  la  Corte d’Appello  di  Milano  rigettava  l’appello,  confermando  la  sentenza impugnata.
 Avverso  tale  sentenza  RAGIONE_SOCIALE  propone  ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso ERE ed RAGIONE_SOCIALE.
 La  trattazione  del  ricorso  è  stata  fissata  in  adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il PM non ha depositato conclusioni.
La ricorrente e le resistenti hanno  depositato  memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce <>.
Lamenta che la sentenza impugnata è contraria ai principi affermati dalla Cassazione, secondo cui l’aumento del canone di locazione in corso di rapporto è valido solo se fissato in base ad elementi oggettivi e predeterminati da valutarsi ex ante, perché ha del tutto omesso di verificare se ed in che misura l’aumento del canone di locazione pattuito in corso di rapporto con le impugnate scritture private avesse davvero riequilibrato il sinallagma nel rispetto dei suindicati requisiti di oggettività e di predeterminazione.
Deduce che, in realtà, l’aumento del canone sarebbe stato del tutto squilibrato a danno di RAGIONE_SOCIALE e che la corte di merito aveva omesso di valutare in concreto la legittimità e proporzionalità di siffatto aumento.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia <>.
A dire della ricorrente, la corte d’appello si sarebbe discostata dal  costante  insegnamento  della  giurisprudenza  di  legittimità secondo  il  quale  ‘la  nullità,  per  violazione  del  citato  art.  79,  è rilevabile anche d’ufficio a norma dell’art. 1421 cod. civ.’ (v. p. 26,  par.  46  del  ricorso  e  le  sentenze  Cass.  n.  5795/2017, 680/2005 e 5827/1993 ivi citate).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la decisione della corte d’appello è in sé errata ed improntata ad un eccessivo formalismo: infatti a voler considerare l’aumento del canone per migliorie come interamente nullo ovvero parzialmente nullo, oppure valido, ma erroneamente calcolato ed erroneamente applicato da RAGIONE_SOCIALE, in ogni caso la subordinata domanda di RAGIONE_SOCIALE non può dirsi nuova, perché in tutte e tre le ipotesi l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione del contratto è sempre la azione di ripetizione di indebito, per cui non vi è violazione del principio della domanda, allorquando la pretesa restitutoria ex art. 2033 cod. civ. venga accolta per ragioni diverse da quelle allegate dalla parte.
4. Il primo motivo prospetta genericamente la nullità di tutte le scritture private stipulate inter partes , mentre, come espressamente rilevato dalla corte di merito (p. 7 della sentenza impugnata), si è formato il giudicato in relazione alla statuizione del  tribunale  che  ha  dichiarato  la  sostanziale  estraneità  della scrittura 16.05.2002 ai lamentati aumenti del canone.
Inoltre, il motivo riporta circostanze (per esempio quella per cui l’Accordo cd. Migliorie stipulato inter partes sarebbe un contratto di appalto di cui possiede tutti gli elementi essenziali: v. p. 15) che attengono alla quaestio facti , il cui sindacato è ora precluso in sede di legittimità (tenuto anche conto del fatto che la corte di merito a p. 11 nella sentenza impugnata ha espressamente affermato, con motivazione congrua e scevra da vizi logico-giuridici: <>).
4.1. Il motivo è anche, gradatamente, infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, la maggiorazione del canone in costanza di rapporto non incorre nella nullità ex art. 79 l. equo canone ogniqualvolta essa sia ‘collegata sinallagmaticamente all’ampliamento della controprestazione’ (Cass., 4040/2009) e il patto di aumento sia ‘ancorato a elementi oggettivi predeterminati, idonei a influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale’ (v. Cass., 5849/2015, secondo cui per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ancorata, infine, ad elementi predeterminati, a meno che non risulti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo così i limiti quantitativi posti dalla legge c.d. ‘sull’equo canone’; v. anche, sotto il profilo sistematico, la recente Cass., 23986/2019 che ha legittimato il cd. ‘canone a scaletta’ nelle locazioni ad uso commerciale).
Ancora, va ricordato, in termini rispetto al caso di specie, sebbene non applicabile ratione temporis , che l’art. 18 del d. l. n. 133 del 12 settembre 2014 (cd. decreto ”Sblocca Italia”), convertito nella legge 11 novembre 2014, n. 164, recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività’ produttive”, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 262 dell’11 novembre 2014, ha aggiunto all’art. 79 della legge 27 luglio 1978 n. 392, un terzo comma, col quale si prevede, nel testo coordinato con la legge di conversione, che: «In deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, e’ facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere approvati per iscritto».
Per effetto di tale previsione, dunque, è possibile che le parti inseriscano nei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo, clausole che incidono sulla durata del contratto, o che attribuiscono un maggior canone al locatore, o che comunque deroghino alle disposizioni della legge 392/1978, ove ricorra il presupposto di ordine quantitativo basato sull’ammontare dell’importo del canone annuo pattuito, (che deve superare euro 250.000,00), oltre che quello formale costituito dalla ‘approvazione per iscritto’ del contratto.
Pertanto, nelle ‘grandi locazioni’ commerciali possono essere inserite  clausole  derogative  delle  prescrizioni  imperative  della legge 392/78 e possono dunque essere oggetto di libera contrattazione tra le parti le clausole su durata minima, rinnovo automatico, prelazioni, recesso per gravi motivi, indennità a fine locazione e indicizzazione e/o aumenti del canone.
Dovranno dunque ritenersi lecite,  nelle  locazioni  stipulate  ai sensi dell’articolo 18 del d.l. 133/2014, clausole di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria che superino  i  limiti quantitativi previsti dall’art.  32  della  legge 392/1978  (come  modificato  dall’art.  41,  comma  16-duodecies,
lettera a) del d.l. 207/2008, convertito dalla legge 14/2009).
Orbene,  la  corte  d’appello,  con  motivazione  scevra  da  vizi logico-giuridici, ha correttamente applicato questi principi, confermando gli accertamenti in concreto svolti sotto tali  profili dal giudice di primo grado.
5. Il secondo motivo è inammissibile.
In disparte il fatto, non marginale, per cui la ricorrente sollecita la declaratoria d’ufficio della nullità della scrittura del 2012 proponendo un riesame delle questioni di fatto e delle prove (addirittura illustrando delle tabelle di calcolo: v. da p. 23 a p. 26 del ricorso), del tutto precluso in sede di legittimità, decisivo è il rilievo per cui la corte di merito ha ritenuto inammissibile la proposta domanda di nullità, osservando che la società appellante, ora ricorrente, solo in sede di gravame, e non già previamente in prime cure, ha chiesto di accertare la nullità anche di questa scrittura ed abbia conseguentemente solo con il ricorso in appello ed anche modificando le conclusioni, introdotto elementi nuovi su circostanze che non erano state dedotte con il ricorso introduttivo di primo grado.
È opportuno ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate ampiamente del problema della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 12/12/2014, n. 26242), affermando, tra l’altro, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, per cui, qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino essere stati ritualmente e tempestivamente già allegati dalla parte che la invoca successivamente, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali
accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati.
Orbene, nel caso di specie la corte territoriale ha fatto buon governo  dei  suindicati  principi  e,  con  motivazione  conforme  a diritto e solo genericamente censurata dalla odierna ricorrente, è correttamente  pervenuta  alla  decisione  di  inammissibilità  della domanda  di  nullità  sul rilievo  che  l’accertamento  della  sua fondatezza o meno si fondava su circostanze di fatto nuove, che la  parte  ha  omesso  di  dedurre  già  in  primo  grado  (v.  Cass., 17/07/2023, n. 20713).
6. In disparte il rilievo per cui nella rubrica del motivo viene indicato il vizio di cui al n. 3 dell’articolo 360 cod. proc. civ. e non il n. 4 (v. Cass., Sez. Un., 24/07/2013, n. 17931), anche il terzo motivo è inammissibile.
Viola  l’art.  366,  n.  6,  cod.  proc.  civ.,  giacché  prospetta  del tutto genericamente all’inizio di p. 27 che sin dalla prima udienza di  discussione  e  poi  in  una  successiva  memoria,  la  domanda  di cui trattasi era stata introdotta, ma non fornisce la riproduzione degli elementi che evidenzierebbero tale asserto.
Occorre rammentare che rammentare che l’impugnazione in sede di legittimità è retta dal ‘principio di autonomia del ricorso per cassazione’ (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308, concernente l’esposizione sommaria dei fatti di causa), collegato all’ulteriore principio secondo cui, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, è necessario riportarli in ricorso (Cass., n. 17049/2015; Cass., n. 21083/2014; Cass., n. 14561/2012), o quantomeno determinarne il contenuto in modo da essere reso comprensibile alla Corte, e che, comunque, sia fornita un’indicazione circostanziata che ne consenta l’individuazione nell’ambito dell’atto d’appello (Cass., 02/05/2023, n. 11325).
Il  disposto  dell’art.  366,  n.  6,  cod.  proc.  civ.  codifica  il  cd.
principio di autosufficienza del ricorso, che impone che il ricorso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità, in linea di principio, di accedere ad altre fonti ed atti del processo (Cass., 28/12/2017, n. 31082), per cui il ricorrente ha dunque l’onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali e i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15  per  cento,  esborsi,  liquidati  in  euro  200,00,  ed  accessori  di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione