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Aumento canone locazione: nullo l’accordo successivo

La Corte di Cassazione ha confermato la nullità di un accordo successivo al contratto di locazione che prevedeva un aumento del canone. Un locatore aveva citato in giudizio un’associazione sportiva per morosità, ma quest’ultima ha ottenuto la restituzione delle somme pagate in eccesso. La Corte ha rigettato il ricorso del locatore, sottolineando che l’accordo per l’aumento del canone di locazione è contrario alla norma imperativa dell’art. 79 della legge 392/1978 e che il ricorso presentava vizi procedurali, tra cui la mancata impugnazione di tutte le ragioni della decisione d’appello.

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Aumento canone locazione: la Cassazione conferma la nullità degli accordi successivi

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di locazioni ad uso diverso da quello abitativo: qualsiasi patto stipulato dopo la firma del contratto che preveda un aumento canone locazione rispetto a quello originariamente pattuito è da considerarsi nullo. Questa decisione offre importanti spunti sia sul piano sostanziale, a tutela del conduttore, sia su quello processuale, evidenziando i requisiti di ammissibilità di un ricorso.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da uno sfratto per morosità intimato dal proprietario di un immobile (locatore) nei confronti di un’associazione sportiva (conduttrice). Il locatore lamentava il mancato pagamento di alcuni canoni e di parte dell’imposta di registro. L’associazione si opponeva, sostenendo di aver pagato per anni un canone molto più alto (€ 1.240,00 mensili) rispetto a quello originariamente concordato (€ 516,00). Presentava quindi una domanda riconvenzionale per ottenere la restituzione delle somme versate in eccesso, quantificate in oltre 79.000 euro, oltre al risarcimento dei danni e all’indennità di avviamento.

Il Tribunale di primo grado rigettava gran parte delle domande, mentre la Corte d’Appello riformava la decisione, accogliendo la domanda restitutoria della conduttrice e condannando il locatore a pagare la somma richiesta.

Il Ricorso in Cassazione e le Questioni Procedurali

Il locatore ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su cinque motivi. I primi quattro motivi erano di natura prevalentemente processuale:

1. Omessa pronuncia: Si lamentava che la Corte d’Appello non si fosse espressa sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità.
2. Violazione dell’art. 342 c.p.c.: Si contestava la mancanza dei requisiti formali dell’atto d’appello, che avrebbero dovuto essere rilevati d’ufficio.
3. Omesso esame: Si denunciava la mancata valutazione della presunta diversità tra il soggetto condannato in primo grado e il soggetto appellante.
4. Mancata verifica d’ufficio: Si criticava il giudice d’appello per non aver verificato d’ufficio l’identità e la legittimazione ad agire dell’appellante.

La Cassazione ha dichiarato inammissibili o infondati tutti questi motivi, chiarendo che le questioni procedurali non possono essere oggetto di doglianza per omessa pronuncia, che il ricorso era generico nel non riprodurre il contenuto dell’atto d’appello criticato e che la Corte d’Appello aveva, di fatto, correttamente accertato l’identità del soggetto appellante.

La Nullità dell’Aumento Canone Locazione e le Motivazioni della Corte

Il quinto motivo del ricorso era il più rilevante dal punto di vista sostanziale. Il locatore contestava la violazione dell’art. 79 della Legge n. 392/1978, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere nullo un accordo successivo che prevedeva un aumento canone locazione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile anche questo motivo, ma per una ragione dirimente. La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su due distinte rationes decidendi (ragioni della decisione):

1. L’accordo che aumentava il canone non era efficace perché non era stato sottoscritto dalla conduttrice, ma solo dal locatore.
2. In ogni caso, anche se fosse stato sottoscritto, tale accordo sarebbe stato nullo per violazione dell’art. 79 della Legge 392/1978, norma imperativa che vieta patti volti ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni di legge.

Il ricorrente, nel suo motivo, aveva criticato solo la seconda motivazione, quella relativa alla nullità per violazione di legge, tralasciando completamente la prima, ossia la mancanza di sottoscrizione. La giurisprudenza costante della Cassazione stabilisce che, quando una decisione è sorretta da più ragioni autonome e sufficienti, il ricorrente ha l’onere di impugnarle tutte. La mancata contestazione anche di una sola di esse rende il ricorso inammissibile, poiché la motivazione non censurata è da sola sufficiente a sorreggere la decisione. La prima motivazione, passata in giudicato, rendeva quindi superfluo l’esame della seconda.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento ribadisce con forza due principi fondamentali. Il primo, di diritto sostanziale, è che nelle locazioni ad uso diverso dall’abitativo, ogni patto successivo alla stipula del contratto che miri a un aumento canone locazione è radicalmente nullo perché elude le norme a protezione del conduttore. Il secondo, di carattere processuale, è l’importanza di strutturare un ricorso in modo completo, attaccando tutte le autonome fondamenta logico-giuridiche della sentenza impugnata. Omettere la critica anche solo a una delle rationes decidendi può portare all’inammissibilità dell’intero motivo di ricorso, con conseguenze decisive sull’esito del giudizio.

È valido un accordo che aumenta il canone di locazione stipulato dopo la firma del contratto originale?
No, secondo l’art. 79 della Legge n. 392/1978, qualsiasi patto successivo alla stipulazione del contratto che preveda un canone superiore a quello originario è nullo, in quanto mira ad attribuire al locatore un vantaggio non previsto dalla legge, a danno del conduttore.

Perché è importante, in un ricorso, contestare tutte le ragioni della decisione del giudice precedente?
Perché se una sentenza si basa su più ragioni giuridiche autonome e ciascuna è sufficiente a sorreggere la decisione (le cosiddette rationes decidendi), è necessario impugnarle tutte. Se anche una sola di queste ragioni non viene contestata, essa diventa definitiva (passa in giudicato) e da sola è sufficiente a confermare la decisione, rendendo inammissibile il motivo di ricorso che contesta le altre ragioni.

Cosa succede se un atto di appello o di ricorso non è sufficientemente specifico?
Un atto di impugnazione deve indicare in modo chiaro e specifico le parti della sentenza che si contestano e le ragioni della critica, nonché le modifiche richieste. Se l’atto è generico e non permette di comprendere le censure mosse alla decisione, può essere dichiarato inammissibile per violazione del principio di specificità dei motivi (art. 342 c.p.c. per l’appello e art. 366 c.p.c. per il ricorso in Cassazione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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