Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31412 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 31412 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 4563/2023 proposto da:
NOME COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
–
ricorrente –
contro
ASP Messina, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME domiciliata presso la Cancelleria della corte Suprema di Cassazione;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI MESSINA n. 769/2023 del 27 ottobre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e l’Avv. NOME COGNOME per la P.A. controricorrente, che ne ha domandato il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 27 aprile 2021 il Tribunale di Messina ha accolto il ricorso di NOME COGNOME COGNOME, medico di libera scelta in convenzione con il SSN, riconoscendo in suo favore il diritto al conseguimento degli aumenti contrattuali previsti dall’art. 10, comma 2, dell’ACN 2010 per la disciplina dei rapporti con i pediatri di libera scelta, con conseguente condanna dell’azienda a pagare la somma di € 5.3 85,39.
L’ASP di Messina ha proposto appello che la Corte d’appello di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 769 del 2023, ha accolto.
NOME COGNOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
L’ASP di Messina si è difesa con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità del procedimento e della sentenza per inammissibilità dell’appello in quanto quest’ultimo sarebbe stato una mera riproposizione dei motivi già dedotti in primo grado, prospettati in maniera generica.
La doglianza è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’ art. 342 c.p.c., integrante error in
procedendo , che legittima l ‘ esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l ‘ ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all ‘ art. 366, comma 1, n. 4 e n. 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d ‘ interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l ‘ attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass., Sez. L, n. 3612 del 4 febbraio 2022; Cass., Sez. 1, n. 24048 del 6 settembre 2021).
Nella specie, il ricorrente non ha riportato alcun elemento dell’atto di appello dell’ASP Messina, rendendo, così, del tutto inammissibile il motivo in esame.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta l’inammissibilità della documentazione non prodotta e acquisita dal giudice di appello esistente prima del giudizio di I grado in quanto la corte territoriale avrebbe fondato la sua decisione sulla nota interna 24803 del 20 marzo 2014, non prodotta né davanti al Tribunale di Tribunale né con il ricorso in appello e del tutto illeggibile.
La doglianza è infondata.
Infatti, la sentenza impugnata è rispettosa del principio di diritto secondo cui, nel rito del lavoro, caratterizzato dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorché le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, occorre che il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437, comma 2, c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori sollecitati da t ale materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo; né all’ammissione d’ufficio delle prove è di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti
interessate, atteso che il potere d’ufficio è diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, intese come complessivo materiale probatorio (anche documentale) correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado, con la conseguenza che, in tal caso, non si pone, propriamente, alcuna questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte, essendo la prova ‘nuova’, disposta d’ufficio, solo l’approfondimento, ritenuto indispensabile, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo (Cass., Sez. L, n. 2379 del 5 febbraio 2007; Cass., Sez. L, n. 18924 del 5 novembre 2012; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 12550 del 25 giugno 2020).
Nella specie la corte territoriale fa espresso riferimento alla necessità di approfondire, mediante acquisizione documentale, una pista probatoria ricavabile dalle allegazioni delle parti sicché l’esercizio del potere officioso ex art. 437 c.p.c. non è censurabile.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ossia la nota 24803 del 20 marzo 2014 dell’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana e le note SISAC n. 1745/12 e n. 762/12.
Egli prospetta che la nota 24803 del 20 marzo 2014 sarebbe stata male interpretata e che le note SISAC, non prodotte dall’ASP Messina, sarebbero state lette estrapolando solo alcuni passaggi che, comunque, sarebbero stati ‘ inconducenti rispetto al thema decidendum della controversia ‘.
In particolare, sarebbe stata infondata l’affermazione circa un presunto ruolo interpretativo della SISAC, mentre sarebbe stato inconferente il richiamo all’art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001.
La doglianza è inammissibile, atteso che il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione non è più previsto nel nostro ordinamento, dovendo eventualmente essere prospettata l’assenza, l’apparenza o l’assoluta incomprensibilità e contraddittorietà della detta motivazione.
Nella specie, peraltro, la Corte d’appello di Messina ha fondato la sua decisione essenzialmente sulla lettura degli Accordi nazionali citati, mentre le note SISAC
non sono state decisive, essendo servite semplicemente a confermare un convincimento già maturato.
Inoltre, si evidenzia che il ricorrente non ha neppure riportato nell’atto di impugnazione in sintesi rilevante il contenuto delle note contestate, rendendo così impossibile un sindacato dell’esito interpretativo al quale è giunto il giudice di secondo grado.
Con il quarto motivo il ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel riscontrare l’infondata pretesa della P.A. di definire unilateralmente i rapporti contrattuali con i medici in convenzione sulla base di una semplice nota interna, modificando l’applicazione inequivoca del l’AIR in materia di indennità economiche.
Egli richiama, quindi, giurisprudenza di legittimità, che avrebbe stabilito il divieto per la normativa speciale prevista per il rientro da disavanzi economici di derogare agli accordi collettivi, nazionali e integrativi e che si porrebbe in contrasto con la decisione di appello, che avrebbe consentito alla P.A. controricorrente di non adempiere a una chiara obbligazione retributiva, una sentenza della Corte costituzionale che avrebbe vietato alla legislazione regionale di intervenire nella fase esecutiva del rapporto in convenzione e giurisprudenza di merito siciliana a sé favorevole.
La doglianza è fondata.
Come affermato in precedenti sentenze rese all’esito dell’udienza del 1° ottobre 2024 (Cass., Sez. L, n. 27337, 27342, 27369 e 27423 del 2024), alla cui motivazione si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., si è espresso, a partire da Cass. 3 maggio 2021, n. 11566, poi seguita da diverse pronunce conformi e mai contraddette, il principio per cui il rapporto convenzionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale con il SSN è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi, ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali, ai sensi degli artt. 48 della legge n. 833 del 1978 e 8 del d.lgs. n. 502 del 1992.
La censura del medico pediatra pone essenzialmente un problema di interpretazione dell’ACN (art. 10 , comma 2) che, secondo il ricorrente, farebbe immediatamente sorgere in suo favore il diritto all ‘incremento economico di €. 1,54 annui per ogni assistito, mentre, ad avviso dell’ASP, tale incremento economico si tradurrebbe solo in maggiori risorse messe a disposizione delle singole regioni, le quali conserverebbero il potere di utilizzarle indifferentemente per tutti gli istituti contrattuali dell’AIR.
Nella specie, l’ACN 9.3.2010 tra SISAC e OO.SS. dei Medici Pediatri (sottoscritto dalla Conferenza Stato-Regioni in data 29 luglio 2009, come rinnovato in data 8 luglio 2010) prevede al comma 1 dell’art. 10, recante ‘Aumenti Contrattuali’, che «Le Regioni e le Organizzazioni sindacali, preso atto delle disposizioni finanziarie assunte dal Governo in materia, fissano un aumento, per medici pediatri di libera scelta, da erogarsi secondo la seguente tabella e da considerarsi al netto degli oneri previdenziali e fiscali a carico dell’azienda», stabilendo, poi, alla tabella B e con decorrenza dal 1.1.2010, l’incremento nell’AIR della ‘quota capitaria’ di € 1,54. Il comma 2, stesso articolo, stabilisce che «Le Regioni, per i relativi accordi decentrati potranno contare su una quota per assistito, al netto degli oneri previdenziali e fiscali a carico dell’azienda, pari ad euro 1,54 (uno/54)», con previsione che mira a garantire la provvista necessaria all’erogazione diretta al medico pediatra di libera scelta dell’i mporto capitario predetto. È poi precisato al successivo comma 9 che: «Gli arretrati derivanti dagli adeguamenti contrattuali, a far data dal 1° gennaio 2010, di cui al comma 2 del presente articolo, sono corrisposti entro tre mesi dalla stipula dell’Accor do Regionale o entro tre mesi dalla scadenza dei termini dell’art. 6 del presente ACN»: disposizione, quest’ultima, che lascia chiaramente intendere come la corresponsione di tali emolumenti a ciascun medico consegua (appunto) alla scadenza dei termini ind icati nell’ACN. D’altronde, che questa sia l’interpretazione più corretta da dare all’ACN, articolo 10, si desume dal precedente art. 6, recante ‘Tempistica degli Accordi integrativi regionali’, che recita a sua volta: «1. Gli Accordi Integrativi Regionali (AIR) sono siglati e resi operativi dagli appositi provvedimenti regionali entro 9 mesi dall’entrata in vigore del presente Accordo Collettivo Nazionale. 2. Qualora in
una Regione tale termine non venga rispettato, le risorse definite dal presente ACN per l’AIR di quella Regione vengono attribuite come segue: – secondo le stesse modalità e proporzioni concordate per l’attribuzione della quota nazionale degli incrementi contrattuali definiti dal presente ACN; – tali incrementi contrattuali sono riconosciuti ai medici convenzionati previa riduzione del 10%;
la Regione interessata adotta i provvedimenti conseguenti entro 30 giorni».
Infatti, il ritardo nell’operatività degli appositi accordi integrativi regionali (sottoscritti dalla Regione e dalle organizzazioni sindacali di categoria in data 19 aprile 2011 e ratificati in data 3 maggio 2011) oltre il termine di 9 mesi dall’entrata in vigore dell’Accordo Collettivo Nazionale comporta unicamente, quale effetto prestabilito nell’ACN, che gli «incrementi contrattuali sono riconosciuti ai medici convenzionati previa riduzione del 10%». Non osta a tale esegesi la dichiarazione resa a verba le in calce all’ACN, secondo cui «Le regioni si impegnano ad utilizzare l’eventuale disponibilità di risorse derivante dall’applicazione dell’art. 6, comma 2 del presente Accordo a favore di programmi di integrazione tra l’attività di continuità assistenzi ale e quelle di pediatria di libera scelta». Tale dichiarazione si limita a stabilire un vincolo di destinazione per «l’eventuale disponibilità di risorse derivante dall’applicazione dell’art. 6, comma 2 del presente Accordo», sicché, per come formulata, è da intendersi come riferita alle risorse residuate dopo il riconoscimento, in favore dei medici pediatri, di quelle loro spettanti a sensi della stessa disposizione. Chiaro essendo, dunque, il tenore letterale delle parole adoperate nell’ACN, non varrebbe in contrario richiamare le note interpretative SISAC, pure menzionate in sentenza, che restano sprovviste di efficacia vincolante, rappresentando solo il punto di vista della delegazione di parte pubblica per il rinnovo degli accordi riguardanti il personale sanitario a rapporto convenzionale.
Come noto, anche nell ‘ interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale il criterio del senso letterale delle parole, di cui all ‘ art. 1362, comma 1, c.c. è prevalente, potendo risultare assorbente di eventuali ulteriori e successivi criteri interpretativi (Cass., Sez. L, n. 24763 del 12 agosto 2022; Cass., Sez. L, n. 30135 del 26 ottobre 2021).
Tanto precisato, il riconoscimento, nell’ACN, dell’incremento capitario al medico pediatra di libera scelta non poteva essere ignorato (o superato) dal successivo AIR e ciò a prescindere «dall’impegno all’utilizzo in concreto delle maggiori risorse per specifiche iniziative previste in sede di contrattazione integrativa» (così testualmente la sentenza impugnata).
Cass., Sez. L, n. 29137 del 2022 ha affermato, infatti, il seguente principio di diritto, cui va data in questa sede continuità: «in tema di rapporto di lavoro dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, l ‘ art. 2-nonies del d.l. 29 marzo 2004, n. 81, convertito in legge 26 maggio 2004, n. 138, rimette agli accordi nazionali ivi previsti, anche attraverso il richiamo all ‘ articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 e quindi al sistema comune del pubblico impiego contrattualizzato ivi contenuto, la disciplina della contrattazione di ambito regionale ed aziendale, sicché la contrattazione collettiva decentrata non può validamente disporre in senso contrastante rispetto a quanto stabilito in ambito nazionale » (fattispecie relativa alla previsione di cui all’art. 13 dell’Accordo Integrativo Regionale per la Regione Abruzzo del 9.8.2006, con cui, a fronte di una disciplina dell’Accordo Collettivo Nazionale 20.1.2005, che consente di valorizzare, anche a fini incentivanti, specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività, è stato previsto in modo generalizzato un compenso aggiuntivo orario, indennità di rischio, per tutti i medici di continuità assistenziale operanti sul territorio regionale, dichiarata nulla).
In conclusione, la Corte d’appello di Messina , ove erroneamente interpreta l’ACN (artt. 6-10), avallando una soluzione che sostanzialmente immuta l’assetto degli incrementi economici fissati a beneficio dei medici pediatri di libera scelta dall’ACN, non si uniforma ai principi di diritto sopra enunciati e merita, in parte qua , di essere cassata.
In particolare, la pronuncia impugnata collide col principio di diritto secondo cui il rapporto convenzionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale con il SSN è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi (Cass. n. 11566/2021 cit.), i quali ultimi, quale contrattazione decentrata, non possono validamente disporre in senso
contrastante rispetto a quanto stabilito in ambito nazionale (Cass. n. 29137/2022 cit.).
Cass. n. 21499 del 7/7/2022 rileva che «il legislatore ha previsto la doverosa ‘ disapplicazione ‘ della contrattazione integrativa nelle sole ipotesi di nullità delle clausole contrattuali, espressamente affermata in relazione ai contratti che, al momento della sottoscrizione, risultino essere in contrasto con i vincoli imposti dal contratto nazionale o comportino oneri non previsti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione (art. 40, comma 3, della versione originaria; art. 40, comma 3 quinquies del testo modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009).
La nullità prevista dall ‘ art. 40 è, quindi, solo quella genetica del contratto, che rende inefficaci le clausole della contrattazione integrativa sin dal momento della loro stipulazione»; la stessa pronuncia non manca di sottolineare, poi, che «nel rapporto convenzionale con i pediatri di libera scelta e con i medici di medicina generale, l ‘ ente agisce su un piano di parità, sicché l ‘ atto con il quale lo stesso pretende di rideterminare il compenso, in peius rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva, non è espressione di potestà pubblica e va equiparato a quello con il quale il debitore, privato, rifiuta di adempiere, in toto o parzialmente, l ‘ obbligazione posta a sua carico».
Con il quinto mezzo il ricorrente censura la nullità della sentenza per genericità del dispositivo che si limita ad accogliere l’appello e a rigettare la domanda proposta in primo grado con formula non ‘ puntuale e autosufficiente ‘ e, dunque, priva di tutti gli elementi che ne consentano la ‘messa in esecuzione’.
Il motivo è inammissibile, atteso che il motivo prescinde dal dato, dirimente, che presupposto del processo di esecuzione civile è l ‘ esistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, e che tale non è il dispositivo della sentenza impugnata che, nell’accogliere l’appello dell’ASP, si limita a rigettare la domanda proposta in primo grado dal dipendente, compensando integralmente fra le parti le spese di lite.
Il ricorso è accolto, quanto al quarto motivo, infondato il secondo e inammissibili gli altri.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, che deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite di legittimità.
Nel compiere tale accertamento, la corte territoriale dovrà tenere conto delle somme che, comunque, anche ad altro titolo, siano già state stanziate in favore dei medici de quibus negli accordi integrativi regionali o siano state percepite dal ricorrente, ove provenienti dalle risorse oggetto del contendere, al fine di evitare una inammissibile duplicazione degli importi ricevuti o ricevibili dai pediatri di libera scelta in convenzione.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie, per quanto in motivazione, il quarto motivo di ricorso, rigettato il secondo e inammissibili gli altri;
-cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 5