Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3910 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3910 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
Il Tribunale di Vercelli ha rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME, Direttore di Struttura Organizzativa Complessa (SOC) presso l’Ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato, volto ad ottenere la condanna della ASL all’adempimento dell’obbligo di attuare l’atto aziendale concernente la costituzione di un’unica SOC di psicologia su base provinciale, nonché il conferimento dell’incarico di Direzione della suddetta SOC ed il risarcimento dei danni per l’inadempimento contrattuale, per violazione dell’art. 2043 e/o per mobbing.
La Corte di Appello di Torino ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME.
La Corte territoriale ha evidenziato che l’atto aziendale costituisce un documento di natura organizzativa e programmatica da cui non possono farsi derivare obblighi giuridici in capo all’Amministrazione, né diritti soggettivi in capo ai dipendenti in ordine alla realizzazione di un determinato schema organizzativo; ha inoltre escluso che la ASL avesse ammesso il proprio inadempimento, di cui non ha comunque ravvisato la sussistenza.
Ha rimarcato che la contestazione dell’appellante aveva investito direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo attraverso la deduzione dell’illegittimità degli atti di macroorganizzazione con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva definito in concreto le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; per tali ragioni non ha ritenuto configurabile la sussistenza di un diritto soggettivo su cui abbia inciso un atto amministrativo.
All’esito dell’istruttoria testimoniale, il giudice di appello non ha ritenuto provato il lamentato demansionamento, né la dedotta lesione alla professionalità.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ, il difensore della ricorrente ha dato atto del decesso della medesima.
DIRITTO
Preliminarmente deve darsi atto che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto della interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume rilievo, né consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo ( cfr. Cass. 19346/2023 che richiama Cass. n. 1757/2016 e Cass. n. 24635/2017).
Il primo motivo di ricorso denuncia error in procedendo per violazione del principio di cui agli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di essersi pronunciata sull’inadempimento datoriale, positivamente accertato dal Tribunale di Vercelli, in assenza di appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE, la quale nella memoria di costituzione di primo grado non aveva contestato l’inadempimento.
Critica la sentenza impugnata per avere apoditticamente escluso che la RAGIONE_SOCIALE aveva ammesso il proprio inadempimento, mentre la difesa della resistente aveva riconosciuto che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva ottemperato all’atto aziendale.
Lamenta la violazione del giudicato formatosi sull’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione del giudicato sulla giurisdizione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta che la sentenza impugnata, nell’affermare la natura amministrativa dell’atto aziendale, è viziata per ultrapetizione e mette in discussione il giudicato sulla giurisdizione del giudice ordinario.
Il terzo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
Lamenta l’omessa valutazione del contenuto delle delibere n. 1969 del 30.6.2008 e n. 1395 del 6.7.2009, con cui alla DottNOME COGNOME era stata conferita la responsabilità complessiva dell’attività psicologica della RAGIONE_SOCIALE.
Addebita alla Corte territoriale di avere preferito attribuire peso alle dichiarazioni testimoniali, del tutto contrastanti con il dato documentale e tra di loro; evidenzia che il procuratore speciale della RAGIONE_SOCIALE aveva confermato lo svolgimento in concreto delle mansioni indicate nei suddetti documenti.
Il quarto motivo di ricorso, proposto in via subordinata, denuncia la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale ha applicato il principio della soccombenza, senza tenere conto della possibile esistenza di ragioni che avrebbero potuto giustificare la compensazione delle spese di lite, alla luce dei principi espressi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77/2018.
Il primo motivo, anche a voler prescindere dal mancato rispetto dell’onere di specifica indicazione degli atti processuali, è infondato.
Questa Corte ha infatti evidenziato (Cass. n. 24358/2018) che il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. n. 17935 del 2007; Cass. n. 23747 del 2008), non anche su quelli relativi ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. n. 22863 del 2008); si è inoltre precisato che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri,
concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 23747 del 2008; Cass. n. 22863 del 2007; Cass. n. 27196 del 2006).
Ove non sia stata proposta impugnazione nei confronti di un capo della sentenza e sia stato, invece, impugnato un altro capo strettamente collegato al primo, è da escludere che sul capo non impugnato si possa formare il giudicato interno (vedi, per tutte: Cass. n. 4934 del 2010); la violazione del giudicato interno si può verificare soltanto quando la sentenza di primo grado si sia pronunziata espressamente su una questione del tutto distinta dalle altre e tale specifica pronunzia non può considerarsi implicitamente impugnata allorché il gravame sia proposto in riferimento a diverse statuizioni, rispetto alle quali la questione stessa non costituisca un antecedente logico e giuridico, così da ritenersi in esse necessariamente implicata, ma sia soltanto ulteriore ed eventuale e, comunque, assolutamente distinta (Cass. n. 28739 del 2008).
Si è inoltre chiarito che la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione (Cass. n. 16853/2018 e negli stessi termini Cass. n. 24783/2018 e Cass. n. 12202/2017).
D’altro canto è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, appaiano tuttavia, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico.
Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno, e decidere, con pronunzia che ha natura ed
effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (cfr. fra le tante Cass. n. 34027/2022).
Nel caso di specie, il Tribunale aveva respinto la domanda; pertanto la RAGIONE_SOCIALE, integralmente vincitrice, non era tenuta a proporre impugnazione incidentale che sarebbe risultata inammissibile, in quanto inerente ad un mero passaggio argomentativo e non ad una questione preliminare suscettibile di passaggio in giudicato.
Il primo motivo di appello, con cui la sentenza di primo grado è stata censurata ‘per non avere tratto le dovute conseguenze dell’inadempimento dell’ atto RAGIONE_SOCIALEle …’ (così a pag. 4 della sentenza impugnata) ha dunque devoluto alla Corte territoriale la cognizione sulla sussistenza dell’inadempimento, quale indefettibile condizione per la condanna della RAGIONE_SOCIALE all’attuazione dell’ atto aziendale attraverso la costituzione di un’unica SOC di Psicologia, con competenza estesa a tutto il territorio della provincia e sotto la direzione della COGNOME.
7. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto non coglie il decisum.
Infatti la sentenza impugnata non ha messo in discussione la giurisdizione, ma ha fatto applicazione del principio, recentemente richiamato da Cass n. 33975/2023, secondo cui il giudicato sulla giurisdizione non può incidere sulla qualificazione della posizione giuridica soggettiva di chi agisce in giudizio.
La sentenza impugnata non si è limitata ad affermare che l’atto aziendale è espressione di potestà autoritativa della Pubblica Amministrazione (statuizione, questa, errata, atteso che l’art. 3, comma 1 bis del d.lgs. n. 502/1992 qualifica espressamente l’atto aziendale come atto di diritto privato), ma non è questa l’unica ratio della decisione giacché la Corte, con accertamento in fatto di per sé sufficiente a fondare la pronuncia di insussistenza del diritto soggettivo all’attribuzione dell’incarico o al risarcimento del danno, ha escluso l’inadempimento evidenziando che l’atto aziendale prevedeva un percorso graduale con esito aperto e non ancora determinato, così smentendo quanto asserito dalla ricorrente a fondamento della propria azione.
8. Il terzo motivo è parimenti inammissibile, in quanto confonde l’omesso esame del fatto decisivo (nella specie insussistente, atteso che la Corte territoriale si è pronunciata sul demansionamento, non ritenendolo provato) con l’omessa valorizzazione di risultanze istruttorie.
Inoltre il motivo sollecita un giudizio di merito attraverso una nuova valutazione del materiale istruttorio.
Deve in proposito rammentarsi il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
9. Il quarto motivo è inammissibile.
In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. n. 24502/2017).
E’ pertanto da escludere che la sentenza impugnata debba essere cassata per il solo fatto che sia sopravvenuta la sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale che ha ampliato le ipotesi in cui il giudice può compensare le spese, né il motivo prospetta specifiche ragioni che avrebbero consentito alla Corte territoriale l’esercizio della facoltà di compensare le spese di lite.
10. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per la ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 6.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 11 gennaio 2024.
La Presidente NOME COGNOME