Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12164 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12164 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9080-2023 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 470/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 31/10/2022 R.G.N. 211/2022;
Oggetto
Dirigente pubblico impiego
R.G.N. 9080/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 07/04/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, medico chirurgo presso la ASL TO4 in regime di esclusività che aveva optato per l’attività libero-professionale intra moenia (ALPI), ha agito, e ottenuto in via monitoria, la condanna della ASL al pagamento dei compensi di €. 11.950,00 , relativi a nove interventi chirurgici, in regime ALPI, da lui effettuati nei mesi di dicembre 2018 e gennaio 2019; la ASL, con tempestiva opposizione, ha contestato la fondatezza della domanda monitoria ed ha chiesto revocarsi il decreto ingiuntivo domandando altresì, in via riconvenzionale, la restituzione dell’indennità di esclusiva per i mesi in questione;
il Tribunale di Ivrea ha revocato il decreto ingiuntivo, ritenendo che l’attività libero professionale in regime di intra moenia si fosse svolta senza la preventiva autorizzazione della ASL di appartenenza: secondo il Tribunale, l’obbligo di preventiva autorizzazione per lo svolgimento di incarichi non conferiti dall’Amministrazione è sancito dall’art. 53, co mma 7, d.lgs. n. 165/2001, ed era pacifico che gli interventi de quibus erano stati svolti senza attendere il provvedimento di autorizzazione del Direttore Generale della ASL, sicché era irrilevante la dedotta prassi -che comunque, se esistente, sarebbe stata contra legem -secondo cui il silenzio della Direzione Generale sarebbe stato interpretabile come implicito assenso; il primo giudice ha, inoltre, accolto la domanda riconvenzionale dell’ASL volta alla restituzione dell’indennità di esclusività erogata nei mesi di dicembre 2018 e gennaio 2019;
la C orte d’appello, adita dal COGNOME, ha parzialmente riformato la sentenza impugnata ritenendo, da un
lato, corretta l’affermazione del primo giudice sulla non debenza del compenso per gli interventi eseguiti senza preventiva autorizzazione (in tal senso andava intesa la nota del Direttore Generale dell’ASL del 12/11/2018, ossia quale mera comunicazione che si limitava a ribadire l’obbligo di osservanza della disposizione di cui all’ art. 53 co. 7 d.lgs. n. 165/2001; dall’altro, andando di diverso avviso rispetto al Tribunale, ha , tuttavia, escluso la perdita del diritto all’indennità di esclusività, trattandosi di indennità che consegue all’opzione esercitata ex ante dal medico e non collegata al numero di prestazioni libero professionali intra moenia effettuate, con o senza autorizzazione;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il dirigente medico con quattro motivi assistiti da memoria, cui resiste con controricorso la ASL.
CONSIDERATO CHE:
col primo motivo si denuncia (art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione e f alsa applicazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001, in relazione all’art. 113 c.p.c. ;
sostiene parte ricorrente che la decisione della Corte d’appello sia mossa esclusivamente da una falsa applicazione, dell’art. 53, co mma 7, del d.lgs. 165/2001 frutto de ll’ erronea analisi delle norme che regolamentano la materia, tra cui il regolamento ALPI, che altro non è che un ‘contratto decentrato’ sottoscritto dalla ASL con i sindacati, non suscettibile come tale di integrazioni con disposizioni del direttore generale della ASL (qui intervenute con nota del 12.11.2018);
infatti, la disciplina applicabile in materia non si rinviene nel T.U.P.I. bensì nell’art. 4 co mma 7 della legge n. 412/1991, che sancisce la compatibilità con gli obblighi di servizio dell’attività
intra moenia , come peraltro chiarito dal primo comma dell’art. 53 d.lgs. n. 165/2001;
1.1 il motivo è fondato nei sensi appresso precisati; occorre muovere preliminarmente da una breve ricognizione della disciplina in materia;
1.2 l’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, stabilisce che «… L’esercizio dell’attività libero -professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dell’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse. …» ;
a sua volta, l’art. 4, comma 10, del d.lgs. n. 502 del 1992 sancisce l’obbligo delle aziende sanitarie di mettere a disposizione dei professionisti spazi adeguati per l’esercizio della professione: «…In caso di documentata impossibilità di assicurare gli spazi necessa ri alla libera professione all’interno delle proprie strutture, gli spazi stessi sono reperiti, previa autorizzazione della regione, anche mediante appositi contratti tra le unità sanitarie locali e case di cura o altre strutture sanitarie, pubbliche o pri vate. Per l’attività libero -professionale presso le suddette strutture sanitarie i medici sono tenuti ad utilizzare i modulari delle strutture sanitarie pubbliche da cui dipendono. »;
il successivo art. 15-quinquies del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992 prevede, al comma 2 lett. d), che «Le modalità di svolgimento delle attività di cui al presente comma e i criteri per l’attribuzione dei relativi proventi ai dirigenti sanitari interessati nonché al personale che presta la propria collaborazione sono stabiliti dal direttore generale in conformità alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro», e il successivo comma 3
stabilisce che tali prescrizioni vengano adottate in un quadro generale di compatibilità con la contrattazione collettiva;
il successivo art. 1, comma 8, della legge n. 662 del 1996, evidenzia ancora che «I direttori generali delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, in base a quanto previsto dall’articolo 4, comma 10, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, attivano ed organizzano, d’intesa con le regioni, nell’ambito della ristrutturazione della rete ospedaliera, l’attività libero professionale intramuraria. …» ;
1.3 i noltre, ai sensi dell’art. 5, commi 1 , del d.P.C.M. 27 marzo 2000, «I direttori generali delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, avvalendosi del collegio di direzione, adottano, in conformità alle direttive regionali, alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro e del presente atto di indirizzo e coordinamento, un apposito atto aziendale per definire le modalità organizzative dell’attività liberoprofessionale del personale medico e delle altre professionalità della dirigenza del ruolo sanitario, con riferimento alle prestazioni individuali o in équipe , sia in regime ambulatoriale che di ricovero»;
il successivo comma 2 dello stesso art. 5, cit., precisa altresì che «L’atto aziendale, in particolare, si conforma ai seguenti criteri: a) nell’ambito dell’azienda, devono essere individuate proprie idonee strutture e spazi separati e distinti, da utilizzare per l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria; b) fino alla realizzazione di quanto previsto alla lettera a) vanno individuati, fuori dell’azienda, spazi sostitutivi in case di cura ed altre strutture, pubbliche e private non accreditate, con le quali stipulare apposite convenzioni…» ;
1.4 com’è agevole constatare, l’intera disciplina prevede un vero e proprio diritto contrattuale all’esercizio dell’attività libero professionale intra moenia che spetta ai dirigenti medici delle aziende sanitarie pubbliche sia pure in un quadro di regolazione fissato però dai direttori generali in sintonia con la disciplina collettiva (cfr. Cass., Sez. L, n. 12785/2023);
questo perché «la necessità per le strutture sanitarie di consentire lo svolgimento della libera professione intramuraria per il personale medico e sanitario che abbia esercitato la relativa opzione determina il sorgere dell’onere per le stesse di assumere le iniziative volte a reperire gli spazi a tal fine necessari, predisporre gli strumenti organizzativi per le attività di supporto (quali il servizio di prenotazione e di riscossione degli onorari), individuare sistemi e moduli organizzativi per il controllo dei volumi delle prestazioni libero-professionali, prevenire situazioni che possano determinare l’insorgere di situazioni di conflitto di interessi o forme di concorrenza sleale (cfr. art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007)» (così Cass., Sez. L, n. 35056 del 2023);
1.5 quanto poi alla disciplina collettiva, l ‘art. 54 , comma 2, del CCNL 8.6.2000 (I biennio economico) prevede:
«In particolare, l’azienda fino alla realizzazione di proprie idonee strutture e spazi distinti per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria in regime di ricovero ed ambulatoriale -intra ed extra ospedaliera -deve intraprendere tutte le iniziative previste dalle vigenti disposizioni per consentire ai dirigenti l’esercizio della libera professione intramuraria, ai sensi dell’art. 72, comma 11 , legge 448/1998 e delle conseguenti direttive regionali in materia, anche fuori dall’azienda, in spazi sostitutivi in altre aziende o strutture sanitarie non accreditate, nonché in studi professionali privati,
ivi compresi quelli per i quali è richiesta l’autorizzazione all’esercizio dell’attività» ;
mentre l’art. 56 , comma 1, del medesimo CCNL recita:
«Sino alla realizzazione di quanto previsto dall’art. 54, comma 2, l’azienda al fine di consentire l’esercizio dell’attività libero professionale autorizza i dirigenti medici e veterinari all’utilizzo, senza oneri aggiuntivi a carico dell’azienda stessa e comunque al di fuori dell’impegno di servizio, di studi professionali privati o di strutture private non accreditate, con apposita convenzione, alle seguenti condizioni: a) preventiva comunicazione all’azienda dei volumi prestazionali presunti in ragione d i anno, le modalità di effettuazione e l’impegno orario complessivo; b) definizione delle tariffe, d’intesa con i dirigenti interessati; c) emissione delle fatture o ricevute da parte del dirigente su bollettario dell’azienda. Gli importi corrisposti dagli utenti sono riscossi dal dirigente, il quale detratte a titolo di acconto, le quote di sua spettanza nel limite massimo del 50%, li versa entro i successivi 15 giorni all’azienda che provvederà alle trattenute di legge e relativi conguagli; d) definizione del numero e della collocazione della sede o delle sedi sostitutiva agli spazi aziendali nella quale o nelle quali è transitoriamente autorizzato l’esercizio dell’ attività libero professionale intramoenia, con le procedure di cui all’art. 54, comma 1. »;
1.6 in conclusione, dal complesso delle disposizioni di legge e contrattuali finora esaminate, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 54/2015 che riconnette la natura di principi fondamentali in materia di “tutela della salute” alle disposizioni che disciplinano l’attività intramuraria, si desume che «la posizione giuridica del dirigente medico è stata configurata dal legislatore come diritto soggettivo» (Cass., Sez. L, n. 35056/2023 cit.);
trattandosi (or dunque) di un diritto soggettivo del medico, sicché, in forza del comma 6 dell’ art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 (secondo cui «I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, …, con esclusione delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività liberoprofessionali»), non può trovare nella specie applicazione il comma 7 dello stesso articolo ( che prevede l’obbligo di trattenere il compenso relativo all’incarico) erroneamente richiama to dal giudice d’appello ;
il quale ultimo, anziché ritenere applicabile alla fattispecie tale disposizione (co. 7 art. 53 cit.), avrebbe dovuto valutare, cosa che non ha fatto, la compatibilità degli interventi chirurgici eseguiti dal sanitario con la disciplina organizzativa prevista dal Regolamento ALPI della ASL TO vigente ratione temporis -e, ancora, rispetto a tale Regolamento, della nota del D.G. ASL 12/11/2018 che stabiliva termini di preavviso (15 gg.) per l’invio della richiesta -ed apprezzare, se del caso, le conseguenze dell’eventuale violazione delle disposizioni regolamentari in menzione;
la sentenza impugnata va, dunque, cassata in parte qua, con rinvio alla Corte d’appello di Torino per nuovo esame alla luce dei principi sopra enunciati;
col secondo mezzo si deduce (art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione degli artt. 633, 641 e 653 c.p.c. nonché dell’art. 4.3 co. 5-6 del Regolamento Attività Libero Professionale Intramoenia (ALPI) ASL TO, atteso che, posta l’inapplicabilità dell’art. 53 T.U.P.I. , il medesimo Regolamento prevede casi tassativi in cui l’attività professionale è vietata e il relativo compenso è trattenuto a titolo di sanzione;
2.1 il motivo è inammissibile non essendo denunciabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. la violazione del Regolamento ALPI che viene adottato con deliberazione del D.G. della ASL, sicché esso sarebbe al più censurabile solo per violazione delle regole ermeneutiche di interpretazione degli atti (art. 1362 c.c. e ss.);
col terzo motivo si lamenta violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 4.1, comma 4, del Regolamento attività libero professionale intramoenia ALPI ASL TO4;
secondo il ricorrente la sentenza impugnata è erronea in quanto non ha tenuto conto delle doglianze circa l’illegittimità della nota del Direttore generale del 12.11.2018 laddove aveva previsto, arbitrariamente, in ciò integrando il Regolamento ALPI all’art. 4.1 comma 4, « un termine minimo di 15 giorni per l’invio del modulo all’ufficio preposto » onde poter acquisire le necessarie autorizzazioni all’attività chirurgica richiesta;
3.1 il motivo è inammissibile per le stesse ragioni di cui al punto 2.1; oltretutto, la critica impinge nel merito richiedendo un riesame degli atti processuali non consentito in sede di legittimità;
col quarto, ed ultimo, motivo si denuncia l’o messo esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione delle parti ex art. 360 n. 5 c.p.c., per non avere la Corte distrettuale valutato il fatto che fino a tutto il mese di gennaio 2019 si era seguito il medesimo iter amministrativo, presentando i preventivi dei pazienti da operare all’Ufficio Libera Professione, cui seguivano gli interventi -con erogazione del relativo compenso -senza autorizzazione espressa del D.G. della ASL;
in altri termini, tutti gli interventi eseguiti dal ricorrente non erano stati ‘mai formalmente autorizzati’, neanche quelli precedenti e tuttavia regolarmente saldati;
4.1 il motivo incontra anzitutto lo sbarramento della ‘doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a) del medesimo d.l. n. 83/2012 e applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge (Cass. n. 7478/2024); in questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 29851 del 2022; Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), mentre nulla di ciò viene specificato nella censura;
in ogni caso, la Corte di merito ha valutato il ‘ fatto ‘ in parola (prassi vigente) ma ha ritenuto integrasse una prassi contra legem in quanto tale non consentita, donde la possibilità per la stessa ASL di reagire in ogni tempo rifiutando il pagamento dei compensi per gli interventi eseguiti senza preventiva autorizzazione;
in conclusione, va accolto solo il primo motivo con declaratoria di inammissibilità dei rimanenti; l’impugnata sentenza dev’essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il primo motivo e dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia, anche per spese, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della