Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34951 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34951 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
30103/2019 r.g., proposto
da
COGNOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1054/2019 pubblicata in data 05/04/2019, n.r.g. 2363/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 13/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME aveva lavorato presso la RAI spa dal 14/03/2005 al 31/12/2007 in forza di contratti di lavoro autonomo, in qualità di conduttore e di autore di testi.
Con un primo ricorso aveva adìto il Tribunale di Roma ed aveva chiesto l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato da
OGGETTO: attività giornalistica – requisiti – onere della prova
marzo 2005, l’illegittimità del licenziamento conseguentemente configurabile, la condanna della società alla sua reintegrazione nel posto di lavoro.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12861 del 20/07/2009, in accoglimento della domanda, aveva dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti da marzo 2005, aveva condannato RAI spa a riammettere il ricorrente in servizio, ma nulla aveva statuito in ordine alla qualifica e all’inquadramento.
2.- Nel dicembre 2009 RAGIONE_SOCIALE aveva riammesso in servizio il COGNOME con qualifica di programmista regista e inquadramento nel 4^ livello ccnl RAI.
3.- Con un secondo ricorso (del 07/04/2010) NOME COGNOME aveva dedotto che da dicembre 2009 aveva continuato a svolgere attività giornalistica per il canale RAI 3.
Pertanto adìva nuovamente il Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento del suo diritto alla qualifica di capo redattore, ai sensi dell’art. 9 CCNLG ovvero alla qualifica ritenuta di giustizia e la condanna di RAI spa al pagamento delle conseguenti differenze retributive.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 19546 del 30/11/2011, aveva dichiarato improcedibili le domande formulate, in quanto costituenti inammissibile bis in idem rispetto al precedente ricorso.
4.La Corte d’Appello di Roma, investita del gravame avverso la sentenza di primo grado n. 12861/2009, con sentenza n. 10789/2013 aveva rigettato sia l’appello principale che quello incidentale.
5.- Con un terzo ricorso il COGNOME deduceva di avere sempre svolto mansioni di natura giornalistica, riconducibili alla qualifica di redattore, e di essere iscritto all’albo dei giornalisti dal 21/06/2010.
Pertanto adìva il Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento dello svolgimento di mansioni di natura giornalistica dal 14/03/2005 e di inviato dal marzo 2010, nonché del suo diritto all’inquadramento nella qualifica di redattore, l’ordine a RAI spa di i nquadrarlo come redattore con più di 30 mesi di anzianità e la condanna della società al pagamento delle conseguenti differenze retributive.
6.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale dichiarava improcedibile la domanda fino al 20/07/2009 e la rigettava per il periodo successivo.
7.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la sentenza n. 19546/2011 del Tribunale di Roma è passata in giudicato e questo preclude ogni diversa statuizione, coprendo il dedotto e il deducibile, fino alla data di quella prima sentenza (20/07/2009), come già ritenuto dal giudice di primo grado;
tale principio esclude che si possano riproporre non soltanto le questioni già proposte, ma anche quelle non proposte e che erano proponibili;
per il periodo successivo la Suprema Corte di Cassazione dà rilievo prevalente al peculiare carattere informativo delle mansioni svolte, sicché, ai fini della natura giornalistica, occorre l’elaborazione autonoma delle notizie, la valutazione della loro rilevanza in relazione ai destinatari, la predisposizione di un messaggio comunicativo contraddistinto da un apporto soggettivo e creativo (Cass. n. 17723/2011), nonché l’attualità e la tempestività delle notizie elaborate
e divulgate;
nel caso in esame la prova di tutti questi requisiti è mancata;
dall’istruttoria svolta in primo grado è infatti emerso l’assenza di un apporto critico e creativo di carattere informativo, poiché il COGNOME ha realizzato servizi individuati dagli autori e sui quai questi ultimi, ovvero il conduttore, avevano l’ultima parola; analogamente, considerati i programmi alla cui realizzazione egli ha partecipato (‘Cominciamo bene’, ‘Brontolo’, ‘Mi manda Rai 3’) difetta anche il requisito della tempestività della notizia;
dunque con riguardo all’oggettivo contenuto della sua prestazione lavorativa, la stessa non era qualificata dal carattere informativo;
dalle testimonianze raccolte si evince che l’operato del COGNOME si inseriva perfettamente nell’ambito della declaratoria di programmista regista, in quanto non è emerso un proprio significativo apporto creativo, nel senso di una significativa intermediazione critica fra il fatto e i destinatari, atteso che il terminale della notizia è risultato il conduttore, che ha il compito di sottoporla al dibattito, rispetto al quale
l’attività di invito degli ospiti, di individuazione delle storie, di partecipazione alle riunioni della struttura e di collegamenti in diretta ha valore meramente strumentale;
in definitiva è provato che il COGNOME ideava e faceva proposte al gruppo autorale, il quale decideva gli argomenti da trattare e doveva approvare o eventualmente modificare i servizi da lui predisposti.
8.- Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
9.- RAI RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
10.In vista dell’adunanza camerale del 09/11/2023 il ricorrente ha depositato memoria.
11.- Rifissata nuova adunanza camerale, RAGIONE_SOCIALE si è costituita con nuovo difensore (avv. NOME COGNOME.
12.- Entrambe le parti hanno nuovamente depositato memoria per l’odierna adunanza camerale.
13.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
Il ricorrente premette di non voler impugnare quella parte della sentenza, con cui la Corte territoriale ha confermato il giudicato preclusivo di ulteriori domande per tutto il periodo del rapporto di lavoro fino al 20/07/2009.
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il COGNOME lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ della legge n. 69/1963 per avere la Corte territoriale escluso la natura giornalistica delle mansioni da lui svolte.
Il motivo è inammissibile per varie ragioni.
In primo luogo esso difetta di specificità, in quanto viene invocata l’intera legge professionale (L. n. 69/1963) senza specificare quale norma sia stata violata. Al riguardo questa Corte ha più volte affermato che il ricorso per cassazione, con cui si denuncia la violazione di legge in relazione ad un intero corpo di norme, è inammissibile, in quanto preclude al collegio di individuare la norma che si assume violata o falsamente applicata (Cass. sez. un. n. 17555/2013). In tale prospettiva, questa Corte ha altresì affermato che nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, co. 1,
n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. ord. n. 20870/2024). In definitiva, il ricorrente non può demandare alla Corte di legittimità il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata e/o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. sez. un. n. 23745/2020).
Inoltre il motivo è inammissibile anche perché il ricorrente sollecita a questa Corte anche una diversa valutazione delle risultanze documentali, interdetta in sede di legittimità, in quanto riservata al giudice di merito.
Infine il ricorrente censura l’apprezzamento (da parte dei giudici d’appello) del requisito della ‘tempestività della notizia’, che tuttavia non ha una sua autonomia, perché rappresenta solo uno dei molteplici passaggi argomentativi utilizzati dalla Corte territoriale per respingere il gravame del lavoratore e per escludere la natura giornalistica delle mansioni da lui svolte.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per insussistenza dei requisiti di cui agli artt. 132 c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c. In particolare addebita alla Corte territor iale una ‘evidente contraddizione’ (v. ricorso per cassazione, p. 27) nella motivazione del proprio convincimento.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato con riguardo a ll’art. 132 c.p.c.
In sede nomofilattica questa Corte ha affermato che l’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. n. 8053/2014).
Tali oneri di specificazione non sono stati adempiuti dal ricorrente.
Con riguardo alla motivazione ed al rispetto dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c., da parte del giudice, questa Corte, nella medesima funzione nomofilattica, ha affermato che la citata riformulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. sez. un. n. 8053 cit.).
Nel caso di specie sussiste un’ampia motivazione, che non contiene affermazioni inconciliabili. Anche in questo motivo il ricorrente denunzia piuttosto una contraddizione fra i risultati dell’istruttoria testimoniale come da lui individuati -ed il convincimento della Corte territoriale, che tuttavia, postulando un confronto con le risultanze processuali, non è sindacabile nei termini prospettati.
In ogni caso il motivo è infondato in relazione alla denunziata violazione
dell’art. 132 c.p.c., in quanto la Corte territoriale ha motivato il proprio convincimento rispetto a determinati risultati dell’istruttoria testimoniale come da essa ricavati dall’esame delle relative deposizioni. Rispetto a questo risultato -come riportato da i giudici d’appello -il convincimento raggiunto non è contraddittorio, anzi è coerente.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ della legge n. 69/1963 e della contrattazione collettiva con particolare riguardo alla declaratoria di programmista regista.
Il motivo è inammissibile per varie ragioni.
In primo luogo esso difetta di specificità, in quanto viene invocata l’intera legge professionale (L. n. 69/1963) senza specificare quale norma sia stata violata. Al riguardo valgono le considerazioni sopra svolte in relazione al primo motivo.
In secondo luogo in capo al ricorrente difetta l’interesse ad impugnare, atteso che nell’economia della motivazione articolata dalla Corte territoriale rileva non tanto quella parte in cui le mansioni sono state ritenute congrue rispetto all’inquadramento posseduto come programmista regista, quanto la parte in cui è stata esclusa la sussistenza dei requisiti tipici della natura giornalistica delle mansioni svolte.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per insussistenza dei requisiti di cui agli artt. 132 c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c. In particolare addebita alla Corte territoriale di aver preso in esame solo alcune deposizioni testimoniali, senza esplicitare le ragioni per le quali ha ritenuto di non dare rilievo ad altre.
Il motivo è inammissibile.
Come sopra ricordato, questa Corte in funzione nomofilattica ha affermato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. n. 8053 cit.). A maggior ragione, dunque, deve essere esclusa la denunziata nullità della sentenza impugnata per asserita ma inesistente violazione del dovere di motivazione ex art. 132 c.p.c.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per avere la Corte d’appello omesso di esaminare il materiale probatorio documentale prodotto in primo grado.
Il motivo è inammissibile.
I documenti non integrano un ‘fatto storico’, il cui omesso esame sarebbe denunziabile ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. (nella ricorrenza degli altri presupposti). Dunque la censura si risolve nella sollecitazione a questa Corte a rivalutare quei documenti, operazione interdetta in sede di legittimità
Infine il vizio denunziato si sottrae al sindacato di legittimità, in quanto si è al cospetto di una c.d. doppia conforme (art. 360, pen. co., c.p.c.).
6.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per avere la Corte d’appello omesso di esaminare talune deposizioni testimoniali.
Il motivo è inammissibile per varie ragioni.
Le deposizioni testimoniali non integrano un ‘fatto storico’, il cui omesso esame sarebbe denunziabile ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. (nella ricorrenza degli altri presupposti). Il ‘fatto storico’ sarebbe quello al quale i testimoni hanno fatto riferimento per affermarlo oppure per escluderlo. Ma la censura si risolve nella sollecitazione a questa Corte a rivalutare alcune deposizioni testimoniali, operazione interdetta in sede di legittimità.
Inoltre, a voler individuare il fatto storico nella ‘redazione dei testi delle interviste e dei servizi’ (v. ricorso per cassazione, p. 42), di questo manca sia l’omesso esame, sia il requisito della decisività. Infatti la Corte d’appello ha esaminato quel fatto (‘la redazione dei testi delle interviste e dei servizi’), ma ha ritenuto che ciò fosse insufficiente ai fini della pretesa, una volta escluso che ricorressero tutti gli altri requisiti invece necessari ai fini della natura giornalistica delle mansioni svolte.
Infine il vizio denunziato si sottrae al sindacato di legittimità, in quanto si è al cospetto di una c.d. doppia conforme (art. 360, pen. co., c.p.c.).
6.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data