Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31963 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31963 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19817-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 762/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 07/06/2022 R.G.N. 1132/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 19817/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
CC
Rilevato che
La Corte d’appello di Catanzaro ha accolto il reclamo di NOME COGNOME e, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla RAGIONE_SOCIALE con lettera del 25 luglio 2017 ed ha condannato quest’ultima a reintegrare il lavoratore e a risarcirgli il danno pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale ha premesso che al sig. COGNOME, infermiere professionale dipendente della Casa di Cura dal 2004, era stato contestato il seguente addebito: ‘il giorno 29 giugno 2017, tra le 17.10 e le 18 circa, durante il periodo di malattia ed in fascia oraria per la visita fiscale, lei stava svolgendo attività lavorativa presso la sede ASD Salus posta al II piano del civico INDIRIZZO di INDIRIZZO di Rende (di cui lei stesso risulta essere presidente)’. Ha respinto le eccezioni preliminari sollevate dalla RAGIONE_SOCIALE giudicando ammissibile il deposito in forma cartacea del ricorso in opposizione e l’avvenuta sanatoria della notifica del ricorso medesimo, eseguita senza il rispetto del termine a difesa, per effetto della costituzione di controparte. Ha dichiarato insussistente l’addebito non risultando raggiunta la prova né della simulazione della malattia da parte del lavoratore e neppure della idoneità dell’attività svolta a ritardare la guarigione. Esclusa la natura ritorsiva o discriminatoria del licenziamento, ha applicato la tutela prevista dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 1, commi 51 e 52 della legge 92 del 2012, per avere il Tribunale prima e la Corte d’appello poi errato nel non dichiarare improcedibili, rispettivamente, l’opposizione e il reclamo atteso che l’opposizione era stata notificata fuori termine (il 17 maggio 2019 mentre il termine era scaduto il 15 maggio) e, peraltro, alla parte personalmente anziché al procuratore costituito, in violazione dell’articolo 170 c.p.c.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Ai sensi dell’art. 1, comma 52, della legge 92 del 2012, ‘Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato, anche a mezzo di posta elettronica certificata, dall’opponente all’opposto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione’. Il termine di trenta giorni ivi indicato costituisce un termine a difesa, al pari di quello previsto dall’art. 435, terzo comma, c.p.c., per cui valgono i principi costantemente affermati da questa Corte secondo cui, nel rito del lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma dell’art. 435, comma 3, c.p.c., deve intercorrere tra la data di notificazione dell’atto di appello e quella dell’udienza di discussione, configura un vizio che produce la nullità della notificazione, e ne impone la rinnovazione, solo in difetto di costituzione dell’appellato; il vizio resta invece sanato da detta costituzione, ancorché effettuata
al solo scopo di far valere la nullità, salva la possibilità per l’appellato di chiedere, all’atto della costituzione, un rinvio dell’udienza per usufruire dell’intero periodo previsto dalla legge ai fini di un’adeguata difesa. (Cass. n. 25684 del 2015; n. 9735 del 2018; n. 22166 del 2018; 12691 del 2019). Nel caso in esame, la costituzione della società opposta ha sanato il vizio di mancato rispetto del citato termine a difesa.
8. La costituzione della controparte ha sanato anche il vizio rappresentato dalla notifica eseguita alla parte personalmente anziché al procuratore costituito, in violazione dell’articolo 170 c.p.c. Sul rito cd. Fornero, questa S.C. ha chiarito che l’unitarietà del procedimento di primo grado ed il susseguirsi, solo eventuale, delle due distinte fasi, evidenzia come la fase della opposizione si inserisca in un contesto in cui si è già instaurato il contraddittorio tra le parti e le stesse sono presenti nel giudizio per il tramite del procuratore costituito, dal che discende che, trattandosi di un unico giudizio, la presenza del procuratore costituito imponga la notifica di ogni atto allo stesso, compreso il ricorso in opposizione che, pur dando inizio ad una fase autonoma (ed eventuale), è comunque interna all’intero procedimento di primo grado (v. Cass. n. 25086 del 2018). Costituisce indirizzo consolidato quello per cui la notificazione dell’atto di riassunzione o di opposizione del giudizio alla parte personalmente anziché al suo difensore costituito, come prescritto dall’art. 170, primo comma, c.p.c., impedisce la valida instaurazione del rapporto processuale, salvo che il destinatario della notifica si costituisca, verificandosi in tale ultima ipotesi la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo cui l’atto era diretto, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c., anche quando la costituzione avvenga al solo scopo di far valere tale vizio (v. Cass. n. 1676
del 2015; n. 4456 del 1999). A tali principi si è attenuta la sentenza di secondo grado che si sottrae, pertanto, alle critiche mosse col primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame e il travisamento dei fatti circa la compatibilità della malattia con l’attività svolta dal lavoratore presso la ASD Salus.
Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. per avere la Corte d’appello errato nel non addossare al lavoratore l’onere di dimostrare la compatibilità dell’attività extra lavorativa con la malattia e per non aver svolto il giudizio di verifica della conformità a correttezza e buonafede della condotta contestata al dipendente rispetto all’obbligo di cautela dal medesimo esigibile.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, per la stretta connessione logica. Essi sono infondati.
Questa Corte ha statuito che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. n. 26496 del 2018; n. 10416 del 2017; n. 17625 del 2014; n. 17128 del 2002).
Si è precisato che il lavoratore assente per malattia, che quindi legittimamente non effettua la prestazione lavorativa,
non per questo deve astenersi da ogni altra attività, compresa l’attività ludica o di intrattenimento, ma quest’ultima non solo deve essere compatibile con lo stato di malattia, ma deve essere altresì svolta in modo conforme all’obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia con conseguente recupero dell’idoneità al lavoro (v. Cass. n. 17625 del 2014 cit.). 14. Si è aggiunto che grava sul datore di lavoro la prova che la malattia in questione sia simulata ovvero che la predetta attività sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente medesimo, atteso che l’art. 5 della legge n. 604 del 1966 pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova di tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie giustificativa del licenziamento e, dunque, di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato (Cass. n. 13063 del 2022).
15. La Corte di appello si è conformata ai principi di diritto richiamati e, sulla base di un accertamento in fatto in nessun modo censurabile dinanzi a questa Corte, ha ritenuto che l’attività extralavorativa svolta dal sig. COGNOME nel pomeriggio del 29 giugno 2017, come ricostruita attraverso i dati raccolti dall’investigatore incaricato dalla società, non solo non rivelasse una simulazione della malattia giustificativa dell’assenza dal lavoro (malattia peraltro confermata dal verbale di visita medica domiciliare redatto dal medico fiscale il 27 giugno 2017) ma neppure fosse tale, non implicando alcuno sforzo fisico, da potere ritardare la guarigione o da disvelare la mancata adozione di doverose cautele, esigibili dal dipendente in base al dovere di correttezza e buona fede.
16. Le critiche svolte nei motivi in esame, se pure formulate in parte sub specie di violazione di norme di legge, investono
unicamente gli apprezzamenti fattuali eseguiti dalla Corte territoriale in ordine all’uso strumentale della malattia e alla potenzialità della condotta extralavorativa del licenziato di pregiudicare il rientro al lavoro, investendo chiaramente una quaestio facti il cui accertamento è devoluto alla competenza esclusiva dei giudici del merito e nel caso di specie è stato correttamente eseguito.
Neppure risulta evidenziato l’omesso esame di fatti realmente decisivi, che avrebbero cioè condotto ad un esito diverso della controversia con un giudizio prognostico di certezza e non di mera probabilità, non potendo, in ogni caso, concretare il vizio di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. una pretesa errata valutazione del materiale probatorio (v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014).
Non vi è spazio, infine, per ravvisare la violazione dell’art. 2729 c.c. Questa Corte ha in modo costante affermato che spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010). Con la conseguenza di escludere che chi ricorre in cassazione possa limitarsi a dedurre che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva avrebbe dovuto condurre ad un esito interpretativo diverso da quello raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017), spettando al giudice del merito l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire le illazioni che ne discendano secondo il criterio
dell’ íd quod plerumque accidit (v. Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 6838 del 2023). Nel caso di specie, la dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. si esaurisce nella prospettazione di una alternativa ricostruzione delle circostanze fattuali e di un’inferenza probabilistica diversa da quella seguita dai giudici di merito (v. Cass. n. 9054 del 2022), nel tentativo di conseguire una rivalutazione dei fatti storici già esaminati dal giudice di merito (Cass., S.U., n. 34476 del 2019), preclusa in sede di legittimità.
19. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c. per non avere la Corte d’appello esercitato i propri poteri officiosi al fine dell’esatta ricostruzione dei fatti e della valutazione di tipo prognostico sulla idoneità della condotta contestata a pregiudicare, anche solo potenzialmente, il rientro in servizio.
20. Anche il quarto motivo è infondato atteso che, nel rito del lavoro, il mancato esercizio dei poteri officiosi, anche da parte della Corte di appello, può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui tale vizio abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (v. Cass. n. 18072 del 2024; n. 14923 del 2024; v. anche Cass. n. 16214 del 2019; n. 5654 del 2017), circostanze in alcun modo rinvenibili rispetto alla decisione in esame.
21. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
22. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo e in favore dell’Erario data la ammissione del controricorrente al patrocinio a spese dello Stato (v. artt. 131 e 133 d.P.R. n. 115 del 2002).
23. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente alla rifusione in favore dell’Erario delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 10 ottobre2024