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Atti procedimento penale: validi nel disciplinare

La Corte di Cassazione ha stabilito che gli atti di un procedimento penale possono essere legittimamente utilizzati da un datore di lavoro pubblico per fondare un licenziamento disciplinare. È sufficiente il rinvio a tali atti, senza la necessità di riprovare da capo ogni singolo fatto. La sentenza chiarisce che il giudice del lavoro ha il dovere di valutare tali documenti come prova, anche in via presuntiva, ribaltando la decisione della Corte d’Appello che aveva annullato il licenziamento per presunto mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’azienda.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Atti Procedimento Penale e Licenziamento: La Cassazione Chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11948/2025, interviene su una questione cruciale nel diritto del lavoro pubblico: quale valore probatorio hanno gli atti del procedimento penale all’interno di un giudizio per licenziamento disciplinare? La pronuncia stabilisce che il datore di lavoro può legittimamente basare la contestazione disciplinare su tali atti, senza dover ricostruire autonomamente l’intera vicenda probatoria.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal licenziamento disciplinare intimato da un’Azienda Sanitaria Locale a un proprio dipendente. Il provvedimento espulsivo era motivato dall’avvio di un procedimento penale a carico del lavoratore, accusato di una serie di illeciti nella gestione di decine di appalti pubblici. Secondo le accuse, il dipendente avrebbe affidato opere a ditte ‘amiche’ violando la normativa di settore e i propri doveri d’ufficio.

Il lavoratore impugnava il licenziamento. Mentre il Tribunale di primo grado respingeva la sua domanda, la Corte d’Appello la accoglieva, dichiarando illegittimo il licenziamento. Secondo i giudici di secondo grado, l’Azienda Sanitaria non aveva assolto al proprio onere della prova. Si era infatti limitata a richiamare i capi d’imputazione del procedimento penale e a produrre l’ordinanza di custodia cautelare, senza allegare e provare specificamente ogni singola condotta contestata. Questo, secondo la Corte territoriale, non consentiva una valutazione autonoma dei fatti dal punto di vista disciplinare.

Il valore degli atti del procedimento penale secondo la Cassazione

L’Azienda Sanitaria ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulle presunzioni (art. 2729 c.c.). La tesi del ricorrente era che il richiamo per relationem ai dettagliati atti del procedimento penale fosse pienamente legittimo per descrivere gli illeciti contestati.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: sebbene il procedimento disciplinare e quello penale siano autonomi, è consentito all’amministrazione pubblica avvalersi degli atti del procedimento penale per dimostrare la fondatezza della contestazione disciplinare. Questi atti, se contengono elementi di fatto valutabili, devono essere presi in considerazione dal giudice del lavoro.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che la decisione dei giudici d’appello è errata perché ha omesso di valutare gli atti del procedimento penale, considerandoli un mero e insufficiente rinvio. Così facendo, la Corte territoriale è venuta meno al proprio dovere di apprezzare la rilevanza di tali atti per dimostrare la fondatezza delle accuse disciplinari.

Secondo la Cassazione, l’orientamento consolidato (richiamando la sentenza n. 5284/2017) prevede che la pubblica amministrazione possa utilizzare gli atti penali nel procedimento disciplinare e nel successivo giudizio. Questi documenti, anche se richiamati genericamente dal datore di lavoro e in assenza di una specifica attività istruttoria, devono essere valutati dal giudice. Essi possono costituire prova dei fatti, anche come presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a fondare la decisione.

Conclusioni

La sentenza stabilisce un importante principio a favore del datore di lavoro pubblico. Non è necessario che l’amministrazione svolga una complessa e autonoma attività istruttoria per provare fatti già ampiamente documentati in un’indagine penale. È sufficiente che la contestazione disciplinare e la successiva difesa in giudizio si basino sul richiamo a tali atti, purché questi siano idonei a descrivere con sufficiente chiarezza le condotte addebitate. Il giudice del lavoro ha il compito di esaminare nel merito tali documenti e non può ignorarli. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio.

Un datore di lavoro può usare gli atti di un procedimento penale per licenziare un dipendente?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il datore di lavoro, in particolare una pubblica amministrazione, può legittimamente utilizzare gli atti di un procedimento penale per dimostrare la fondatezza della contestazione disciplinare che ha portato al licenziamento.

L’azienda deve riprovare da capo tutti i fatti anche se sono già descritti negli atti penali?
No, non è necessario. La Corte ha chiarito che il datore di lavoro può fare rinvio ‘per relationem’ agli atti del procedimento penale per descrivere gli illeciti, senza doverli provare nuovamente in modo autonomo, a condizione che tali atti contengano una descrizione chiara delle condotte contestate.

Qual è il compito del giudice del lavoro quando vengono prodotti atti di un procedimento penale?
Il giudice del lavoro non può ignorare gli atti del procedimento penale. Ha il dovere di valutarli attentamente per verificare se contengono elementi di fatto utili a dimostrare la fondatezza del licenziamento, anche a titolo di presunzioni gravi, precise e concordanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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