Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19844 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19844 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20104/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE).
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elettivamente domiciliato in ROMA LGT INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE).
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in PADOVA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE.
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende.
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1662/2022 depositata il 18/07/2022,
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Venezia con sentenza n. 1662/2022, depositata il 18.7.2022, ha rigettato il reclamo proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza del 26.7.2021, con cui il Tribunale di Venezia ne aveva dichiarato il fallimento, previa revoca, intervenuta in pari data, della procedura di concordato preventivo (cui la predetta società era stata precedentemente ammessa) in ragione del compimento, da parte della medesima società, di atti di frode ex art. 173 l.fall. nonché per difetto di fattibilità giuridica della proposta concordataria.
Il giudice d’appello, condividendo l’impostazione del giudice di primo grado, ha ritenuto che il debitore proponente si fosse reso responsabile di atti di frode, a norma dell’art. 173 l.fall., avendo provveduto ad una consapevole duplicazione delle poste dell’attivo concordatario, rappresentando ai creditori un attivo di quasi un milione di euro superiore a quello effettivamente a disposizione della procedura.
In particolare, era emerso dall’esame della proposta, dell’attestazione e di tutti gli altri documenti depositati dalla debitrice che la stessa aveva inserito gli stessi cespiti immobiliari
siti al civico INDIRIZZO di INDIRIZZO in Mestre sia nel complesso aziendale condotto in locazione dalla società RAGIONE_SOCIALE e per il quale quest’ultima aveva formulato un’offerta irrevocabile, sia nelle immobilizzazioni materiali da vendere separatamente, individuandoli con dati catastali e urbanistici diversi tra di loro.
La poca chiarezza e l’opacità del piano, dell’attestazione e delle successive memorie integrative nonché l’imprecisa perimetrazione del complesso aziendale avevano determinato un’errata percezione sia in capo ai creditori, sia in capo agli organi della procedura, circostanza confermata dal fatto che la stessa commissaria giudiziale era stata indotta in errore.
Il giudice d’appello ha ritenuto che tale condotta integrasse gli atti di frode, ai sensi dell’art. 173 l.fall., essendo, a tal uopo sufficiente, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la sola potenzialità decettiva dell’atto, l’intenzionalità dell’atto con valenza decettiva, senza che occorresse, da un lato, la dolosa preordinazione e, dall’altro, l’effettiva consumazione.
Né -ha aggiunto – poteva attribuirsi alcun rilievo al voto favorevole dei creditori, in sede di approvazione della proposta.
Il giudice d’appello, dopo aver osservato che ‘ le esposte considerazioni hanno portata assorbente in quanto un concordato revocato non è più esaminabile’ , ha, ‘per completezza di disamina’ , ritenuto opportuno esaminare, altresì, il punto 2 del decreto impugnato, relativo al diniego di omologa del concordato per difetto della fattibilità giuridica.
In particolare, ha condiviso l’impostazione del giudice di primo grado secondo cui, avendo l’Agenzia delle Entrate richiesto l’accantonamento ex art. 90 d.P.R. n. 602/1973 per i debiti tributari iscritti a ruolo ancorché contestati, la necessità di tale accontamento rendeva impossibile ogni previsione in termini apprezzabili di pagamento di una qualche percentuale dei creditori chirografari. In sostanza, l’accantonamento obbligatorio ex art. 90
cit. aveva comportato l’impossibilità di provvedere ai pagamenti degli altri creditori nei termini previsti dal piano.
Inoltre -ha soggiunto -la società reclamante non aveva, comunque, formulato né un’istanza di transazione fiscale né depositato la relazione del professionista abilitato ex art. 182 ter l.fall.
Infine, il giudice d’appello ha ritenuto priva di fondamento la doglianza della ricorrente, per non avere il Tribunale accolto l’istanza di rinvio dell’adunanza dei creditori, fissata per il 17.11.2020, o comunque fatto ‘regredire’ la procedura allo stadio antecedente all’adunanza dei creditori, al fine di consentire alla reclamante la possibilità di formulare una proposta di trattamento dei crediti fiscali, alla luce delle novità introdotte in materia dalla legge n. 159/2020, di conversione del d.l. n. 125/2020.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, affidandolo a sette motivi.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, l’Agenzia delle Entrate e la RAGIONE_SOCIALE hanno resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente e la procedura controricorrente hanno depositato la memoria ex art. 380 bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la ‘violazione dell’art. 173 l.fall. con riferimento all’art. 163 bis l.fall., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto sussistente un atto di frode per non avere il debitore modificato il piano, laddove invece, una volta che si dia necessariamente spazio alla procedura competitiva ante adunanza dei creditori ex art. 163 bis l.fall., l’ipotesi di un occultamento dell’effettiva consistenza patrimoniale della debitrice concordataria -e dunque di un atto di fronde -diviene per ciò stesso non configurabile’.
Espone la ricorrente che il giudice d’appello non ha considerato le seguenti circostanze, contrarie e dirimenti rispetto alla ricostruzione frodatoria dallo stesso operata:
(i) le condizioni dell’offerta di acquisto dell’azienda da parte di RAGIONE_SOCIALE erano state progressivamente modificate nel contraddittorio tra l’offerente e gli organi della procedura;
(ii) a termini di legge, il bando d’asta era stato frutto della procedura ex art. 163 bis l.fall. (volta a sollecitare le ‘offerte concorrenti’), per cui i valori di base erano stati in toto recepiti entro un provvedimento direttamente riferibile al Tribunale fallimentare, senza alcun contributo della debitrice concordataria;
(iii) il bando d’asta con l’esatta perimetrazione dell’azienda e dunque l’inclusione degli immobili nella cessione dell’azienda stessa -era stato oggetto di altrettanto e lungo confronto con gli organi della procedura.
Tutto ciò rendeva pertanto inutile qualsiasi intervento emendativo del debitore.
Con il secondo motivo è stata dedotta ‘violazione dell’art. 173 l.fall., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto di poter ravvisare un atto di frode nella mancata collaborazione della debitrice concordataria rispetto ai compiti di approfondimento e chiarificazione del Commissario Giudiziale, così riferendo la nozione di frode ad atti omissivi al più riconducibili alla violazione del principio di correttezza e cooperazione’.
Espone la ricorrente che, nel caso di specie, non viene in considerazione un atto di frode (di cui del resto non vi sono tracce anteriormente al bando d’asta ed all’aggiudicazione) bensì una condotta di omessa collaborazione posteriore alla procedura competitiva ex art. 163 bis l.fall., rispetto alla quale il voto favorevole della maggioranza dei creditori ha piena valenza di ‘superamento’ dell’addebito di (presunta) duplicazione già
tempestivamente focalizzato dal commissario alla vigilia dell’adunanza nella sua relazione integrativa ex art. 172 l.fall., trasmessa ai creditori l’11.11.2020.
Con il terzo motivo è stata dedotta ‘violazione dell’art. 173 l.fall., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello, per un verso, ha ritenuto di poter qualificare in termini di ‘atto di frode’ dei comportamenti che (a tutto voler concedere) erano del tutto ‘neutri’ quanto alle valutazioni di convenienza del concordato affidate ai creditori in sede di votazione; per altro verso, ha ritenuto che l’asserita poca chiarezza ed opacità del Piano, dell’attestazione e dei documenti allegati e delle memorie integrative, nonché la pretesa imprecisa perimetrazione del complesso aziendale da parte del debitore, concretassero atto di frode rilevante ai fini della revoca del concordato, quale atto di simulazione dell’attivo’.
I primi tre motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni prospettate, presentano concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
4.1. È orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 12115/2022; conf. Cass. nn. 22663/2021 e Cass. 25458/2019; vedi, recentemente, Cass. n. 34385/2024) quello secondo cui ‘ in tema di concordato preventivo, costituiscono fatti idonei a consentire la revoca prevista dall’art. 173 l.fall. i fatti accertati dal Commissario giudiziale; in tale categoria rientrano non solo quelli scoperti, perché prima del tutto ignoti nella loro materialità, ma anche quelli non adeguatamente e compiutamente esposti nella proposta concordataria e nei suoi allegati, che siano potenzialmente idonei a pregiudicare il cd. consenso informato sulle reali prospettive di soddisfacimento, per come prospettate nella proposta concordataria, dovendo il Giudice verificare, quale garante della regolarità della procedura, che siano forniti ai creditori tutti gli
elementi necessari per una corretta valutazione della sua convenienza’.
In particolare, con l’ordinanza n. 12115/2022 questa Corte ha così osservato:
‘…. 5. I cardini ermeneutici sui quali fa leva la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di revoca per atti di frode ex art. 173 l.fall. sono, da un lato, la valenza anche solo potenzialmente decettiva delle informazioni rese dal debitore ai creditori chiamati ad esprimersi, con il voto, sulla sua proposta concordataria, a prescindere dal pregiudizio loro arrecato in concreto; dall’altro, la non necessità di dolosa preordinazione, essendo sufficiente la consapevole volontarietà della condotta del debitore (ex plurimis, Cass. 15013/2018).
5.1. Nell’interpretare la categoria “aperta” degli atti di frode, si è così affermato che essi si sostanziano in fatti o atti la cui esistenza è non solo taciuta o mistificata dal proponente il concordato, ma anche (e solo) indicata in modo inadeguato o incompiuto (Cass. 25165/2016, 15695/2018, 25458/2019, 29243/2021, 6772/2022), alla luce delle verifiche e analisi compiute dal commissario giudiziale, sempre che il conseguente deficit informativo dei creditori sia idoneo ad incidere sulle valutazioni che essi sono chiamati a compiere, a prescindere dal pregiudizio loro eventualmente arrecato in concreto
(Cass. 16858/2018, 30537/2018, 25458/2019, 29243/2021) ed indipendentemente dal voto espresso in adunanza pur dopo essere stati resi edotti degli accertamenti svolti dal commissario giudiziale (Cass. 14552/2014, 15695/2018) (…).
5.3. In altri termini, si tratta di istituto volto a neutralizzare il valore decettivo delle omissioni, alterazioni, incompletezze o inadeguatezze delle informazioni fornite ai creditori con la proposta di concordato, da valutare al momento del deposito della domanda (a prescindere da eventuali ‘ravvedimenti postumi’ del debitore
che si trasfondano in modifiche della proposta, specie se al cospetto di verifiche degli organi concorsuali: cfr. Cass. 22663/2021), che quindi copre non solo l’area delle condotte volte propriamente ad occultare circostanze inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza, ma anche -si ribadisce ancora una volta -quelle «dirette a non farle percepire nella loro completezza ed integrale rilevanza, rispetto ad una rappresentazione esistente, ma del tutto inadeguata» (Cass. 15013/2018; conf. Cass. 2773/2017, 16856/2018, 25458/2019, 6772/2022)’.
4.2. Effettuato il doveroso inquadramento giuridico -alla luce della giurisprudenza di questa Corte -dell’istituto degli atti in frode ex art. 173 l.fall., va osservato che il primo motivo non coglie, evidentemente, la ratio decidendi , allorché si sostiene che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente un atto di frode per non avere il debitore modificato il piano.
Come emerge con chiarezza dalla lettura della sentenza impugnata (pag. 26) ‘ l’addebito mosso dal Commissario e dallo stesso Tribunale, che ha riconosciuto la condotta in frode esposta nella segnalazione ex art. 173 L.F., è di aver duplicato l’attivo considerando il valore degli immobili siti in INDIRIZZO tanto tra gli immobili indicati individualmente quanto nel perimetro del ramo di azienda’.
La sentenza impugnata ha riscontrato la fondatezza di tale addebito, avendo dettagliatamente ricostruito, alla luce dell’esame della proposta, dell’attestazione e di tutti gli altri documenti depositati dalla debitrice (tra cui la perizia di stima dell’azienda del dott. COGNOME), che la debitrice aveva inserito gli stessi cespiti immobiliari siti al civico INDIRIZZO di INDIRIZZO in Mestre sia nel complesso aziendale condotto in locazione dalla società RAGIONE_SOCIALE e per il quale quest’ultima aveva formulato un’offerta irrevocabile, sia
nelle immobilizzazioni materiali da vendere separatamente, individuandoli con dati catastali e urbanistici diversi tra di loro.
In particolare, il compendio aziendale era stato descritto ‘ dal dottor COGNOME nella perizia di stima dell’azienda (doc. 26 della domanda completa), in cui indicava i beni oggetto di valutazione (pag. 9 del doc. 26), facendo espresso riferimento (per relationem) a quelli oggetto del contratto di affitto d’azienda (all. A al doc. 26, art. 2.1. del contratto di affitto del ramo d’azienda).
Nel contratto di affitto d’azienda (art. 2.1.) erano inclusi immobili in Venezia, INDIRIZZO indicati solo con i riferimenti catastali (Fg. 36, sub. 121, 140, 159 e 160). Quanto ai numeri civici, la descrizione ivi contenuta era fuorviante, perché per il sub 121 non era indicato il numero civico (vi era un generico riferimento al ‘Piano T’), mentre, per i sub. 140, 159 e 160, era indicato il civico ‘1’. In realtà veniva scoperto in seguito che quei subalterni andavano ricondotti agli immobili al INDIRIZZO, sempre di INDIRIZZO (pag. 15 della sentenza impugnata).
Peraltro, in ordine alla predetta perizia di stima, il giudice d’appello ha coerentemente osservato che, al di là del metodo di calcolo applicato (sul punto, la reclamante aveva dedotto che il perito non aveva proceduto alla stima analitica dei componenti del ramo d’azienda, ma avrebbe valutata l’azienda MGP ‘in funzionamento’), la perizia ‘è invero chiara nel delimitare il perimetro del compendio periziato’ (pag. 17 della sentenza impugnata), avendo richiamato il contratto di affitto d’azienda che comprende nel compendio ‘ i beni immobili ad uso ufficio di cui all’art. 2 del contratto’.
Il contratto di affitto del ramo d’azienda è stato, secondo la ricostruzione del giudice d’appello, espressamente richiamato anche alla pag. 49 della proposta concordataria, nella quale si era dato atto che RAGIONE_SOCIALE (la conduttrice dell’azienda) aveva individuato il perimetro dell’offerta irrevocabile – sulla base della quale è stata poi svolta la procedura competitiva ex art. 163 bis l.fall. –
richiamando proprio il predetto contratto (pag. 18 della sentenza impugnata).
D’altra parte, il giudice d’appello ha accertato che neppure l’attestazione ha consentito di avere contezza dell’avvenuta duplicazione delle poste, contenuta nella proposta e nel piano, atteso che ‘l’attestatore, dunque, non indicava che gli immobili indicati nel Piano erano già ricompresi nel contratto di affitto d’azienda stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE e non rilevava nulla sul perimetro del ramo d’azienda oggetto di cessione, sicché rimaneva chiaramente aperta (e quindi insanabilmente dubbia) la questione di come potessero gli immobili di INDIRIZZOa essere venduti come immobilizzazioni materiali, per un valore di € 950.000, se già rientravano nella cessione del ramo d’azienda. Con l’ulteriore considerazione che:
la MGP per individuare l’oggetto della proposta irrevocabile di acquisto del 3.9.2019 ha richiamato espressamente il contratto di affitto del ramo d’azienda del 22 giugno 2017 stipulato con la Miotto, il quale indica chiaramente, nell’allegato 2 richiamato dall’art. 2, i beni immobili rientrati nell’affitto consistenti negli immobili siti in Comune di Venezia, Foglio 1, Mappale 39, sub 121 (Cat. C/6), 140 (Cat. C/6), 159 (Cat. A/10) e 160 (Cat. A/10), che corrispondono a quelli indicati nelle immobilizzazioni materiali…’ (pag. 19 della sentenza impugnata).
4.3. Alla luce della coerente ed articolata ricostruzione della Corte d’Appello, immune da vizi logici, non è in alcun modo persuasiva l’affermazione della ricorrente secondo cui la duplicazione delle poste non sarebbe dipesa dalla Miotto, ma sarebbe conseguita alla procedura competitiva ex art. 163 bis l.fall. che ha riguardato l’azienda della debitrice e sarebbe, pertanto, esclusivamente riconducibile ad un atto degli organi della procedura e non del debitore.
Come sopra anticipato, tale procedura è stata svolta sulla base dell’offerta irrevocabile presentata dalla conduttrice d’azienda MGP, che aveva ad oggetto i beni indicati nel contratto di affitto d’azienda, tra cui rientravano i beni siti in INDIRIZZO. E’ quindi pur vero che il bando d’asta è stato predisposto dal legale della procedura concorsuale e la procedura competitiva è stata condotta dagli organi della procedura concordataria, tuttavia, alla luce della precisa ricostruzione del giudice d’appello, il perimetro dell’azienda era quello inequivocabilmente individuato nella proposta, nel piano e nell’attestazione dal debitore, che ben sapeva quali erano i beni immobili che formavano oggetto del contratto di affitto d’azienda e quali erano i beni immobili indicati come immobilizzazioni materiali da vendere separatamente (che erano poi gli stessi).
Come evidenziato dal giudice d’appello a pag. 25, la commissaria giudiziale è stata, invece, indotta in errore e non si è accorta della duplicazione delle poste neppure all’esito della procedura competitiva (conclusa il 23 luglio 2020), tanto è vero che nella relazione ex art. 172 l.fall. del 24 luglio 2020 non aveva fatto alcun cenno a tale circostanza.
La commissaria giudiziale si è accorta della duplicazione delle poste solo mesi dopo, nel novembre 2020, nell’esaminare i documenti necessari per predisporre il rogito notarile da stipulare per dare esecuzione alla procedura competitiva, come riportato in dettaglio nella segnalazione operata dalla stessa commissaria giudiziale al Tribunale in data 23.12.2020 (il cui estratto è stato trascritto dalla stessa ricorrente a pag. 15 del ricorso).
La ricorrente rileva che le condizioni dell’offerta dell’azienda da parte di MGP sono state progressivamente modificate nel contraddittorio tra l’offerente e gli organi della procedura, che il bando d’asta con l’esatta perimetrazione dell’azienda e dunque l’inclusione degli immobili nella cessione dell’azienda stessa è
stato oggetto di altrettanto e lungo confronto con gli organi della procedura, ma tali deduzioni, oltre ed essere inammissibili, in quanto ‘di merito’, non sono assolutamente rilevanti per ritenere che l’atto di frode non sia configurabile. Neppure la ricorrente afferma, infatti, che è stato l’organo della procedura ad inserire, di sua iniziativa, nel bando d’asta, tra i beni rientranti nel complesso aziendale da vendere con la procedura competitiva, gli immobili siti in INDIRIZZO (tali beni, come ricostruito dalla sentenza impugnata, erano espressamente contemplati dal contratto di affitto d’azienda richiamato nella perizia di stima, nella proposta e nell’attestazione – sulla base del quale MGP aveva formulato l’offerta irrevocabile) e che gli stessi beni non fossero quindi presenti nella proposta originaria. Tale elemento non risulta, secondo la ricostruzione della Corte d’Appello, mai essere stato messo in discussione.
Saranno quindi state sicuramente apportate -in sede di redazione del bando – molte modifiche alla proposta originaria del debitore, ma non certo vertenti sulla perimetrazione, nei termini indicati, dell’azienda.
4.4. A questo punto, possono essere esaminate più in dettaglio le censure con le quali la ricorrente, nel primo e nel secondo motivo, lamenta che la Corte d’Appello avrebbe (erroneamente) ritenuto sussistente gli atti di frode per non aver, rispettivamente, modificato il piano e nella mancata collaborazione con gli organi della procedura.
Posto che non è in tali condotte che il giudice d’appello (come del resto quello di primo grado) ha ravvisato la frode, ma, come più volte già evidenziato, nella duplicazione delle poste attive del concordato, ovvero nella ‘simulazione di attivo’ per l’ingente importo di € 950.000,00 (la somma appostata nel piano per gli immobili da vendere separatamente), il giudice d’appello ha stigmatizzato la condotta tenuta dalla debitrice, successivamente
allo svolgimento della procedura competitiva, non tanto per formulare nuovi addebiti, bensì per evidenziare che, con tali comportamenti, anche omissivi, la debitrice aveva operato per non far emergere la frode già posta in essere, consolidando l’intento decettivo (così condividendo l’accertamento svolto dal giudice di primo grado, vedi pagg. 26 e 27 della sentenza impugnata).
4.5. Il giudice d’appello, nell’affermare che l’atto di frode è consistito nella duplicazione delle poste attive ed è evincibile dalla proposta di concordato, dal piano e dall’attestazione, ha ben colto che (come già sopra evidenziato nel preliminare inquadramento giuridico della fattispecie) l’istituto degli atti in frode di cui all’art. 173 l.fall. è volto a neutralizzare il valore decettivo delle omissioni, alterazioni, incompletezze o inadeguatezze delle informazioni fornite ai creditori con la proposta di concordato, da valutare al momento del deposito della domanda (a prescindere da eventuali ‘ravvedimenti postumi’ del debitore che si trasfondano in modifiche della proposta, specie se al cospetto di verifiche degli organi concorsuali: cfr. Cass. 22663/2021).
In particolare, il giudice d’appello ha accertato con valutazione di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione nei circoscritti limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053/2014), vizio neppure dedotto nel caso di specie che il debitore si è reso responsabile dell’atto di frode già al momento del deposito della domanda di concordato, contenente quelle omissioni, incompletezze, inadeguatezze nelle informazioni (attinenti ai dati identificativi degli immobili rientranti nel complesso aziendale) aventi una valenza decettiva potenzialmente idonea a pregiudicare il cd. consenso informato dei creditori, e ciò indipendentemente dal fatto che si sia realizzato un pregiudizio e dal voto espresso in adunanza dai creditori, pur dopo essere stati resi edotti degli accertamenti svolti dal commissario giudiziale.
4.6. Ad avviso della ricorrente, invece, salvo voler attribuire alla misura della revoca del concordato un valore quasi punitivo di sanzione morale per la scorrettezza nei confronti dei creditori, anche a prescindere dalla gravità della condotta, l’orientamento consolidatosi in giurisprudenza, nei termini sopra illustrati, striderebbe con le linee evolutive del nostro sistema concorsuale, culminate nel Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza.
In particolare, la parte ricorrente ritiene -deduzione svolta, in particolare, nel terzo motivo – che ove i creditori siano stati resi pienamente edotti della realtà ed abbiano espresso la loro opinione sulla proposta, approvandola (come nel caso di specie), il rischio della frode -per definizione -non sussisterebbe, ed a giustificare la revoca rimarrebbe allora, in assenza di altre patologie del concordato, soltanto l’argomento metagiuridico della sanzione morale contro un comportamento scorretto in sé. Il che verrebbe a trascendere il fine stesso della procedura concordataria, che rimane pur sempre quello di realizzare l’interesse dei creditori a prescindere da qualunque valutazione di meritevolezza in capo al debitore.
4.7. Questo Collegio non condivide l’impostazione della ricorrente.
In primo luogo, il richiamo al requisito della meritevolezza è inconferente nel caso di specie.
Vi sarebbe una ingiustificata riesumazione del requisito della meritevolezza ove, ai fini dell’accesso al concordato, si attribuisse tout court rilevanza alla condotta pregressa del debitore rispetto al deposito della domanda di concordato, anche a prescindere dalla sua idoneità a turbare la formazione del consenso dei creditori.
Nel caso di specie, invece, la sanzione ha colpito il debitore che, violando le regole di correttezza all’interno della stessa procedura concordataria, ha posto in essere una condotta obiettivamente idonea a trarre in inganno i creditori e a falsare la genuina formazione della loro volontà in vista dell’adunanza di cui all’art.
174 l.fall.: non si tratta certo di una sanzione avente una valenza di natura morale per il comportamento scorretto del debitore, ma di una sanzione -la revoca dell’ammissione del concordato espressamente prevista dal legislatore all’art. 173 l.fall. per una finalità, di stampo pubblicistico, di tutela della legalità della procedura, tanto è vero che si applica indipendentemente dal fatto che si sia realizzato un pregiudizio e indipendentemente dal voto espresso in adunanza dai creditori, pur dopo essere stati resi edotti degli accertamenti svolti dal commissario giudiziale.
Come già evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 14552/2014, ‘ quel che rileva è il comportamento fraudolento del debitore, non l’effettiva consumazione della frode. Se così non fosse, se cioè l’accertamento degli atti fraudolenti ad opera del commissario potesse essere superato dal voto dei creditori, preventivamente resi edotti della frode e disposti ugualmente ad approvare la proposta concordataria, non si capirebbe perché il legislatore ricollega invece immediatamente alla scoperta degli atti in frode il potere-dovere del giudice di revocare l’ammissione al concordato. E ciò senza la necessità di alcuna presa di posizione sul punto dei creditori, ormai resi edotti della realtà della situazione venuta alla luce, e senza dare spazio alcuno a possibili successive loro valutazioni in proposito…… Poiché non è così, deve di necessità concludersi che il legislatore ha inteso sbarrare la via del concordato al debitore il quale abbia posto dolosamente in essere gli atti contemplati dal citato art. 173, individuando in essi una ragione di radicale non affidabilità del debitore medesimo e quindi, nel loro accertamento, un ostacolo obiettivo ed insuperabile allo svolgimento ulteriore della procedura’.
D’altra parte, le Sezioni Unite di questa corte hanno ribadito, nella sentenza n. 1521 del 2013, che i connotati di natura negoziale riscontrabili nella disciplina dell’istituto non escludono “evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici, suggeriti dall’avvertita
esigenza di tener conto anche degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condivisa approvazione, ed attuati mediante la fissazione di una serie di regole processuali inderogabili, finalizzate alla corretta formazione dell’accordo tra debitore e creditori, nonché con il potenziamento dei margini di intervento del giudice in chiave di garanzia”.
Pertanto, occorrendo aver riguardo non ad impostazioni dogmatiche di carattere generale, bensì alla concreta disciplina normativa di volta in volta applicabile, deve rilevarsi che la revoca dell’ammissione al concordato per il compimento di atti di frode contemplata dall’art. 173 l.fall., in modo sostanzialmente invariato rispetto al regime anteriore alla riforma del 2006 – già per il carattere ufficioso da cui è connotata, non appare riducibile ad una dialettica di tipo meramente negoziale, venendo in rilievo principi di chiara natura pubblicistica, iscrivendosi pienamente nel novero degli interventi del giudice in chiave di garanzia (vedi ancora Cass. n. 14552/2014).
Infine, destituita di fondamento è l’affermazione secondo cui l’orientamento consolidato di questa Corte testé ricordato striderebbe ‘ con le linee evolutive del nostro sistema concorsuale, culminate nel Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza’.
Sul punto, va osservato che l’art. 106 CCII, rubricato ‘Atti di frode e apertura della liquidazione giudiziale nel corso della procedura’, riproduce pedissequamente sia l’elencazione delle condotte frodatorie di cui al comma 1 dell’art. 173 l.fall., sia l’espressione residuale ‘altri atti di frode’, prevedendo, alla ricorrenza di entrambe le situazioni, l’arresto dell’ iter concordatario e, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l’apertura della liquidazione giudiziale.
In linea con la disciplina dell’art. 173 l.fall. è anche l’ulteriore previsione in base alla quale il tribunale fa parimenti luogo alla
liquidazione giudiziale quando il debitore compie atti non autorizzati o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, ovvero se in qualunque momento risultano mancare le condizioni prescritte per l’apertura del concordato preventivo (art. 106, 2° c.).
Con il quarto motivo è stata dedotta ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per aver il Collegio lagunare riscontrato una avvenuta duplicazione delle poste attive sulla base di una lettura atomistica di solo alcuni elementi dell’intero panorama indiziario del tutto incapaci di sorreggere un procedimento presuntivo munito dei caratteri della ‘gravità, inferenza cognitiva e concludenza’ e, così, di rispettare le ‘regole inferenziali’ pretese dall’art. 2729 c.c. -, anziché effettuare la doverosa considerazione globale e sintetica di TUTTI gli elementi agli atti, e di vagliare la loro idoneità ad univocamente sorreggere la detta inferenza logica’.
5.1. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.
In primo luogo, questo Collegio condivide la prospettazione della procedura controricorrente secondo cui ‘la Corte d’Appello non ha affatto deciso sulla base della prova per ‘presunzioni’, perché si è limitata a constatare l’esistenza di una prova diretta e documentale, dell’inserimento, nella proposta concordataria, degli stessi immobili, in due perimetri diversi, grazie al meccanismo dell’individuazione degli stessi con estremi catastali ed urbanistici diversi fra loro’.
In ogni caso, questa Corte, anche recentemente (cfr. Cass. n. 27266/2023; vedi anche Cass. n. 16729/2006), ha, comunque, affermato che, in tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ ‘ id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del
giudice di merito. Spetta quindi al giudice di merito non solo vagliare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, ma pur individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la loro rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.
Pertanto, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (vedi Cass. n. 10847/2007).
Nel caso di specie, non si ravvisano né illogicità né contraddittorietà del ragionamento decisorio del giudice di merito.
Con il quinto motivo è stata dedotta ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 180 e 186 l.fall., nonché dell’art. 90 d.p.r. n. 602/1973, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che l’obbligo di accantonamento condizioni l’omologa del concordato, quando invece quell’obbligo rileva meramente in fase di esecuzione dello stesso’.
Con il sesto motivo è stata dedotta ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 180 e 182 ter l.fall., nonché dell’art. 90 d.p.r. n. 602/1973, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che l’obbligo di accantonamento imponga un effettivo stanziamento di risorse, anziché esaurirsi nella salvaguardia necessaria del credito fiscale di fronte al rischio di riparti a vantaggio di creditori postergati, e così incida sulla sola fattibilità economica del concordato, rientrando nella discrezionalità dei creditori assumersi il rischio dell’incapienza dei propri crediti in caso di soccombenza della Società nel contenzioso fiscale, e comunque della necessaria attesa della conclusione del contenzioso
fiscale quale presupposto ineludibile per la soddisfazione dei propri crediti’.
Con il settimo motivo è stata dedotta ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 180, co. 4, e 182 ter l.fall., nonché dell’art. 90 d.p.r. n. 602/1973, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto di non concedere la richiesta ‘regressione’ della procedura concordataria alla fase anteriore all’adunanza dei creditori, onde consentire alla RAGIONE_SOCIALE di usufruire della novellata introduzione del cram down fiscale e della sua fondamentale valenza di bilanciamento della tutela del credito erariale con gli interessi concorsuali della Società e della massa dei creditori’.
Il quinto, il sesto e il settimo motivo, da esaminare unitariamente, sono inammissibili.
9.1. Come già evidenziato in narrativa, il giudice d’appello, dopo aver osservato, con riferimento agli atti di frode ex art. 173 l.fall., che ‘ le esposte considerazioni hanno portata assorbente in quanto un concordato revocato non è più esaminabile’ , solo ‘per completezza di disamina’ , ha ritenuto opportuno esaminare, altresì, il punto 2 del decreto impugnato, relativo al diniego di omologa del concordato per difetto della fattibilità giuridica, rigettando le censure della reclamante con le argomentazioni sopra già riportate (sempre in narrativa)
Non vi è dubbio quindi che il reclamo della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione sia stato rigettato con due autonome rationes decidendi .
Orbene, è orientamento consolidato di questa Corte (cfr., ex plurimis , Cass. n. 11493 del 11/05/2018) quello secondo cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza o inammissibilità delle censure mosse ad una delle ” rationes
decidendi ” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa.
Ne consegue che l’infondatezza o l’inammissibilità delle censure svolte dalla ricorrente alla sentenza impugnata in punto atti di frode ex art. 173 l.fall., rende inammissibili le censure svolte in punto difetto di fattibilità giuridica del concordato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida:
-in € 10.000,00, oltre spese prenotate a debito, a favore dell’Agenzia delle Entrate;
-in € 12.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, a favore del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione;
-in € 12.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, a favore della Cherry Bank s.p.a.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 28.5.2025