Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24158 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24158 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6531-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
MA.VI DI RAGIONE_SOCIALE E CONCETTO RAGIONE_SOCIALE;
– intimata avverso la sentenza n. 857/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 26/11/2018 R.G.N. 155/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/05/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza n. 857/2018 la Corte di appello di Messina ha rigettato il gravame proposto avverso la pronuncia emessa dal
Oggetto
Qualificazione rapporto privato
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/05/2024
CC
Tribunale di Patti, con la quale erano state respinte le domande proposte da COGNOME NOME, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, già titolare del mandato di Agente Generale della RAGIONE_SOCIALE, in persona dei soci e legali rappresentanti COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME -con cui era intercorso un contratto di collaborazione ma che in effetti, secondo l’originario ricorrente, si era sostanziato nella gestione della sede operativa di Capo d’Orlando a partire dall’agosto del 2 003, agendo sotto le direttive dei titolari dell’agenzia INA e occupandosi di tutte le incombenze ricevendo soltanto occasionali compensi come agente produttore- dirette al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, con ogni conseguenza economica derivante da tale individuazione.
I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, hanno rilevato che le risultanze processuali non consentivano di ravvisare gli indici della subordinazione nel rapporto intercorso tra le parti, vertendosi, invece, in una forma di collaborazione autonoma.
Avverso la decisione di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; l’intimata non ha svolto attività difensiva.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 246 cpc: interesse nella causa ed incapacità a testimoniare; omessa, incoerente ed illogica valutazione su un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc rappresentato dalla grave inimicizia con il ricorrente e l’attendibilità della prova testimoniale. Si obietta che la Corte territoriale non aveva fornito alcuna motivazione in relazione alla già dedotta incapacità a testimoniare ex art. 246 cpc della teste NOME e alla attendibilità della stessa, avendo questa un
interesse a che le domande di esso ricorrente contro gli agenti COGNOME e COGNOME si concludessero con un loro rigetto.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 115, 116 cpc; l’omessa incoerente ed illogica valutazione delle risultanze probatorie in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc.
Il primo motivo è inammissibile.
E’ opportuno, in punto diritto, precisare che l a capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c. p. c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cass. n. 21239/2019).
La valutazione, poi, della sussistenza o meno dell’interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., è rimessa – così come quella inerente all’attendibilità dei testi e alla rilevanza delle deposizioni -al giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. n. 1188/2007).
La Corte territoriale, relativamente alla posizione della teste NOME, ha specificato, proprio sui dubbi sollevati da parte ricorrente, che non risultava che la teste al momento in cui rese la deposizione (4 maggio 2021) avesse già instaurato una controversia di lavoro nei confronti del COGNOME: causa che, invece, era stata introdotta solo in un momento successivo (22 ottobre 2012), per cui non era ravvisabile
una situazione di incapacità a testimoniare né si prospettavano profili di inattendibilità delle dichiarazioni rese.
Si tratta di una valutazione adeguatamente e congruamente motivata, per cui la stessa non è sindacabile in sede di legittimità.
Anche il secondo motivo è inammissibile.
L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
Inoltre, va ribadito che, in materia di procedimento civile, il controllo di legittimità sulle pronunzie dei giudici di merito demandato alla Corte Suprema di Cassazione non è configurato come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, ma è preordinato all’annullamento delle pronunzie viziate da violazione di norme sulla giurisdizione o sulla competenza o processuali o sostanziali, ovvero viziate da omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione, e che le parti procedano a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., nelle forme e con i contenuti prescritti dall’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. (per tutte Cass. n. 1317/2004).
Infine, in tema di ricorso per cassazione, la questione della violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 cpc non può
porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. n. 20867/2020; Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014): ipotesi non ravvisabili nel caso in esame.
Nella fattispecie, la Corte territoriale, con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, nuova formulazione ratione temporis applicabile, ha rilevato che la caratteristica della subordinazione del rapporto intercorso tra le parti non era stata suffragata né dal dato documentale dell’incarico conferito e delle quietanze di pagamento delle provvigioni, emesse mese per mese per tutta la durata del rapporto, né dalle deposizioni dei testi (in particolare COGNOME NOME e COGNOME NOME, non ritenendo, pertanto, decisiva anche quella resa dalla NOME).
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 maggio 2024