Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28368 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 28368 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
SENTENZA
sul ricorso 13043-2021 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME; – controricorrente – avverso la sentenza n. 82/2020 della CORTE D’APPELLO di SASSARI, depositata il 05/03/2021 R.G.N. 276/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2025 dal Consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME;
Oggetto
Retribuzione
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 08/10/2025
PU
udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Tempio Pausania, in esito al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dai RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME, revocato l’originario decreto, condannò la società datrice di lavoro al pagamento della somma pari ad euro 105.985,50, oltre accessori, a titolo di differenze retributive conseguenti al riconoscimento giudiziale del diritto del lavoratore al superiore inquadramento di quadro a far data dall’aprile 1989, reputando infonda ta la pretesa dell’opponente di ritenere i maggiori compensi dovuti al COGNOME assorbiti nei tre superminimi riconosciuti dalla società nelle date del 17.5.1983, dell’1.1.1994 e dell’1.5.1998.
Il Tribunale, invece, ritenne non dovuta la retribuzione pretesa dal COGNOME da agosto 2006 a settembre 2007, periodo in cui questi era stato prima sospeso dal servizio di guardia giurata (19.7.2006) e poi licenziato (12.1.2017), provvedimento poi revocato dalla società in data 28 maggio 2007, cui aveva fatto seguito la reintegrazione nel posto di lavoro del COGNOME dall’ottobre di quell’anno.
Interposto gravame da entrambe le parti, la Corte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con la sentenza qui impugnata, ha respinto l’appello proposto dal lavoratore quanto alle retribuzioni pretese per il periodo agosto 2006-settembre 2007 e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della minor somma di euro 1.702,24 per differenze retributive.
La Corte territoriale, in estrema sintesi e per quanto
ancora rilevi in sede di legittimità, in ordine all’appello del lavoratore, dopo aver rilevato che, in data 19.7.2006, la sospensione dal servizio era stata disposta dalla società in quanto “alla data odierna non le è stato rinnovato il decreto di guardia particolare giurata e la foglina del porto d’armi di pistola a tassa ridotta, scaduti rispettivamente il 18.7.2006 e il 19.1.2006”, ha osservato che, dall’esame della documentazione prodotta, ‘emerge che il licenziamento prescinde dall’intervenuta sentenza di assoluzione e dalla revoca del decreto prefettizio del 29.8.2006 ma dalla circostanza che alla data del 16.1.2007 sono scaduti il decreto di guardia particolare giurata e la foglina del porto d’armi di pistola a tassa ridotta, scaduti rispettivamente il 18.7.2006 e il 19.1.2006, che il primo giudice -con motivazione non contestata – ha ricordato essere entrambi indispensabili per svolgere l’attività di guardia giurata particolare e la cui mancanza determina l’impossibilità sopravvenuta della prestazio ne’; la Corte ha poi sottolineato ‘l’inapplicabilità dell’insegnamento giurisprudenziale in tema di efficacia retroattiva del licenziamento dichiarato illegittimo’, confermando l’assunto già espresso sul punto dal Tribunale.
In merito all’appello incidentale della società, la Corte ha argomentato: ‘mentre è espressamente indicato come non assorbibile l’incremento del 1994, quello del 1998 è soggetto al principio dell’assorbimento a seguito del riconoscimento della qualifica superiore con decorrenza dal 1989 attesa l’assenza di qualunque specifico accordo in senso contrario intervenuto successivamente alla sentenza della Corte di Appello della Sezione distaccata di Sassari (cfr. Cass. civ. n. 32872/2018), né alcuna deroga è allegata né dimostrata nella contrattazione collettiva applicata al rapporto per cui è giudizio’. ‘Quanto all’incremento riconosciuto nel 1983 ha
proseguito la Corte -è circostanza incontroversa che all’epoca il ccnl applicato era diverso da quello in vigore all’atto del riconoscimento della qualifica superiore (CCNL istituti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) che ha previsto, in caso di passaggio a qualifiche superiori, il diritto del lavoratore di mantenere l’eventuale maggiore differenza retributiva tra quanto è destinato a prendere e quanto effettivamente prende, peraltro, destinata ad essere assorbita, senza possibilità di ultrattività del citato accordo sinda cale’.
Per la cassazione di tale sentenza, il COGNOME ha proposto ricorso con otto motivi ; ha resistito l’intimata società con controricorso.
All’esito dell’adunanza camerale del 22 maggio 2025 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la fissazione in pubblica udienza.
Le parti hanno comunicato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta da parte ricorrente.
1.1. Il primo motivo denuncia: ‘Nullità della sentenza per vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sull’eccezione del difetto della procura alle liti per il giudizio di appello in capo al difensore dell’appellata odierna intimata. Vizio ex art. 360 n. 4 c.p.c.’.
1.2. Il secondo motivo denuncia: ‘Nullità del procedimento per aver omesso di dichiarare la contumacia dell’appellato e nullità della sentenza per aver pronunciato sull’appello incidentale nonostante la nullità della memoria di costituzione per inesistenza dello ius postulandi del difensore. Vizio ex art. 360 n. 4 c.p.c.’.
1.3. Il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e
falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 106 CCNL per i dipendenti da RAGIONE_SOCIALE 2004-2008 nella parte in cui ha erroneamente affermato che . Vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c.’.
1.4. Il quarto motivo denuncia: ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla circostanza storica (dedotta in causa e documentalmente provata) che al momento dell’intimazione del licenziamento (16.1.2007) il datore di lavoro era già a conoscenza dal 12.1.2007 del fatto che il lavoratore era rientrato in possesso della nomina a guardia parti colare giurata e della relativa licenza di porto d’armi. Vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.’.
1.5. Il quinto motivo denuncia: ‘Omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla circostanza storica -dedotta in causa e documentalmente provata -che i tre superminimi riconosciuti al lavoratore (rispettivamente nel 1983, nel 1994 e nel 1998) mai avevano assorbito gli incrementi retributivi intervenuti dalla data dell’assunzione del COGNOME (DATA_NASCITA), compresi quelli da progressioni di carriera e incrementi stipendiali da contrattazione collettiva. Vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.’.
1.6 . Il sesto motivo denuncia: ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’eccezione formulata dal COGNOME circa la sussistenza di comportamento concludente del datore di lavoro, ovvero di uso aziendale, di non assorbimento di tutti i superminimi, eccezione che era stata formulata dal lavoratore per contrastare quella di assorbimento sollevata dal datore di lavoro. Vizio ex art. 360 n. 4 c.p.c.’.
1.7. Il settimo motivo denuncia: ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla circostanza storica -dedotta in causa e documentalmente provata -che il riconoscimento del superminimo di data 12.5.1998 era stato effettuato per meriti personali attribuiti al COGNOME. Vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.’.
1.8. L’ottavo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2077 c.c. nella parte in cui, con riferimento al superminimo riconosciuto con l’accordo aziendale del 1983, la sentenza impugnata ha affermato che il CCNL RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE 1990 vigente al momento del riconoscimento al COGNOME della qualifica superiore di quadro (1989) prevedeva che <>. Vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c.’.
Il ricorso non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto lamentano che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sull’eccezione formulata all’udienza del 23.9.2020 in appello di difetto di ius postulandi del difensore della società appellata, sono da respingere.
Il mancato esame, da parte del giudice di merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22592 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata; conf. Cass. n. 25154 del 2018; più di recente Cass. n. 26913 del 2024), al più potendosi configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, e in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. n. 321 del 2016). Secondo giurisprudenza risalente, in particolare, la sentenza che si assuma avere erroneamente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 1701 del 2009).
Inoltre, non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (tra
molte, Cass. n. 7404 del 2014) e, nella specie, la Corte sarda, avendo esaminato nel merito l’appello ha implicitamente, quanto inequivocabilmente, ritenuto che il lamentato difetto di procura non sussistesse, altrimenti avrebbe provveduto ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. n. 29802 del 2019; Cass. n. 29779 del 2024, con la giurisprudenza ivi richiamata), applicabile anche in grado d’appello (Cass. n. 13597 del 2021; Cass. n. 2498 del 2022).
2.2. Il terzo motivo non è accoglibile.
Esso è inammissibile innanzitutto nella parte in cui denuncia impropriamente la violazione dell’art. 2697 c.c., che può ricorrere, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece là dove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 26769 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente si duole che la società non avrebbe fornito la prova di aver adempiuto l’obbligo di cui all’art. 106 del contratto collettivo applicabile.
Il motivo risulta inammissibile anche nella parte in cui lamenta che la Corte sassarese avrebbe ‘omesso di verificare se il datore di lavoro avesse fornito la prova di essersi attivato per fa ottenere al COGNOME il rinnovo dei predetti documenti’, trattandosi di questione che ha carattere di novità.
Secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta
questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019), di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017): oneri, nella specie, non assolti con la censura in esame.
Quanto al rilievo secondo cui alla data del licenziamento del 16 gennaio 2016 non era ancora decorso il termine di 180 giorni decorrenti -secondo chi ricorre -‘dalla data del provvedimento prefettizio sospensivo del 29.8.2006’, la censura non confuta adeguatamente, né si confronta con l’assunto dei giudici di merito che hanno ritenuto la legittimità della risoluzione del rapporto perché ‘ alla data del 16.1.2007 sono scaduti il decreto di guardia particolare giurata e la foglina del porto d’armi di pistola a tassa ridotta, scaduti rispettivamente il 18.7.2006 e il 19.1.2006 entrambi indispensabili per svolgere l’attività di guardia giurata particolare e la cui mancanza determina l’impossibilità sopravvenuta della prestazione’.
2.3. Per analoga ragione deve essere respinto anche il quarto motivo formulato ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., atteso che la circostanza che al momento dell’intimazione del licenziamento (16.1.2007) il datore fosse già a conoscenza del fatto che in data 11.1.2007 il prefetto aveva revocato quello di sospensione della nomina a guardia giurata e del
porto d’armi del 29.8.2006 non ha valenza decisiva rispetto alla fondamentale ratio decidendi della sentenza impugnata secondo cui all’atto del recesso il COGNOME era privo dei titoli abilitativi in quanto scaduti e non rinnovati, questione quindi diversa rispetto alla vicenda della sospensione e successiva revoca prefettizia determinata dalla pendenza di un procedimento penale.
Peraltro, sempre in ordine al difetto di decisività della circostanza addotta, è appena il caso di sottolineare che il presente giudizio ha ad oggetto il pagamento di retribuzioni non corrisposte e non già l’impugnativa dei provvedimenti datoriali che hanno determinato prima la sospensione e poi il licenziamento del lavoratore, recesso che non risulta impugnato giudizialmente dal COGNOME.
2.4. I motivi dal quinto all’ottavo possono essere esaminati congiuntamente in quanto censurano, sotto vari profili, la parte della sentenza impugnata che ha ritenuto non assorbibile esclusivamente il superminimo del 1994, ma non quelli attribuiti dal datore di lavoro con decorrenza dal 1983 e dal 1998.
Le doglianze non possono essere condivise.
La Corte territoriale ha applicato il principio di diritto, costantemente ribadito, secondo cui il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo,
escludendone l’assorbimento (Cass. n. 20617 del 2018; Cass. n. 19750 del 2008; Cass. n. 12788 del 2004; Cass. n. 8498 del 1999).
Va anche ribadito che l’indagine probatoria sulla sussistenza di dette pattuizioni e quella ermeneutica sulla loro effettiva portata derogatoria alla regola generale dell’assorbimento sono riservate al giudice del merito (in termini, Cass. n. 2984 del 1998, che in motivazione richiama Cass. n. 1347 del 1984; più di recente Cass. n. 10779 del 2020; Cass. n. 15967 del 2020; Cass. n. 10561 del 2021), con la conseguenza che quello nella specie effettuato dai giudici d’appello, come ogni accertamento di merito, è sottratto al controllo di legittimità.
In proposito, poi, avuto riguardo al quinto e al settimo motivo, si deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. al di fuori dei limiti consentiti da Cass. SS.UU. n. 8053 e 8054 del 2014, in particolare non illustrando le ragioni per le quali le circostanze fattuali di cui sarebbe stato omesso l’esame avrebbero condotto, ove delibate, ad un esito diverso della controversia, con una prognosi di certezza e non di mera probabilità.
Peraltro, dalla sentenza impugnata risulta che la Corte territoriale aveva presente sia la deduzione della difesa del COGNOME circa la ‘natura di comportamento concludente in termini di non assorbibilità alla condotta del datore di lavoro che per lungo tempo non ha applicato il principio dell’assorbimento’ (pag.4), sia che dal 1998 era stato riconosciuto al lavoratore un incremento lordo mensile ‘frutto dell’impegno da Lei dimostrato nello svolgere i compiti affidati’ (pag. 6), di modo che di omesso esame di detti fatti non è dato parlare, avendo la Corte del merito evidentemente ritenuto che gli stessi, alla stregua del complessivo compendio istruttorio, non fossero idonei ad
impedire l’operatività del principio generale dell’assorbimento.
Da quanto precede deriva anche l’infondatezza del sesto motivo, atteso che i giudici d’appello, senza che possa dirsi violato l’art. 112 c.p.c., hanno respinto, quanto meno implicitamente, ogni eccezione del COGNOME circa il mancato assorbimento dei superminimi nel corso degli anni.
Ne consegue, altresì, che non è accoglibile neanche l’ultimo motivo di ricorso che si fonda sull’esistenza di un uso aziendale più favorevole al lavoratore che, invece, non risulta accertato dalla sentenza gravata, per cui la denuncia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto si basa, in realtà, su una diverso accertamento di merito cui questa RAGIONE_SOCIALE non può provvedere.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese, liquidate come da dispositivo, secondo soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 ottobre
2025.
Il cons. est. DottAVV_NOTAIO NOME COGNOME
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME