Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18966 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18966 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1321/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, che li rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 433/2019 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 21/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di un fabbricato, che godeva, per negozio concessorio del 3/1/1987, di finestre che si aprivano sul fondo confinante di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponendo che i vicini avevano rialzato il loro fondo, mettendo in opera una strada a livello delle finestre degli esponenti, così impedendone il diritto di veduta, che, altresì, avevano procurato danni al loro immobile, chiesero al giudice di condannare quest’ultimi a riportare i luoghi al pristino stato e a risarcire il danno causato.
Il Tribunale adito, sulla resistenza dei convenuti, affermato il difetto di legittimazione attiva della COGNOME, dichiarò che il fondo dei convenuti non era gravato da servitù di affaccio in favore di quello attoreo e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò il COGNOME a chiudere tutte le finestre prospicienti il fondo dei convenuti.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con la sentenza di cui in epigrafe, dichiarata la legittimazione attiva di NOME COGNOME, che era stata negata in primo grado, rigettò nel resto l’impugnazione dei soccombenti attori, salvo una rimodulazione delle spese; revocò, infine, l’ordinanza del 9/12/1993, resa in sede istruttoria, con la quale gli attori erano stati autorizzati a impermeabilizzare a loro spese il muro esterno della loro abitazione e a collocare delle fioriere alla distanza di un metro dalle finestre.
NOME COGNOME, anche in qualità di erede di NOME COGNOME e NOME, NOME e NOME COGNOME, tutte nella qualità di eredi di NOME COGNOME, ricorrono sulla base di sei motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
I ricorrenti hanno depositato istanza di riunione al processo R.G. n. 3363/2023, afferente al ricorso proposto avverso la
sentenza. 525/2022 della medesima Corte d’appello, con la quale venne rigettata la revocazione della sentenza qui impugnata e, in via di subordine, con la memoria, ha insistito per la sospensione del presente giudizio.
Preliminarmente deve disattendersi l’istanza di riunione al processo R.G. n. 3363/2023, avente ad oggetto il ricorso avverso la sentenza della Corte di Reggio Calabria che ha respinto la revocazione della sentenza qui impugnata.
Sul punto merita osservare che solo le impugnazioni proposte separatamente avverso la medesima sentenza debbono necessariamente essere riunite (art. 335 cod. proc. civ.). La ragione, d’immediata percezione, risiede nella necessità di scongiurare di dar vita ad epiloghi difformi in ordine al destino della stessa sentenza impugnata.
Laddove, come in questo caso, il ricorso avverso la sentenza di secondo grado venga seguìto da quello avverso la decisione del medesimo giudice di merito sull’istanza di revocazione, la riunione, può reputarsi opportuna, ma giammai necessaria. È, inoltre, logico che il collegio davanti al quale vengano in decisione contestuale i due ricorsi esamini per primo quello riguardante la sentenza sulla revocazione.
In questo senso debbono leggersi le numerose pronunce di questa Corte che hanno affermato la riunione della causa relative al ricorso avverso la sentenza d’appello e quello avverso la sentenza sulla revocazione (ex multis, cfr. Cass. n. 10534/2015).
Per vero, ove alla riunione non si dia corso e la sentenza di merito venga revocata non si registrerebbe alcun effetto giuridico d’insanabile contraddizione fra più statuizioni, poiché la revocazione implicherebbe il travolgimento, per naturale effetto espansivo,
anche della decisione di legittimità scaturita dall’impugnazione della sentenza d’appello (art. 336, co. 2, cod. proc. civ.).
La decisione di far luogo a riunione, inoltre, non può fare a meno di tenere conto del principio di ragionevole durata del processo (art. 111, co. 2, Cost.).
Sul punto, stante la presenza di più decisioni di questa Corte, dalle quali, reiterate come ‘obiter’, parrebbe rilevarsi che si versi in presenza di riunione doverosa, è opportuno enunciare il seguente principio di diritto: ‘ I ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, contro la sentenza d’appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, possono, ove reputato opportuno e non in pregiudizio del principio di ragionevole durata del processo, essere riuniti in applicazione analogica dell’art. 335 cod. proc. civ., fermo restando che, in difetto di riunione, ove la sentenza d’appello venga revocata, anche quella di legittimità resterebbe travolta ai sensi dell’art. 336, co. 2, cod. proc. civ. ‘.
A riguardo del caso in esame il Collegio reputa non opportuno disporre la chiesta riunione, prevalendo l’evidente ragione di definire la causa pendente sin da lontano 1992.
Con il primo motivo i ricorrenti invocano sospensione del giudizio di legittimità in attesa che venga decisa la causa di revocazione intentata avverso la sentenza d’appello, sussistendo <>.
6.1. il motivo è inammissibile.
In punto di diritto va ricordato che la sospensione può essere disposta, nei termini di cui all’art. 398, co. 4, cod. proc. civ., solo dal giudice della revocazione.
Sospensione che, peraltro, incontra i limiti delineati da questa Corte: La sospensione del procedimento di legittimità, in pendenza
del giudizio di revocazione, non può esser disposta ai sensi dell’art. 295 c.p.c. non ricorrendone i presupposti, dato che la sospensione necessaria del processo, quando non sia imposta da una specifica disposizione di legge, presuppone l’esistenza di una relazione sia di pregiudizialità logica (nel senso che la definizione di una controversia rappresenti un momento ineliminabile del processo logico relativo alla decisione della causa dipendente) sia di pregiudizialità giuridica (nel senso che la controversia pregiudiziale sia diretta alla formazione di un giudicato che, in difetto di coordinamento tra i due procedimenti, possa porsi in conflitto con la decisione adottata nell’altro giudizio), e dato che nel giudizio di revocazione la fase rescindente ha per oggetto l’accertamento del denunciato vizio della sentenza impugnata e non l’esistenza o il contenuto del rapporto giuridico in ordine al quale la sentenza stessa abbia giudicato, mentre solo l’eventuale fase rescissoria viene a rinnovare il giudizio su tali punti. Né il sistema delineato dal codice di procedura civile appare non rispettoso delle esigenze di tutela dei diritti di cui agli artt. 24 Cost. e 6 CEDU, posto che l’art. 398, comma 4, c.p.c. collega la facoltà di sospensione del giudizio di cassazione e del relativo termine per impugnare al mero requisito della “non manifesta infondatezza” della revocazione proposta (Sez. L, n. 20469, 02/08/2018, Rv. 650092 -01).
In disparte, peraltro, entrambe le parti riferiscono che il giudizio di revocazione è stato oramai definito.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la <> , in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Si assume che la sentenza era incorsa in errore ad avere valorizzato uno scritto a firma di NOME COGNOME del 2/1/1987,
invece che quello del giorno successivo a firma di NOME COGNOME (con il primo il COGNOME dichiarava che il riconoscimento della servitù di affaccio da parte del COGNOME era simulato e l’atto redatto al solo scopo di consentire al primo di ottenere il titolo abilitativo all’edificazione). La Corte locale non aveva tenuto conto della circostanza che le finestre erano state messe in opera cinque anni prima della redazione delle scritture e, quindi, della significatività del rilevante lasso di tempo trascorso fino alla manifestata opposizione.
7.1. Il motivo è infondato.
In punto di fatto occorre premettere che NOME COGNOME, con atto del 3/1/1987 aveva ‘consentito’ ad NOME COGNOME e NOME COGNOME una servitù d’affaccio e veduta a favore dell’edificando fabbricato di costoro. Con controscrittura del giorno precedente, tuttavia, NOME COGNOME aveva dichiarato che l’atto di assenso di cui detto era stato rilasciato dal COGNOME al solo fine di permettere ai COGNOME/COGNOME di ottenere la concessione edilizia. La genuinità delle due scritture, di cui solo la prima autenticata, non era stata contestata.
La sentenza impugnata, dopo avere affermato che l’anteriorità del documento firmato dal COGNOME imponeva valutazione di connessione logica e cronologica, chiarisce non essere dubbio che <> e, soggiunge il Giudice, <>.
Pur non potendosi applicare la regola della cd. ‘doppia conforme’ poiché la causa d’appello risulta iscritta a ruolo nel 2009 (l’art. 348 bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 54, lett. a, del d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni nella l. n. 134/2012, si applica ai giudizi d’appello introdotti con citazione la cui notifica risulti essere stata richiesta dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione), la motivazione, pienamente esistente, è scevra da aporie e contraddizioni: la parte che in apparenza concedeva il diritto si era premurata di previamente pretendere e acquisire la controdichiarazione della controparte.
Inoltre, la circostanza evocata circa l’anteriorità della costruzione non consta dalla sentenza, né i ricorrenti precisano dove e quando sarebbe stata evidenziata.
Con il terzo motivo viene denunciata nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4 cod. proc. civ., per omessa o apparente motivazione.
Chiariscono i ricorrenti che la Corte di Reggio Calabria, in accoglimento dell’impugnazione incidentale, oltre a condannare gli attori a chiudere le finestre, aveva imposto loro di asportare le fioriere poste a distanza di un metro dal confine, in quanto le stesse risultavano collocate sull’altrui proprietà senza giustificazione alcuna.
Si sostiene che la decisione aveva del tutto omesso di prendere in considerazione sia la regola della prevenzione nelle costruzioni, che il contenuto dell’ordinanza del Giudice istruttore del Tribunale, che aveva prescritto la impermeabilizzazione del fabbricato dei
COGNOME/COGNOME e la realizzazione di una intercapedine alta 50 cm e profonda 100, siccome precisato dal c.t.u.
Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. per omessa motivazione, nonché dell’art. 61 e segg. cod. proc. civ.
La Corte di merito, viene dedotto, dopo aver rigettato l’appello in punto di servitù di veduta, aveva affermato che gli altri motivi restavano assorbiti. Non aveva spiegato la ragione dell’assorbimento, il quale, non poteva investire i motivi riguardanti i danni che l’innalzamento del piano di campagna della controparte aveva procurato al loro immobile, venuto a contatto diretto con il terreno, contatto che avrebbe dovuto essere eliminato secondo le prescrizioni dettate dal c.t.u.
Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano, ancora una volta, violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., in relazione ai nn. 4 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
Erroneamente, viene affermato, la sentenza aveva travolto con la declaratoria d’assorbimento, priva di spiegazione, la domanda di risarcimento del danno, procurato dall’illegittima costruzione in aderenza.
L’insieme censorio di cui ai motivi da tre a cinque deve essere accolto.
La Corte di Reggio Calabria, dopo avere puntualmente riportato i motivi attraverso i quali gli appellanti avevano riproposto le domande disattese in primo grado, ha rigettato i motivi concernenti il vantato diritto di servitù di veduta e dichiarati assorbiti gli altri, eccezion fatta per l’entità delle spese liquidate in primo grado.
La Corte di merito non spiega la ragione dell’assorbimento (in senso improprio) delle altre censure riguardanti i punti oggi evidenziati in ricorso con i motivi in esame. Né viene chiarita la
conseguenzialità che legherebbe il rigetto dei primi motivi (come si è detto quelli concernenti il preteso diritto di veduta) agli altri.
Con il sesto motivo, con il quale, deducendo la violazione dell’art. 91 e segg. cod. proc. civ., i ricorrenti si dolgono della statuizione sulle spese, resta assorbito in senso proprio, stante che l’accoglimento dei motivi dal terzo al quinto imporrà di rivalutare il merito del giudizio.
la sentenza, pertanto, deve essere cassata con rinvio in relazione ai motivi accolti. Il Giudice del rinvio regolerà anche il capo delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso, dichiara inammissibile il primo, rigetta il secondo e dichiara assorbito il sesto; cassa la sentenza impugnata in relazione agli accolti motivi e rinvia alla Corte d’appello di Reggio Calabria, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 15 maggio 2024