Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4273 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3   Num. 4273  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 25876/18 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE ,  in persona del rappresentante generale per l’Italia pro tempore , e RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, ambedue domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio  difensore,  difeso  dagli  avvocati  NOME  COGNOME  e  NOME COGNOME;
– ricorrente –
 contro
-) RAGIONE_SOCIALE ,  in  persona  del  legale  rappresentante pro tempore ,  domiciliato ex  lege all’indirizzo  PEC  del  proprio  difensore, difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
 avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 10 maggio 2018 n. 2338; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2024 dal AVV_NOTAIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi  gli  AVV_NOTAIO  per  la  società  ricorrente  e  NOME COGNOME per la società controricorrente.
Oggetto: assicurazione plurima – regresso tra assicuratori ex art. 1910, comma  quarto, c.c. -misura -determinazione -criteri.
FATTI DI CAUSA
L’esposizione dei fatti di causa sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti nella presente sede.
La società RAGIONE_SOCIALE (che in seguito muterà ragione sociale, per effetto di successive fusioni ed incorporazioni, dapprima in RAGIONE_SOCIALE , e poi in RAGIONE_SOCIALE; d’ora innanzi, ‘la  RAGIONE_SOCIALE‘ )  aveva  assicurato  la  responsabilità  civile  della  clinica  denominata ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ di Rozzano e dei suoi dipendenti.
In  occasione  di  un  parto  avvenuto  all’interno  della  clinica  patì  lesioni permanenti il neonato. I genitori ne ascrissero la responsabilità ad uno dei sanitari operanti, il AVV_NOTAIO NOME COGNOME, e la RAGIONE_SOCIALE tenne indenne i propri assicurati pagando a titolo di risarcimento direttamente nelle mani dei terzi danneggiati l’importo di euro 1.502. 442.
Allegando questi fatti, nel 2010 la RAGIONE_SOCIALE convenne dinanzi al Tribunale di Milano la società RAGIONE_SOCIALE (che in seguito  muterà  ragione  sociale  in  RAGIONE_SOCIALE; d’ora innanzi, ‘la RAGIONE_SOCIALE‘) , esponendo che:
-)  il  medico  responsabile del  danno  aveva  stipulato  anch’egli  una assicurazione della propria responsabilità civile con la RAGIONE_SOCIALE;
-)  di  conseguenza  il  medesimo  rischio  (la  responsabilità  civile  del sanitario) era risultato coperto  da  due  polizze:  quella  stipulata dalla RAGIONE_SOCIALE (anche) per conto altrui ex art. 1891 c.c. e quella stipulata da NOME COGNOME COGNOME nell’interesse proprio ;
-) ricorreva dunque una ipotesi di assicurazione plurima, ai sensi dell’art. 1910 c.c.;
-) la RAGIONE_SOCIALE , avendo risarcito i danneggiati dell’intero danno, aveva diritto di regresso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 1910, quarto comma, c.c..
Con sentenza 11.8.2012 n. 9350 il Tribunale di Milano rigettò la domanda, ritenendo che la polizza stipulata dalla RAGIONE_SOCIALE fosse operante solo ‘a secondo
rischio’, cioè nel solo caso di incapienza o inefficacia di altre assicurazioni stipulate a copertura del medesimo rischio.
La sentenza fu appellata dalla RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza 23.3.2013 n. 1267 la Corte d’appello  di  Milano  rigettò  il gravame.
Tale sentenza, impugnata per cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE, fu cassata con rinvio da questa Corte, con sentenza 9.6.2016 n. 11819.
Riassunto il giudizio, con sentenza 10.5.2018 n. 2338 la Corte d’appello di Milano accolse parzialmente il gravame della RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello ritenne sussistente una ipotesi di assicurazione plurima, e di conseguenza ha ritenuto sussistente il diritto di regresso della HDI.
Ha, poi, stabilito la misura del regresso nel 50% dell’indennizzo pagato da RAGIONE_SOCIALE al terzo danneggiato.
Ha motivato tale decisione osservando che ambedue i contratti stipulati da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ‘ coprono interamente la responsabilità del coassicurato fino alla concorrenza della somma corrisposta da RAGIONE_SOCIALE, come del resto riconosciuto inizialmente dall’odierna appellata nella costituzione in giudizio’ .
Conseguentemente la Corte d’appello condannò la  RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore della RAGIONE_SOCIALE  del 50%  dell’indennizzo da quest’ultima pagato ai danneggiati,  ‘ in  solido  con  la  RAGIONE_SOCIALE‘ (d’ora  innanzi,  ‘la  RAGIONE_SOCIALE‘) ,  società  che  la  sentenza  impugnata riferisce essere cessionaria del portafoglio della  RAGIONE_SOCIALE,  ‘ intervenuta volontariamente’ .
La sentenza pronunciata in sede di rinvio è stata impugnata per cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso fondato su un motivo.
La HDI ha resistito con controricorso.
La causa, fissata per l’adunanza camerale del 30.3.2023, con ordinanza interlocutoria  28.4.2023  n.  11302  è  stata  rinviata  a  nuovo  ruolo  per  la discussione  in  pubblica  udienza  e  fissata  per  il  3.10.2023;  quindi,  con
provvedimento  presidenziale  è  stata  tolta  dal  ruolo  per  impedimento  del AVV_NOTAIO e rifissata per l’odierna udienza.
Ambo le parti hanno depositato memoria sia prima dell’adunanza camerale del 30.3.2023, sia prima della (prevista e poi rinviata) udienza del 3.10.2023, sia  prima  dell’odierna  udienza. La  seconda  e  la  terza  memoria  della  RAGIONE_SOCIALE, tuttavia, si limitano a richiamare quanto già esposto nei precedenti atti.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente rileva la Corte che né la sentenza impugnata, né il ricorso, né  il  controricorso,  né  le  memorie,  indicano  in  quale  fase  processuale  la RAGIONE_SOCIALE sia intervenuta nel giudizio.
Deve  tuttavia  ritenersi  che  esso  possa  dirsi  avvenuto  solo  nel  giudizio  di rinvio:  infatti  la  cessione  del  portafoglio  del  ramo  danni  dalla  RAGIONE_SOCIALE  alla RAGIONE_SOCIALE è avvenuto con effetto dal 31.3.2013 (Bollettino IVASS n. 4/2013, p.  139)  e  quindi  successivamente  alla  pubblicazione  della  prima  sentenza d’appello, avvenuta , come detto, il 23.3.2013), mentre nel primo giudizio di legittimità il controricorso della RAGIONE_SOCIALE fu ritenuto inammissibile per difetto di procura.
Nondimeno, nella sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha pronunciato una  condanna  nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, così implicitamente,  ma inequivocamente,  mostrando  di  ritenere  ammissibile  il  suo  intervento  in causa: sicché, non essendovi state impugnazioni sul punto, la questione della legittimità  del  suddetto  intervento  in  causa  della  RAGIONE_SOCIALE  è  coperta  dal giudicato.
Ancora in via preliminare rileva la Corte che la sentenza impugnata ha espressamente definito la RAGIONE_SOCIALE re ‘ cessionaria del portafoglio assicurativo ‘ della RAGIONE_SOCIALE (p. 6) e l’ha condannata in solido con la cedente RAGIONE_SOCIALE. Sul punto rileva questa Corte che la sentenza impugnata non ha accertato né quale fosse la legge applicabile alla cessione di portafoglio (cedente e cessionaria avevano ambedue la sede nel Regno Unito), né se il debito di regresso potesse ritenersi sorto dal contratto stipulato tra la NOME e NOME
NOME COGNOME COGNOME, e come tale trasferito alla RAGIONE_SOCIALE (è noto infatti che la  cessione  del  portafoglio  as sicurativo  differisce  dalla  cessione  d’azienda perché  ha  ad  oggetto  solo  i  contratti  e  non  anche  i  beni  organizzati  per l’esercizio  dell’impresa,  sicché ,  in  mancanza  di  patti ad  hoc ,  non  era automatica l’applicazione dell’art. 2 560, secondo comma, c.c.).
Tuttavia, anche in questo caso, l’assenza di impugnazioni avverso la suddetta condanna in solido solleva il Collegio dalla necessità di esaminare la suddetta questione.
Con l’unico motivo le due società ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1910 c.c..
Deducono che la ripartizione dell’indennizzo tra due assicuratori che hanno assunto il  medesimo rischio  si  deve  compiere  in  proporzione dei  rispettivi massimali assicurati, e non degli indennizzi dovuti.
E, poiché la RAGIONE_SOCIALE aveva garantito un massimale di 5.165.000 euro, mentre la RAGIONE_SOCIALE aveva garantito un massimale di 1.549.370,70 euro, pari al 22,37% della somma dei due massimali, il regresso della seconda si sarebbe dovuto ammettere solo per l’importo di euro 336.193,93, pari appunto al 22,37% dell’indennizzo pagato dalla RAGIONE_SOCIALE ai terzi danneggiati.
 Le  società  ricorrenti  chiedono  a  questa  Corte  di  stabilire  quale  regola proporzionale  debba  applicarsi  per  stabilire  la  misura  del  regresso  fra assicuratori , nell’ipotesi prevista dall’art. 1910, quarto comma, c.c. , e dunque se tale misura vada stabilita:
in proporzione del  massimale garantito (e dunque in misura pari al prodotto del danno per il massimale garantito dal singolo assicuratore, fratto il cumulo dei massimali garantiti da tutti gli assicuratori coinvolti), oppure
 in  proporzione dell’indennizzo  dovuto (e  dunque  in  misura  pari  al prodotto  del  danno  per  l’indennizzo  concretamente  dovuto  dal  singolo assicuratore, fratto il cumulo degli indennizzi dovuti da tutti gli assicuratori coinvolti).
Tale questione non vede unanime la dottrina, né la rara giurisprudenza che ha avuto occasione di occuparsene.
Un primo orientamento ritiene che la quota di danno a carico di ciascun assicuratore  (e  quindi,  specularmente,  la  misura  del  regresso  cui  ciascun assicuratore ha diritto) debba calcolarsi in proporzione del valore assicurato da ciascuno di essi.
Nell ‘assicurazione di responsabilità (che è assicurazione di patrimoni e non di cose),  nella  quale  non  esiste  un  valore  assicurato,  la  misura  del  regresso andrebbe dunque calcolata in proporzione del massimale garantito.
La misura del regresso sarà quindi data, secondo questo orientamento, dal prodotto del danno causato dal sinistro per il massimale, fratto la sommatoria dei massimali garantiti da tutti gli assicuratori che hanno coperto il medesimo rischio.
5.1. Questa soluzione è così giustificata: l’assicuratore che garantisce il valore maggiore corre un rischio maggiore ed incassa un premio maggiore. Pertanto, in caso di sinistro è giusto ed equo che sopporti il peso maggiore. In giurisprudenza, questa opinione risulta condivisa da Trib. Roma, 02-03dalla Corte d’appello del Quinto Circuito ) di New Orleans (USA) , in un caso in
2005 e, per quel che può valere, ( Federal jurisdiction  Court Appeals Fifth Circuit 14-04-2004, in causa COGNOME c. Unione Mediterranea Sicurtà cui il giudice straniero fu chiamato ad applicare la legge italiana.
Ambedue le decisioni sono motivate in modo apodittico.
Un secondo orientamento ritiene che la quota di indennizzo gravante su ciascun assicuratore (e quindi, specularmente, la misura del regresso a lui spettante) vada calcolata in proporzione non già del valore assicurato, ma dell’indennizzo concretamente dovuto in base al contratto.
La misura del regresso sarà dunque data, secondo questo orientamento, dal prodotto del danno causato dal sinistro per l’ indennizzo dovuto dal singolo assicuratore,  fratto  la  sommatoria  degli  indennizzi  dovuti  da  tutti  gli assicuratori che hanno coperto il medesimo rischio.
6.1. Questa conclusione viene giustificata con tre argomenti:
la lettera della legge ( che fa riferimento ‘ all’indennità dovuta ‘);
 l’inapplicabilità  dell’altro  sistema,  nel  caso  di  concorso  con  un assicuratore che abbia garantito un massimale illimitato;
le iniquità  che  produrrebbe l’altro sistema,  quando uno  degli assicuratori, pur avendo garantito un valore maggiore di quello garantito dagli altri,  paghi  però  un  indennizzo  inferiore,  ad  es.  perché  ha  stipulato  una sottoassicurazione, oppure per la presenza di franchigie o scoperti.
In questi casi si osserva che la regola di riparto in proporzione del massimale potrebbe addirittura azzerare il diritto di regresso, oppure esporre l’assicuratore  a  dover  versare  agli  altri  assicuratori  una  somma eccedente l’indennizzo che avrebbe dovuto pagare all’assicurato, se non vi fossero state altre polizze.
In giurisprudenza questa opinione risulta condivisa – ma senza un particolare approfondimento  motivazionale  –  da  Trib.  Arezzo,  16/10/2009  e  da  Trib Massa, 28/02/2017 n. 176 (i n quest’ultimo caso assunse le  vesti  di  parte attrice  in  regresso  una  delle  due  società  oggi  ricorrenti,  e  sostenne  –  con successo – una tesi esattamente opposta a quella qui invocata).
Ritiene la Corte che il secondo orientamento debba essere preferito per sia in base al l’interpretazione letterale, sia in base all’interpretazione finalistica, sia in base all’interpretazione logica.
7.1. Dal punto di vista letterale, l ‘art. 1910 , quarto comma, c.c. stabilisce che nell’ipotesi  di  assicurazione  plurima il  regresso spettante  all’assicuratore solvens sia proporzionale ‘ alle indennità dovute ‘ in base al contratto.
La parola ‘indennità’ , in tutto il Capo XX del Titolo III del Libro Quarto del codice, è sempre utilizzata per indicare l’indennizzo concretamente dovuto, e mai per indicare il valore assicurato (nell’ass icurazione danni) o il massimale (nell’ass icurazione della responsabilità civile): in tal senso essa compare negli artt. 1911, 1915, 1916, 1917, 1930 c.c.; nonché negli artt. 2742, 2767, 2952 c.c..
Anche  i l comma  terzo  dell’art. 1910  c.c. stabilisce che nel caso di assicurazione  plurima  ‘ l’assicurato  può  chiedere  a  ciascun  assicuratore
l’indennità dovuta secondo il rispettivo contratto ‘. E nessuno ha mai dubitato che  questa  norma  faccia  riferimento all’indennizzo dovuto,  non  certo  al massimale garantito: ché in questa seconda ipotesi non avrebbe senso.
È dunque insostenibile che la medesima espressione ( ‘ indennità dovuta secondo il rispettivo contratt o’ ) nel terzo comma dell’art. 1910 c.c. e nell’intero blocco normativo che disciplina il contratto di assicurazione sia stata sempre usata per indicare l’indennizzo, e soltanto nel quarto comma dell’art. 1910 c.c. quell’espressione sia stata usata per indicare il massimale. E tanto a prescindere dalla considerazione che difficilmente potrebbe, anche solo da un punto di vista squisitamente semantico, rinvenirsi nel lemma ‘indennità’ un significato equiparabile a ‘massimale’, per come i due concetti sono elaborati nel linguaggio comune e in quello specialistico di settore.
7.2. Al medesimo risultato conduce l’interpretazione finalistica.
La ratio dell’art.  1910,  quarto  comma,  c.c. è  ridurre,  in  presenza  di  più assicuratori, il peso economico del sinistro per ciascuno di essi.
Questa ratio non è un vantaggio per l’assicuratore, ma per la massa degli assicurati, dal momento che il minor costo dei sinistri ha per effetto indiretto la riduzione del premio puro.
Dunque, è coerente con tale ratio una interpretazione della norma che, nel caso  di  assicurazione  del  medesimo  rischio  presso  diversi  assicuratori, consenta a ciascuno di essi di trarre vantaggio dalla presenza degli altri.
Questo risultato è sempre garantito se la misura del regresso è calcolata in proporzione dell’indennizzo da ciascuno dovuto, secondo la regola proporzionale già in precedenza ricordata.
Lo stesso risultato non sarebbe invece garantito dall’interpretazione secondo cui la misura del regresso andrebbe proporzionata all’importo del massimale. Questo criterio, infatti, può comportare la perdita di qualsiasi vantaggio per l’assicuratore ,  il  quale,  pur  avendo  garantito  un  massimale  elevato,  per effetto di franchigie o scoperti sia tenuto a pagare un indennizzo modesto.
7.3.  In  terzo  luogo ,  dal  punto  di  vista  dell’interpretazione  logica, rileva  la Corte che un’assicurazione della responsabilità civile potrebbe essere
stipulata anche per un massimale illimitato. Ma il criterio di determinazione della quota di regresso in proporzione del massimale non sarebbe applicabile in caso di massimale illimitato. Infatti, un numero finito diviso per infinito dà per risultato un infinitesimo tendente a ‘0’ all’infinito , sicché la formula ‘ danno per massimale fratto somma dei massimali ‘ comporterebbe che la quota a carico dell’assicuratore con massimale illimitato sarebbe sempre ‘tendente a zero all’infinito’, e quindi indeterminabil e.
7.4. Dal punto di vista comparatistico, ancora, può essere utile ricordare che in un ordinamento prossimo al nostro sul piano del diritto assicurativo, quello francese, fino al 1982 vigeva il principio di riparto del costo del sinistro tra vari assicuratori secondo il criterio proporzionale riferito al massimale.
Poi,  con  la  legge  13.7.1982,  è  stato  modificato  l’art.  121 -4  del Code des Assurances , e sostituita la regola della proporzione rispetto al massimale con la  regola  della  proporzione  rispetto  all’indennizzo  dovuto,  a  causa  per l’appunto delle ‘difficoltà applicative’ del precedente sistema.
Detto delle ragioni per le quali va condivisa l’interpretazione dell’art. 1910 c.c. sostenuta dalla parte controricorrente, deve ora aggiungersi che la tesi la quale determina la misura del regresso fra assicuratori in proporzione del massimale da ciascuno di essi  garantito  non  può  condividersi  non  solo  in quanto recessiva rispetto all’altra, ma pure per indipendenti plurime ragioni.
In primo luogo, l’opinione secondo cui il regresso tra assicuratori ex art. 1910
c.c. va determinato in misura proporzionale al massimale garantito è una tesi più postulata che motivata dagli autori che la sostennero per primi.
È, in secondo luogo, una tesi che contrasta con la lettera della legge per le ragioni già indicate.
Infine, la tesi qui ripudiata non può essere condivisa perché sconta un antico pregiudizio.
L’assicurazione plurima in antico era vietata perché si riteneva che, se un rischio era già coperto da una polizza, una nuova ed identica assicurazione sarebbe stata nulla per inesistenza del rischio.
Soltanto  con  il  codice  di  commercio  del  1882  si  ammise l’assicurazione plurima, ma pur sempre a condizione che la seconda polizza operasse nel caso di inefficacia della prima (art. 426 cod. comm.), oppure che le varie assicurazioni fossero stipulate simultaneamente (art. 427 cod. comm.). In questi  casi,  infatti ,  secondo  la  dottrina  dell’epoca, non  poteva  dirsi  che  il rischio fosse inesistente, perché nessuna assicurazione veniva stipulata prima delle altre.
L ‘opinione secondo cui, se una cosa è già assicurata contro i danni, ciò può ridurre – fino ad annullarlo – il rischio sottoscritto dagli assicuratori successivi al primo, ebbe per corollario l’opinione che il costo del sinistro, se questo è coperto da più assicuratori, deve ripartirsi fra essi in proporzione del rischio corso e non in base all’indennizzo dovuto .
Oggi, tuttavia, non si dubita che il rischio naturale cui la cosa assicurata è esposta (e cioè la probabilità statistica di avveramento dell’evento avverso) è cosa ben diversa dal rischio giuridico (la presenza di uno o più assicuratori in grado di coprire i costi del sinistro).
Se dunque la presenza di più assicuratori non riduce la probabilità statistica di avveramento dell’evento, l’assicuratore che stipula il secondo contratto in ordine  di  tempo  non  si  accolla  affatto  un  rischio  minore  in  termini  di probabilità statistica. E, se non corre un rischio naturale minore rispetto agli altri  assicuratori,  non  ha  senso  pretendere  di  giustificare  la  misura  del regresso in base ‘ al rischio corso ‘.
 Il  ricorso  va  dunque  rigettato  in  applicazione  del  seguente  principio  di diritto:
Se più assicuratori hanno coperto in modo indipendente l’uno dall’altro il medesimo rischio (c.d. assicurazione plurima), quello tra loro che ha pagato all’assicurato l’intero indennizzo dovuto secondo il contratto ha diritto di regresso in misura proporzionale rispetto all’indennizzo contrattualmente dovuto da ciascuno degli altri assicuratori. Tale misura si determina moltiplicando il danno patito dall’assicurato per l’indennizzo concretamente dovuto dal singolo assicuratore e dividendo il prodotto per la sommatoria degli indennizzi concretamente dovuti da tutti gli assicuratori.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti, ex art. 92 c.p.c., in considerazione della novità della questione nella giurisprudenza di legittimità e delle contrastanti opinioni dottrinarie su essa.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
-) rigetta il ricorso;
-) compensa interamente le spese tra le parti;
-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto  per  il  ricorso  a  norma  del  comma  1bis dello  stesso  art.  13,  se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della