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Assenza ingiustificata: licenziamento legittimo

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di una dirigente medico per un’assenza ingiustificata di oltre 185 ore. La lavoratrice aveva giustificato le assenze, dovute a presunta partecipazione a corsi formativi, con una semplice autocertificazione, ritenuta insufficiente. La Corte ha stabilito che una prassi aziendale non può derogare alle previsioni del contratto collettivo che richiedono idonea documentazione, respingendo tutti i motivi di ricorso, inclusi quelli procedurali e sulla proporzionalità della sanzione.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Assenza ingiustificata: quando l’autocertificazione non basta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico: l’assenza ingiustificata, anche se legata a presunti eventi formativi, può condurre al licenziamento se non adeguatamente documentata. Il caso in esame ha visto una dirigente medico perdere il posto di lavoro per oltre 185 ore di assenza giustificate unicamente tramite un’autocertificazione, nonostante la richiesta esplicita dell’azienda di produrre idonei attestati di partecipazione. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Una dirigente medico veniva licenziata da un’Azienda Ospedaliero-Universitaria a seguito di un procedimento disciplinare. L’addebito contestato era un’assenza dal servizio per oltre 185 ore, che la dipendente sosteneva di aver impiegato per la partecipazione a eventi formativi. A fronte della richiesta dell’azienda di fornire prove concrete della sua partecipazione, la lavoratrice si era limitata a produrre una semplice autocertificazione.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo l’autocertificazione insufficiente a giustificare le assenze, in base a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale. La lavoratrice ha quindi proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni di natura procedurale e di merito.

Le ragioni del rigetto e l’assenza ingiustificata

La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto tutti gli otto motivi di ricorso presentati dalla dirigente. I giudici hanno chiarito diversi aspetti cruciali riguardanti la prova delle assenze, la validità delle prassi aziendali e i limiti del sindacato di legittimità.

Prassi Aziendale contro Contratto Collettivo

Uno dei punti centrali del ricorso riguardava la mancata ammissione di una prova testimoniale. La lavoratrice intendeva dimostrare l’esistenza di una prassi aziendale secondo cui altri dipendenti si limitavano a comunicare la partecipazione a eventi formativi senza doverne poi provare l’effettiva frequenza.

La Corte ha ritenuto questa censura inammissibile. Il convincimento dei giudici di merito si era fondato sulle chiare disposizioni del contratto collettivo, che prevedevano l’obbligo di fornire un’idonea certificazione. Secondo la Cassazione, una prassi aziendale non può mai derogare a una previsione espressa e vincolante del contratto collettivo. Pertanto, la prova testimoniale era irrilevante ai fini della decisione.

Regolarità del Procedimento Disciplinare

La ricorrente aveva lamentato vizi procedurali, sostenendo che la segnalazione disciplinare non provenisse dal suo diretto responsabile e che i termini per la conclusione del procedimento non fossero stati rispettati. Anche questi motivi sono stati respinti. La Corte ha ribadito che l’Ufficio per i procedimenti disciplinari può avviare l’azione anche sulla base di notizie acquisite autonomamente o da altre fonti, non essendo la segnalazione del superiore un requisito di validità. Per quanto riguarda i termini, i giudici hanno confermato il principio secondo cui, per impedire la decadenza, rileva la data di adozione dell’atto sanzionatorio, non quella della sua successiva comunicazione al dipendente.

La valutazione sulla proporzionalità della sanzione per l’assenza ingiustificata

Infine, la Corte ha affrontato la questione della proporzionalità della sanzione espulsiva. La ricorrente sosteneva che il licenziamento fosse una misura eccessiva rispetto alla gravità della condotta. I giudici supremi hanno ricordato che la valutazione sulla proporzionalità tra addebito e sanzione è un giudizio di merito, devoluto ai giudici dei primi due gradi. Il sindacato della Cassazione è limitato a verificare la presenza di una motivazione logica e non contraddittoria. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva espressamente motivato la sua decisione, ritenendo la sanzione proporzionata alla gravità dei fatti, sia sul piano oggettivo (l’entità delle ore di assenza) che soggettivo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione basandosi su principi consolidati. In primo luogo, ha sottolineato l’inammissibilità di una rivalutazione dei fatti in sede di legittimità. La Corte non può trasformarsi in un terzo grado di merito, ma deve limitarsi a verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. È stato ribadito che il diritto di difesa è stato garantito, poiché la lavoratrice, pur convocata, ha scelto di non partecipare di persona, ma le sue note difensive sono state comunque esaminate. La decisione della Corte d’Appello è stata ritenuta immune da vizi, in quanto basata su una corretta interpretazione delle norme contrattuali e legislative, e supportata da una motivazione che ha superato il vaglio del ‘minimo costituzionale’ richiesto.

Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento secondo cui le previsioni del contratto collettivo in materia di giustificazione delle assenze prevalgono su eventuali prassi aziendali difformi. L’autocertificazione non può essere considerata un documento sufficiente a provare la partecipazione a eventi formativi quando il contratto richiede una ‘idonea certificazione’. La pronuncia conferma inoltre che la valutazione sulla proporzionalità del licenziamento è di competenza esclusiva del giudice di merito, a meno che la sua motivazione non sia palesemente illogica, contraddittoria o del tutto assente. Per i dipendenti, pubblici e privati, emerge un chiaro monito: la documentazione a giustificazione delle assenze deve essere precisa, formale e conforme a quanto richiesto dalla normativa e dalla contrattazione collettiva, per non incorrere in sanzioni disciplinari gravi come il licenziamento.

Una prassi aziendale può giustificare un’assenza se il contratto collettivo richiede una certificazione ufficiale?
No. La Corte ha stabilito che una prassi aziendale non può derogare a un’espressa previsione del contratto collettivo. Se il contratto richiede un’idonea certificazione per giustificare un’assenza, una semplice comunicazione o autocertificazione, anche se tollerata in passato, non è sufficiente.

Il diritto di difesa è violato se il dipendente, pur convocato, sceglie di non presentarsi e invia solo note scritte?
No. Secondo la sentenza, il diritto di difesa è stato pienamente rispettato. La lavoratrice è stata convocata per essere ascoltata, ha scelto di non partecipare in presenza, ma le sue note difensive sono state comunque esaminate e considerate dall’ufficio disciplinare prima di prendere una decisione.

Ai fini del rispetto dei termini del procedimento disciplinare, conta la data di adozione della sanzione o quella della sua comunicazione?
Conta la data di adozione dell’atto sanzionatorio da parte dell’amministrazione. La successiva comunicazione al dipendente rileva solo ai fini della produzione degli effetti dell’atto, ma non per il calcolo del termine di conclusione del procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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