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Assenza ingiustificata: licenziamento illegittimo

Un’agente di polizia municipale, sospesa cautelativamente a seguito di una condanna penale, veniva licenziata per assenza ingiustificata dopo non aver comunicato tempestivamente la successiva assoluzione in appello. La Corte di Cassazione, confermando la decisione dei giudici di merito, ha ritenuto inammissibile il ricorso del Comune, stabilendo che il licenziamento basato sulla sola assenza ingiustificata è illegittimo se non vi è un provvedimento formale di riammissione in servizio da parte del datore di lavoro.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Assenza Ingiustificata: Quando il Licenziamento è Illegittimo

Il licenziamento per assenza ingiustificata è una delle sanzioni più gravi nel rapporto di lavoro. Tuttavia, la sua applicazione richiede presupposti chiari e una contestazione precisa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7274/2024) offre spunti fondamentali su questo tema, analizzando il caso di una dipendente pubblica licenziata dopo un lungo periodo di assenza seguito a una sospensione cautelativa. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I fatti di causa

Una agente di polizia municipale veniva sospesa cautelarmente dal servizio e dallo stipendio nel 2013, a seguito di una condanna in primo grado per peculato. Anni dopo, il suo difensore comunicava al Comune datore di lavoro che la dipendente era stata assolta in appello dal reato più grave, con una condanna definitiva solo per molestie.

A seguito di questa comunicazione, l’ente comunale avviava un nuovo procedimento disciplinare. La contestazione non riguardava la condanna per molestie (per cui era già stata applicata una sospensione di un mese), bensì la prolungata assenza ingiustificata dal servizio, intercorsa tra il momento dell’assoluzione in appello e la tardiva comunicazione all’ente. Questo procedimento si concludeva con il licenziamento della lavoratrice.

L’iter giudiziario e la decisione della Corte d’Appello

La lavoratrice impugnava il licenziamento. Dopo un complesso iter giudiziario, che includeva una prima cassazione con rinvio, la Corte d’Appello di Milano annullava il licenziamento. Il giudice del rinvio, applicando il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, stabiliva che “in mancanza di una disposizione di riammissione del dipendente in servizio, non può configurarsi a carico di quest’ultimo un addebito di assenza ingiustificata”.

Il Comune ricorreva nuovamente in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare che la contestazione disciplinare non riguardava solo l’assenza, ma anche la violazione dei doveri di comportamento per la ritardata comunicazione dell’assoluzione.

L’analisi della Corte di Cassazione e il concetto di assenza ingiustificata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Comune inammissibile, confermando di fatto l’illegittimità del licenziamento. L’analisi dei giudici si è concentrata su due punti cardine.

La specificità della contestazione disciplinare

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che l’oggetto del contendere era limitato a quanto esplicitamente contestato nella lettera disciplinare. La Corte d’Appello aveva correttamente interpretato tale lettera, concludendo che l’unica condotta addebitata fosse l’assenza dal servizio, e non la violazione di un presunto obbligo di comunicazione. Anche se la lettera menzionava genericamente “gravi violazioni dei doveri”, il comportamento specifico sanzionato era esclusivamente l’assenza. Pertanto, il motivo del ricorso che mirava a estendere l’addebito anche alla mancata comunicazione è stato respinto, in quanto la valutazione del contenuto della contestazione è un’attività riservata al giudice di merito e, nel caso di specie, era stata compiutamente effettuata.

L’assenza di un obbligo di comunicazione

In secondo luogo, la Cassazione ha ribadito, seppur come argomentazione secondaria (ad abundantiam), un principio già consolidato: non esiste un dovere a carico del dipendente di comunicare le sentenze penali che lo riguardano. Esiste, al contrario, una sua facoltà di attivarsi per far cessare lo stato di sospensione. Di conseguenza, l’omessa comunicazione non può configurare un illecito disciplinare.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili tutti i motivi di ricorso presentati dal Comune. Il primo motivo è stato respinto perché la Corte d’Appello aveva esaminato la lettera di contestazione, concludendo che l’addebito riguardava unicamente l’assenza ingiustificata. La Cassazione ha ritenuto che il Comune non contestasse un omesso esame, ma l’esito di tale esame, che è insindacabile in sede di legittimità.

Anche il secondo motivo, relativo alla presunta violazione dei doveri di correttezza e buona fede per la mancata comunicazione, è stato giudicato inammissibile. Essendo stata censurata solo l’assenza, discutere di altri potenziali illeciti non contestati era inutile.

Infine, è stato dichiarato inammissibile anche il terzo motivo, con cui il Comune chiedeva di ridurre il risarcimento del danno alla lavoratrice, sostenendo che lei stessa avrebbe potuto evitare il pregiudizio economico comunicando tempestivamente l’assoluzione. La Corte ha chiarito che l’eccezione basata sull’art. 1227, comma 2, c.c. (concorso del fatto colposo del creditore) deve essere sollevata specificamente nel giudizio di merito, cosa che il Comune non aveva fatto.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce principi cruciali in materia di diritto disciplinare. In primo luogo, la contestazione deve essere specifica e il datore di lavoro non può successivamente ampliare l’oggetto dell’addebito. In secondo luogo, un’assenza ingiustificata non può essere configurata se il lavoratore è in stato di sospensione cautelativa e non ha ricevuto un formale provvedimento di riammissione in servizio. La fine della causa penale che ha dato origine alla sospensione non comporta un automatico obbligo di rientro, ma solo la facoltà per il dipendente di chiedere di essere riammesso. La decisione sottolinea l’importanza del formalismo e della precisione nei procedimenti disciplinari, a tutela dei diritti del lavoratore.

Un dipendente sospeso cautelativamente ha l’obbligo di comunicare al datore di lavoro l’assoluzione in sede penale per essere riammesso in servizio?
No, la sentenza chiarisce che, in assenza di una specifica norma o previsione contrattuale, non esiste un obbligo per il dipendente di comunicare la propria assoluzione. Esiste solo una sua facoltà di attivarsi per far cessare lo stato di sospensione.

Il licenziamento per assenza ingiustificata è valido se la contestazione disciplinare menziona solo l’assenza e non altri comportamenti, come la mancata comunicazione dell’assoluzione?
No. La Corte ha stabilito che se la contestazione disciplinare si fonda unicamente sull’assenza ingiustificata, il giudice non può considerare altri potenziali illeciti (come la tardiva comunicazione) che non sono stati formalmente contestati al lavoratore.

Si può ridurre il risarcimento del danno al lavoratore se questi avrebbe potuto evitare il danno comunicando prima l’assoluzione?
In teoria sì, in base all’art. 1227, comma 2, c.c., ma solo se il datore di lavoro solleva una specifica eccezione in tal senso durante il processo di merito. Se tale eccezione non viene proposta tempestivamente, il giudice non può ridurre d’ufficio il risarcimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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