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Assenza ingiustificata: licenziamento e conversione

Un lavoratore viene licenziato per assenza ingiustificata dopo una revisione della sua idoneità medica. La Corte d’Appello stabilisce che la convocazione per il rientro in servizio, inviata solo all’avvocato del dipendente, non è valida. Di conseguenza, i giorni di assenza contestati non raggiungono la soglia prevista dal contratto collettivo per il licenziamento per giusta causa. Nonostante ciò, la Corte conferma il licenziamento, convertendolo in giustificato motivo soggettivo a causa del comportamento complessivamente passivo e non collaborativo del lavoratore, che ha irrimediabilmente compromesso il rapporto di fiducia con l’azienda.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Assenza Ingiustificata: Quando la Notifica all’Avvocato Non Basta

L’assenza ingiustificata dal posto di lavoro è una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro, potendo portare fino alla massima sanzione disciplinare: il licenziamento. Una recente sentenza della Corte di Appello di Firenze chiarisce importanti aspetti procedurali, in particolare la validità delle comunicazioni inviate al lavoratore e la possibilità per il giudice di ‘convertire’ la natura del licenziamento. Analizziamo insieme questo caso complesso, che ha visto un licenziamento per giusta causa trasformarsi in licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

I fatti del caso: dalla malattia al licenziamento

La vicenda ha origine con un licenziamento per superamento del periodo di comporto, successivamente revocato dall’azienda. Il rapporto di lavoro viene sospeso in attesa di una visita medica che accerti l’idoneità del dipendente. A seguito della conferma dell’idoneità, l’azienda invita il lavoratore a riprendere servizio con una PEC inviata esclusivamente al suo legale.

Il lavoratore, tuttavia, non si presenta al lavoro. L’azienda procede quindi con due contestazioni disciplinari per assenza ingiustificata: la prima per il periodo dal 19 al 26 aprile, che porta a una sanzione di 3 giorni di sospensione; la seconda per l’assenza protrattasi dal 27 aprile all’8 maggio, che culmina nel licenziamento per giusta causa.
Il lavoratore impugna il licenziamento, sostenendo che la convocazione inviata al solo legale non fosse valida e che, pertanto, la sua assenza potesse considerarsi ingiustificata solo a partire dal giorno successivo alla ricezione della prima contestazione disciplinare a lui personalmente notificata. In questo modo, i giorni di assenza consecutiva non avrebbero superato la soglia prevista dal contratto collettivo per il licenziamento.

La decisione della Corte d’Appello sull’assenza ingiustificata

La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione di primo grado, ha analizzato due aspetti cruciali: la validità della comunicazione di ripresa del servizio e la qualificazione giuridica del licenziamento.

La validità della convocazione a riprendere servizio

I giudici hanno dato ragione al lavoratore su un punto fondamentale: la comunicazione di ripresa del servizio, essendo un atto di gestione del rapporto di lavoro, doveva essere indirizzata personalmente a lui e non al suo avvocato. La Corte ha chiarito che l’aver dato mandato a un legale per impugnare un giudizio di idoneità medica non costituisce una ‘elezione di domicilio’ per tutte le comunicazioni inerenti al rapporto di lavoro.
Di conseguenza, la prima comunicazione valida è stata la lettera di contestazione disciplinare ricevuta dal lavoratore il 2 maggio. L’assenza ingiustificata poteva quindi essere considerata tale solo a partire dal 3 maggio. Il conteggio dei giorni (3, 4, 5 e 8 maggio) arrivava a quattro giorni, un numero che, secondo il contratto collettivo applicato, non era sufficiente a integrare la giusta causa di licenziamento, la quale richiedeva il superamento di tale soglia.

La conversione del licenziamento da giusta causa a giustificato motivo

Nonostante l’illegittimità del licenziamento per giusta causa per il mancato superamento del limite di giorni, la Corte non ha accolto l’impugnazione del lavoratore. I giudici hanno ritenuto che la condotta complessiva del dipendente – la sua totale inerzia, il non essersi presentato al lavoro neppure dopo la ricezione delle contestazioni, il non aver fornito alcuna giustificazione – rappresentasse un inadempimento talmente grave da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il datore di lavoro.
Pertanto, la Corte ha ‘convertito’ il licenziamento, riqualificandolo da ‘giusta causa’ a ‘giustificato motivo soggettivo’. Questa operazione, consentita dalla giurisprudenza, permette al giudice di valutare i fatti contestati e, pur ritenendoli non sufficienti per un licenziamento in tronco, considerarli comunque abbastanza gravi da giustificare la risoluzione del rapporto con preavviso.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che, sebbene la procedura di convocazione seguita dall’azienda fosse errata, il comportamento successivo del lavoratore dimostrava una chiara mancanza di buona fede contrattuale. L’atteggiamento passivo e silente, protrattosi per quasi un mese, andava oltre la semplice assenza ingiustificata e configurava un inadempimento complessivo degli obblighi di collaborazione e diligenza. La giurisprudenza di legittimità consolidata permette al giudice di qualificare diversamente i fatti posti a base del licenziamento, purché non venga modificata la contestazione originaria. In questo caso, i fatti erano gli stessi (l’assenza prolungata e non giustificata), ma la loro valutazione giuridica è cambiata, passando da una violazione specifica del CCNL a una violazione più generale dei doveri contrattuali che giustificava comunque la fine del rapporto.

Le conclusioni

Questa sentenza offre due importanti lezioni. Per i datori di lavoro, evidenzia la necessità di una scrupolosa attenzione alle procedure di comunicazione con i dipendenti: gli atti fondamentali di gestione del rapporto di lavoro devono essere sempre indirizzati personalmente al lavoratore, salvo espressa ed inequivocabile elezione di domicilio. Per i lavoratori, dimostra che anche un vizio procedurale da parte dell’azienda non sana automaticamente una condotta gravemente negligente. Il comportamento complessivo del dipendente rimane un elemento centrale nella valutazione del giudice, che può ritenere interrotto il vincolo fiduciario anche quando i requisiti formali per una ‘giusta causa’, come definiti dalla contrattazione collettiva, non sono pienamente soddisfatti.

Una comunicazione inviata solo all’avvocato del lavoratore per la ripresa del servizio è valida?
No. Secondo la sentenza, la convocazione a riprendere servizio è un atto di gestione del rapporto di lavoro e deve essere indirizzata personalmente al lavoratore. L’aver conferito mandato a un legale per una specifica questione (come l’impugnazione di un giudizio medico) non equivale a un’elezione di domicilio valida per tutte le comunicazioni aziendali.

Un licenziamento per giusta causa può essere considerato valido anche se non si superano i giorni di assenza ingiustificata previsti dal contratto collettivo?
No, se qualificato come ‘giusta causa’ ai sensi del contratto collettivo, non sarebbe valido. Tuttavia, la Corte ha il potere di ‘convertire’ il motivo del licenziamento. Può ritenere che, sebbene i fatti non integrino la specifica ipotesi di giusta causa contrattuale, la condotta complessiva del lavoratore sia così grave da costituire un ‘giustificato motivo soggettivo’, che giustifica comunque la risoluzione del rapporto di lavoro.

Qual è la differenza tra licenziamento per ‘giusta causa’ e per ‘giustificato motivo soggettivo’ secondo questa sentenza?
Il licenziamento per ‘giusta causa’ si basa su una violazione specifica e grave, come il superamento di un determinato numero di giorni di assenza ingiustificata previsto dal CCNL, che comporta la cessazione immediata del rapporto. Il licenziamento per ‘giustificato motivo soggettivo’, invece, deriva da un notevole inadempimento complessivo degli obblighi contrattuali che, pur essendo meno grave della giusta causa, lede il rapporto di fiducia e giustifica la fine del rapporto, generalmente con preavviso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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