SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 502 2025 – N. R.G. 00000041 2025 DEPOSITO MINUTA 25 09 2025 PUBBLICAZIONE 25 09 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
La Corte di Appello di Firenze
Sezione lavoro
così composta
dr. NOME COGNOME
Presidente
dr. NOME COGNOME
Consigliera rel.
dr. NOME COGNOME
Consigliera
nella causa iscritta al n. 41 / 2025 RG
promossa da
Avv. NOME COGNOME
appellante
principale / appellato incidentale
contro
Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME appellata principale / appellante incidentale
RAGIONE_SOCIALE
Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME
appellata
avente ad oggetto: appello principale ed incidentale della sentenza n. 757/2024 del Tribunale di Pisa quale giudice del lavoro, pubblicata il 9 dicembre 2024
All’esito della camera di consiglio dell’udienza 16 settembre 2025, con lettura del dispositivo, ha emesso la seguente
SENTENZA
Questa in sintesi la vicenda controversa, ricostruita sugli atti ed i documenti delle parti:
era stato dipendente a tempo indeterminato della
il rapporto era stato risolto con licenziamento per superamento del periodo di comporto, intimato con lettera 10 gennaio 2023
con lettera 1° febbraio 2023, il lavoratore aveva impugnato il licenziamento
con lettera 6 febbraio 2023, la società aveva revocato il licenziamento e, nel contempo, aveva sospeso il rapporto in attesa che il medico competente rivedesse la valutazione di idoneità alle mansioni
la visita del medico competente si era svolta il 27 febbraio 2023, e si era conclusa con la conferma del giudizio di idoneità
preso atto di tale esito, con lettera 9 marzo 2023, la società aveva richiamato il lavoratore in servizio, convocandolo per il 13 marzo 2023
-con lettera 13 marzo 2023, l’avv. NOME COGNOME per conto del lavoratore aveva comunicato alla società di avere impugnato il giudizio medico di idoneità
con lettera 14 marzo 2023 (inviata al solo avv. COGNOME) la società aveva preso atto dell’assenza del lavoratore dal giorno precedente
la visita relativa alla impugnazione del giudizio del medico competente si era svolta il 18 aprile 2023, e si era conclusa nuovamente con la conferma della idoneità alle mansioni seppur con prescrizioni
preso atto di tale esito, con lettera PEC 18 aprile 2023 (di nuovo inviata al solo avv. COGNOME, la società aveva richiamato il lavoratore in servizio, convocandolo per il successivo 19 aprile 2023
da quel momento, il lavoratore non si era mai presentato in servizio né aveva offerto la prestazione
con lettera 26 aprile 2023, ricevuta dal lavoratore il 2 maggio 2023, la società aveva mosso la prima contestazione disciplinare di assenza ingiustificata relativa ai giorni dal 19 fino alla stessa lettera del 26
il lavoratore non aveva formulato alcuna giustificazione
con lettera 8 maggio 2023, ricevuta dal lavoratore il 10 maggio 2023, per tale assenza ingiustificata la società aveva applicato la sanzione disciplinare di 3 giorni di sospensione (sanzione pacificamente non scontata)
con lettera 8 maggio 2023, ricevuta dal lavoratore il 10 maggio 2023, la società aveva mosso la seconda contestazione disciplinare di assenza ingiustificata relativa ai successivi giorni, 27 e 28 aprile, 2, 3, 4, 5 e 8 maggio
neanche in questo caso il lavoratore aveva formulato alcuna giustificazione
infine, il rapporto era stato risolto con licenziamento per giusta causa, intimato con lettera 16 maggio 2023 riferita alla assenza ingiustificata oggetto della seconda contestazione, aggravata dalla recidiva relativa alla assenza ingiustificata, già sanzionata sulla base della prima contestazione.
aveva convenuto avanti al Tribunale di Pisa le società e (quest’ultima impresa di somministrazione coinvolta nella prima fase del rapporto fra le parti, prima che il lavoratore fosse assunto da con un ricorso che includeva domande retributive, risarcitorie e l’impugnazione del licenziamento.
Il Tribunale aveva separato l’impugnazione del licenziamento dal resto del ricorso, e sulla base degli atti l’aveva respinta con la seguente motivazione:
l’addebito disciplinare si riferiva all’assenza ingiustificata 27 aprile / 8 maggio 2023, aggravata dalla recidiva rappresentata dalla precedente assenza ingiustificata 19 / 26 aprile già sanzionata in via disciplinare
il ricorrente aveva negato di avere mai ricevuto la comunicazione 18 aprile della società che gli intimava di riprendere servizio, affermando che ciò sarebbe stato necessario dopo l’esito del ricorso da lui proposto contro il giudizio di idoneità formulato dal medico competente, che non gli poteva essere contestata alcuna assenza ingiustificata a decorrere dal 19 aprile 2023 in poi, e che quindi il licenziamento era infondato
ai sensi dell’art 82 CCNL, le assenze ingiustificate rappresentavano giusta causa di licenziamento se superavano i 4 giorni consecutivi
in concreto, tale durata era ampiamente superata dalle assenze (27 aprile / 8 maggio) oggetto della contestazione disciplinare posta a base del licenziamento, pacificamente ingiustificate
il ricorrente era consapevole della necessità di riprendere servizio quantomeno da quando gli era stata comunicata la prima contestazione disciplinare del 26 aprile (relativa alle precedenti assenze 19 / 26 aprile)
la gravità della condotta del lavoratore era avvalorata dal fatto che, già con la precedente comunicazione del 9 marzo 2023, la società lo aveva invitato a riprendere servizio nel rispetto delle prescrizioni mediche
in conclusione, la giusta causa prevista dal contratto collettivo era integrata anche solo considerando le assenze oggetto della seconda contestazione (27 aprile / 8 maggio)
‘ in considerazione delle peculiarità sottese alla vicenda in esame ‘, le spese di lite erano compensate in relazione a tutte le parti.
aveva appellato la sentenza con tre motivi (esaminati di seguito sub A, B e C), chiedendo che fosse accolta l’impugnazione del licenziamento, con condanna di alla reintegra ed al risarcimento del danno, oltre alla condanna solidale al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi anche a carico (società di somministrazione parte del giudizio di primo grado).
La si era costituita, chiedendo il rigetto dell’appello principale, con conferma della legittimità del licenziamento, da ritenere fondato su giusta causa od eventualmente su giustificato motivo soggettivo. In via incidentale, a sua volta aveva censurato sia la omessa pronuncia del Tribunale sulla propria richiesta di condanna al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 cpc, sia la compensazione integrale delle spese disposta in sentenza.
La si era costituita chiedendo di dichiarare il proprio di difetto di legittimazione passiva sia per quanto riguarda il merito dell’impugnazione del licenziamento che non la riguardava, sia in punto
spese. In ogni caso, aveva sostenuto l’infondatezza dell’appello del lavoratore, chiedendone il rigetto per i motivi argomentati in sentenza e nelle difese di
Appello principale sulla legittimità del licenziamento
Motivo A)
Assenza ingiustificata insufficiente per la giusta causa perché relativa solo ai giorni dal 3 all’8 maggio 2023 Secondo il lavoratore, ai fini della contestazione disciplinare di assenza, il Tribunale aveva errato nel ritenere utilizzabili anche i giorni 27, 28 aprile e 2 maggio, dal momento che la mancata ripresa del servizio gli poteva essere addebitata soltanto a decorrere dal 3 maggio.
Infatti, seguendo il ragionamento della sentenza, egli sarebbe stato informato della necessità di riprendere servizio soltanto con la prima vicenda disciplinare.
Tuttavia, seppur datata 26 aprile, tale prima contestazione disciplinare era stata ricevuta dal lavoratore il 2 maggio, motivo per cui potevano ritenersi ingiustificate soltanto le assenze successive, appunto decorrere dal 3 maggio. Al contrario, quelle precedenti non erano avvenute con la stessa consapevolezza della necessità di riprendere servizio, perché anzi all’epoca il lavoratore era in attesa di essere riconvocato.
Quindi, potevano dirsi ingiustificate le sole assenze 3, 4, 5 e 8 maggio (4 giorni in tutto), mentre non erano tali le precedenti assenze 27, 28 aprile, e 2 maggio, che il Tribunale aveva incluso erroneamente nel calcolo della condotta rilevante ai fini disciplinari. Per contro, l’art 82 CCNL ai fini della giusta causa esigeva il superamento di 4 giorni consecutivi di assenza, che nel caso in esame doveva essere escluso.
La appellata aveva replicato che non vi era dubbio che il lavoratore e la società, erano entrambi a conoscenza del fatto che il giudizio medico di idoneità alle mansioni era stato confermato già alla visita 18 aprile. Quindi, da quello stesso momento era chiaro anche al lavoratore che egli doveva riprendere il servizio dal giorno successivo.
La circostanza era confermata nel capitolo 63) della narrativa del ricorso, a proposito del fatto che il 18 aprile il giudizio del medico competente era stato confermato, respingendo la relativa impugnazione proposta dal lavoratore.
Da quel momento, quindi, era venuto meno ogni impedimento del dipendente a ripresentarsi al lavoro, o quantomeno a fornire comunicazioni di sorta alla società, poiché le precedenti sospensioni erano pacificamente state disposte in attesa che tale giudizio medico di idoneità si consolidasse.
Ciò premesso, la necessità di riprendere servizio dal 19 aprile non derivava quindi in modo necessario dalla lettera PEC 18 aprile 2023, che la società aveva inviato al legale del lavoratore ad ulteriore garanzia di conoscenza immediata dell’esito del giudizio di impugnazione sulle valutazioni mediche.
Insomma, cessata ogni sospensione del rapporto già dal 18 aprile, una volta conclusa la vicenda sanitaria in modo pacificamente noto anche al lavoratore, la necessità di riprendere servizio dal giorno successivo si
sarebbe generata in modo automatico, e non per effetto della lettera PEC inviata in pari data al legale solo a maggiore garanzia.
Motivo B)
Mancata comunicazione formale al lavoratore del mutamento di mansioni e della data di ripresa del lavoro Secondo il lavoratore – prima della contestazione disciplinare datata 26 aprile, da lui ricevuta il 2 maggio, oggetto del motivo A – nessuna comunicazione poteva essere ritenuta valida quanto alla sua chiamata in servizio e, di conseguenza, nessuna assenza ingiustificata poteva essergli contestata.
Infatti, il precedente invito a riprendere servizio oggetto della lettera PEC 18 aprile 2023 non era stato inviato a lui personalmente, bensì al legale che tuttavia non lo aveva informato. L’invio al solo legale, peraltro, dimostrava la malafede della società, la quale al contrario aveva invece inviato tutte le altre anche personalmente al lavoratore.
La medesima mala fede era avvalorata dal fatto che stessa lettera PEC 18 aprile con cui si intimava di rientrare al lavoro indicava una data di ripresa del servizio già dal successivo 19 aprile.
Per tale fondamentale comunicazione il difensore non poteva rappresentare ‘ domicilio eletto ‘ dal lavoratore (come dimostrato dal fatto che tutte le comunicazioni precedenti e successive erano state indirizzate invece anche alla residenza del lavoratore), poiché fino a quel momento il legale si era limitato a comunicare intenti e contestare comportamenti diversi rispetto alla questione relativa alla data di ripresa del servizio.
Non essendo domiciliatario del lavoratore, il legale nemmeno era tenuto ad informarlo di avere ricevuto la comunicazione di ripresa del servizio, a maggior ragione già dal giorno successivo. Infatti, fra legale e cliente tale comunicazione non era avvenuta, e quindi – come detto al motivo A – fino al 2 maggio 2023 il lavoratore era rimasto all’oscuro della necessità di presentarsi al lavoro.
La appellata – ribadito che la ripresa del servizio sarebbe stata doverosa già all’esito del giudizio medico del 18 aprile – aveva replicato che la comunicazione dello stesso 18 aprile era indirizzata al solo legale in modo coerente con il fatto che in precedenza era stato proprio l’avv. COGNOME ad indirizzare alla società la comunicazione del 13 marzo.
In quest’ultima lettera, l’avv. COGNOME aveva infatti riferito la volontà del cliente di impugnare il giudizio medico di idoneità reso alla visita 27 febbraio, e di avere già presentato ricorso in tal senso (l’espressione utilizzata dal legale era stata infatti ‘ Redigo la presente a nome e per conto del signor Vi comunico che lo stesso intende impugnare ed ha già presentato ricorso ..’).
Il lavoratore avrebbe così conferito un mandato specifico al legale per la vicenda relativa all’impugnazione del giudizio medico, e che di conseguenza lo avrebbe abilitato a ricevere le comunicazioni relative all’esito di tale procedura, nell’ambito delle quali il sollecito alla ripresa del servizio rappresentava un ultimo, necessario, sviluppo.
Prima della lettera PEC 18 aprile era, infatti, stata comunicata al solo legale anche la lettera del 14 marzo, con la quale la società aveva risposto nell’immediato alla precedente comunicazione 13 marzo dello stesso legale quanto al fatto che il lavoratore non avrebbe ripreso servizio perché aveva impugnato il giudizio medico di idoneità alla mansione.
Insomma, le uniche due comunicazioni inviate esclusivamente al legale (14 marzo e 18 aprile) inerivano entrambe alla procedura di impugnazione del giudizio medico, per la quale il lavoratore aveva conferito mandato al legale, eleggendo domicilio presso di lui.
Da questo punto di vista, era coerente che le altre comunicazioni intercorse fra le parti fossero invece state rivolte al lavoratore di persona, poiché riguardavano altre vicende del rapporto di lavoro, a sua volta intrecciate con quella disciplinare (primo licenziamento per superamento del comporto a gennaio, revoca con sospensione del rapporto a febbraio, prima contestazione disciplinare di aprile, prima sanzione conservativa di maggio, seconda contestazione disciplinare di maggio, secondo licenziamento per giusta causa di maggio).
In conclusione, l’assenza ingiustificata del lavoratore sarebbe iniziata già dal 19 aprile giorno successivo alla conferma del giudizio di idoneità, e si sarebbe protratta in modo ininterrotto in tutto il periodo successivo fino alla lettera della prima contestazione disciplinare del 26 aprile (ricevuta il 2 maggio), e ancora dopo le lettere 8 maggio, una che aveva applicato la sanzione della sospensione di 3 giorni, e l’altra che aveva contestato la ulteriore assenza ingiustificata fino allo stesso 8 maggio.
Del resto, il lavoratore non solo non aveva ripreso servizio né offerto la propria prestazione in risposta ad alcuna di tali comunicazioni datoriali, ma nemmeno aveva in qualche modo giustificato la propria condotta per il complessivo periodo di mancata prestazione per mese continuativo, dalla fine della sospensione (18 aprile) al licenziamento (16 maggio).
Secondo il Collegio, i motivi A) e B) possono essere condivisi solo in parte, senza arrivare tuttavia a concludere per la illegittimità del licenziamento.
Prima di tutto, il rapporto di lavoro era stato sospeso di riflesso alla vicenda relativa alla impugnazione del giudizio medico, e quindi dopo la sua conclusione era necessario che la datrice comunicasse al lavoratore la ripresa del servizio.
Ciò è confermato anche da quanto era avvenuto in precedenza quando, dopo la visita del 27 febbraio conclusa col giudizio di idoneità, la lettera 9 marzo della società aveva convocato il lavoratore perché riprendesse servizio.
Non si può quindi concordare con la società appellata a proposito del fatto che – di riflesso all’esito del giudizio medico del 18 aprile nel quale era stata confermata la sua idoneità alle mansioni – la ripresa del
servizio doveva essere oggetto di una iniziativa obbligatoria che il lavoratore avrebbe dovuto prendere, ripresentarsi in modo autonomo già il 19 aprile.
Ritenuta quindi la necessità che il lavoratore fosse appositamente convocato dalla società per riprendere servizio dopo la visita 18 aprile, si tratta di stabilire se la comunicazione PEC inviata in pari data al solo legale fosse valida in tal senso.
Secondo il Collegio, la risposta è negativa.
La precedente lettera 13 marzo con la quale l’avv. COGNOME aveva comunicato la impugnazione del giudizio medico per conto del lavoratore non conteneva infatti alcuna elezione di domicilio, e di conseguenza non autorizzava la società ad inviare la convocazione al legale, piuttosto che all’interessato.
Ai sensi degli artt. 47 cc e 141 comma 2 cpc (Cass. n. 32464/2023), l’elezione di un domicilio speciale per determinati atti è valida se effettuata dall’interessato (nel caso di specie, il lavoratore) purché con dichiarazione espressa e forma scritta. E la notifica presso il domicilio eletto è obbligatoria solo quando tale elezione è formulata in modo espresso e per iscritto.
La giurisprudenza ha interpretato le due norme ora citate sottolineando il carattere formale dell’atto di elezione di domicilio, quale espressione di volontà univoca, che sostituisce tutti gli altri parametri di individuazione spaziale della persona interessata alle comunicazioni inerenti determinati atti, dovendosi perciò escludere che la stessa volontà si possa ricostruire per fatti concludenti.
In tal senso, la elezione di domicilio è eccezione alla regola generale per la quale le comunicazioni vanno indirizzate al domicilio della persona interessata ai medesimi atti (nel caso di specie il domicilio del lavoratore, al quale erano state pacificamente indirizzate tutte le comunicazioni datoriali diverse dalle lettere 14 marzo e 18 aprile).
Ai fini che interessano non si tratta di stabilire se la PEC 18 aprile rivolta al solo avvocato fosse effettuata dalla società in buona o malafede (come invece lungamente hanno dibattuto gli atti di entrambe le parti).
Piuttosto, siccome la società invoca una elezione di domicilio presso il legale, e la conseguente validità della comunicazione inviata solo a tale domicilio, il criterio di giudizio deve essere quello relativo alla validità della elezione di domicilio, che invece per i motivi da già detti nel caso in esame va esclusa.
Di conseguenza, al caso in esame non può essere applicata la presunzione di conoscenza da parte del destinatario ai sensi dell’art. 1335 cc.
Ciò premesso, ne discende che il primo atto formale pacificamente rivolto al lavoratore, con il quale la società aveva manifestato la intenzione che egli riprendesse servizio dopo il giudizio medico 18 aprile, era stata la lettera di contestazione disciplinare datata 26 aprile, pacificamente ricevuta il 2 maggio.
Il data relativo allo scarto di data, fra la redazione della lettera ed il suo ricevimento, era stato trascurato dal Tribunale, che aveva ritenuta ingiustificata l’assenza decorrente già dallo stesso 27 aprile.
Secondo il Collegio, invece, l’effetto di convocazione in servizio derivante da quella prima contestazione disciplinare non poteva essere collegato che al ricevimento del 2 maggio, rendendo così ingiustificata l’assenza dei quattro giorni lavorativi 3, 4, 5 e 8 maggio.
E ancora, ai fini della giusta causa, le assenze ingiustificate dal 19 al 26 aprile non possono essere valutate in modo diretto perché il relativo potere disciplinare si era consumato dalla datrice applicando la sanzione di tre giorni di sospensione oggetto della lettera 8 maggio.
La società, infatti, non aveva atteso che le assenze si cumulassero, dal 19 aprile all’8 maggio, per effettuare una unica contestazione, bensì aveva frazionato il relativo addebito nei seguenti termini:
per le assenze dal 19 al 26 aprile, aveva applicato la sanzione sospensiva
per le assenze dal 27 aprile all’8 maggio, aveva inflitto il licenziamento sulla base della giusta causa prevista dal contratto collettivo per il superamento dei quattro giorni di assenza ingiustificata (aggravata dalla recidiva con l’addebito precedente).
Fermo restando che la sanzione sospensiva non è stata impugnata nel presente giudizio, e quindi quella assenza ingiustificata è pacifica, non si tratta di giorni che possono essere sommati a quelli della seconda contestazione disciplinare al fine di ampliare il calcolo delle giornate rilevanti ai fini della giusta causa di licenziamento.
Il contratto collettivo (art. 82) prevede come giusta causa il superamento di quattro giorni consecutivi di assenza ingiustificata, mentre nel caso in esame i giorni di assenza ingiustificata, effettivamente tali e validamente contestati, sono solo quattro (3/8 maggio).
Tuttavia, secondo il Collegio, ciò non impone di accogliere la impugnazione del licenziamento, il quale comunque risulta illegittimo in quanto fondato su giustificato motivo soggettivo.
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel senso che , Cass. n. 33811/2021. Lo stesso principio era enunciato da Cass. n. 17321/2020, con l’aggiunta che comunque .
Inoltre (Cass. n. 14777/2021, n. 20698/2024), qualora lo stesso contratto collettivo colleghi ad un determinato comportamento del lavoratore la sola sanzione conservativa, il giudice è invece vincolato in tal senso, trattandosi di condizione di maggior favore espressamente fatta salva dalla legge. In quest’ultimo caso, il licenziamento deve ritenersi illegittimo prevalendo la valutazione dell’autonomia collettiva nel
graduare gli addebiti, che ha qualificato quel determinato comportamento come un illecito disciplinare di grado inferiore a quelli in grado di risolvere il rapporto.
, Cass. n. 20780/2022.
, Cass. n. 36427/2023.
Così ricostruita la complessa regola di giudizio in materia disciplinare da applicare al caso in esame, va richiamato il contenuto di interesse della contrattazione collettiva:
secondo art. 61 in tema di Assenze, ogni assenza deve essere comunicata in tempo utile per la programmazione aziendale e comunque entro le prime quattro ore del giorno in cui si verifica, dovendola documentare entro il giorno successivo a pena di sanzione disciplinare; la mancata attivazione dei sistemi di rilevazione della presenza equivale ad assenza, a meno che non sia incolpevole e la presenza del lavoratore in servizio risulti in modo univoco
secondo l’art. 81 in tema di Ammonizioni scritte, multe e sospensioni, incorre in uno di tali provvedimenti disciplinari chi non si presenta al lavoro come previsto dall’art. 61, o abbandona il lavoro senza motivo giustificato (lettera a)
l’art. 82 in tema di Licenziamento per mancanze , regola esclusivamente l’ipotesi della giusta causa riferendola, fra l’altro, alle assenze ingiustificate prolungate oltre quattro giorni consecutivi (lettera b)
Secondo il Collegio, tali norme collettive non consentono di concludere che le parti volessero escludere la sanzione espulsiva per i casi di maggiore gravità rispetto alle semplici assenze di cui all’art. 61, o per quelli in cui ricorrano elementi aggiuntivi rispetto alla fattispecie ivi tipizzata per la sanzione sospensiva.
L’art. 61 CCNL, riferito fondamentalmente alla violazione delle regole relative alla comunicazione della assenza dal servizio, stabilisce tempi e modi per comunicare le relative evenienze, alle quali equipara
l’irregolare utilizzo dei sistemi di rilevazione delle presenze, mentre l’art. 81 lettera a) assimila l’abbandono del posto di lavoro alla violazione dell’art 61.
Per contro, la vicenda in esame si presenta indubbiamente di maggiore gravità rispetto alle semplici assenze di cui all’art. 61, anche perché fornita di elementi aggiuntivi rispetto alla fattispecie ivi prevista, finendo per connotare la condotta complessiva del lavoratore con gravità tale da imporre la risoluzione del rapporto.
A tal fine vanno considerate le seguenti circostanze:
-> se è vero che una volta conclusa la causa di sospensione del rapporto, il lavoratore doveva essere riconvocato in servizio dalla società, è pacifico che già dal 18 aprile 2023 egli era informato del fatto che il rapporto avrebbe dovuto essere ripreso e la società lo avrebbe potuto convocare in qualsiasi momento
-> dal 2 maggio 2023, il lavoratore era sicuramente a conoscenza del fatto che la società lo riteneva assente ingiustificato per violazione dell’obbligo di riprendere servizio (e nemmeno si era giustificato o aveva risposto in qualsiasi modo alla contestazione di assenza ingiustificata 19 / 26 aprile)
-> dall’8 maggio 2023, egli era sicuramente informato del fatto che la società lo riteneva ancora assente ingiustificato per violazione del medesimo obbligo dal 27 aprile all’8 maggio (e di nuovo, nemmeno si era giustificato o aveva risposto in qualsiasi modo a tale ulteriore contestazione)
il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per giusta causa per il solo motivo che le assenze ingiustificate validamente contestate erano state solo quattro (mentre il contratto collettivo esigeva di superare tale limite con una quinta assenza ingiustificata consecutiva).
Insomma, il lavoratore -che non aveva reso la prestazione dal 19 aprile al licenziamento del 16 maggio – in seguito alle due contestazioni disciplinari, pacificamente ricevute di persona, né si era presentato in servizio né aveva offerto formalmente la prestazione.
Anzi, egli nemmeno aveva risposto alle stesse contestazioni per giustificare in qualche modo il proprio inadempimento o comunque riferire spiegazioni di sorta dell’accaduto.
Piuttosto, era rimasto inerte e silenzioso, non aveva impugnato in via giudiziale la sanzione disciplinare per la prima contestazione di assenza (19/26 aprile) e, con l’impugnazione giudiziale del licenziamento per la seconda (27 aprile/8 maggio), si era limitato a far valere il mancato superamento del limite di quattro giorni consecutivi richiesti dal contratto collettivo ai fini della giusta causa.
In altri termini, secondo il Collegio, è inevitabile considerare che la complessiva condotta del lavoratore non esprimeva alcuna buona fede contrattuale, mentre l’inadempimento relativo ai quattro giorni consecutivi di assenza ingiustificata era pacifico, oltre ad essere aggravato dalla recidiva relativa ai numerosi giorni della precedente assenza, anch’essa ingiustificata.
Passando quindi alle conseguenze della applicazione della disciplina collettiva in materia disciplinare al caso in esame, la complessiva condotta ora ricostruita non poteva esaurirsi di nuovo con una sanzione
conservativa ai sensi dell’art. 81 (che per la seconda volta si sarebbe risolta in una ulteriore sospensione, analoga a quella già disposta per la precedente condotta oggetto di recidiva), seppur non giungeva alla più grave ipotesi di giusta causa dell’art. 82 (mancando un ulteriore giorno consecutivo di assenza ingiustificata per integrare la lettera b).
Il contratto collettivo nemmeno regolava il licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo, limitandosi a prevedere da un lato le sanzioni sospensive (art. 81), e dall’altro la giusta causa (art. 82).
Di conseguenza, richiamata la giurisprudenza sopra citata a proposito della nozione legale di giusta causa e giustificato motivo soggettivo, anche alla luce dell’interpretazione delle norme collettive ora dette, la vicenda in esame va riqualificata come motivo soggettivo adeguato a risolvere il rapporto, seppur non necessariamente in modo immediato.
In conclusione, nonostante la parziale fondatezza di alcune delle censure dell’appello del lavoratore, l’impugnazione del licenziamento va respinta all’esito della conversione della giusta causa in giustificato motivo soggettivo, come peraltro richiesto in via subordinata dalla stessa difesa della datrice (pagg. 16/17 memoria di costituzione appellata).
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel senso che , Cass. n. 12884/2014, conformi n. 21665/2018 e n. 13023/2019.
Motivo C)
Errata valutazione sulla validità della comunicazione al difensore invece che al lavoratore
Secondo il lavoratore, il Tribunale aveva errato nel ritenere valida la comunicazione al difensore invece che al lavoratore anche da un diverso punto di vista.
Poiché la lettera 18 aprile che intimava la ripresa del servizio conteneva altresì comunicazioni relative ad un cambio di mansioni (conseguenti alle limitazioni imposte dal medico competente che erano state confermate in seguito alla impugnazione di tale giudizio da parte del lavoratore), ed a nuove regole di sicurezza con adozione di DPI, a maggior ragione doveva essere rivolta personalmente al lavoratore a pena di nullità.
Infatti, l’art. 3 D. Lgvo n. 81/2015 stabilisce a pena di nullità l’obbligo del datore di comunicare al lavoratore il mutamento delle mansioni di cui all’art 2103 cc.
A prescindere dal fatto che il presente motivo è assorbito dall’esito dei precedenti motivi A) e B), dal momento che il licenziamento si ritiene giustificato a prescindere dalla convocazione in servizio con lettera pec 18 aprile, il motivo C) è comunque infondato.
La norma qui invocata dall’appellante non va infatti applicata al caso in esame poiché la comunicazione sulla ripresa del servizio non conteneva alcun mutamento delle mansioni, bensì ribadiva le prescrizioni già imposte dal medico competente nel giudizio di idoneità, confermato all’esito dell’impugnazione del lavoratore. Si trattava di limitazioni relative all’uso del corsetto lombare ed al peso movimentabile, prescrizioni mediche obbligatorie ai sensi dell’art. 41 D. Lgvo n. 81/2008, del tutto estranee a vere e proprie modifiche delle mansioni.
Peraltro, la stessa norma qui invocata dall’appellante non si riferisce ad ogni ipotetica modifica, anche di dettaglio, del ruolo professionale, bensì esclusivamente al vero e proprio demansionamento disposto in modo unilaterale dal datore, da formalizzare per iscritto a pena di nullità.
Appello incidentale sul risarcimento del danno art. 96 cpc
La datrice sosteneva che l’intera costruzione dell’appello era infondata, denotando altresì malafede sia nella condotta sostanziale del lavoratore sia nella sua difesa giudiziale.
E, con il primo motivo di appello incidentale, censurava la omessa pronuncia da parte del Tribunale sulla propria domanda svolta in proposito ai sensi dell’art. 96 cpc.
Secondo il Collegio, il presente motivo di appello incidentale è infondato, dal momento che la asserita malafede del lavoratore presupponeva prima di tutto che egli fosse stato validamente convocato in servizio con la lettera PEC 18 aprile inviata al solo avvocato, affermazione che invece il Collegio non ha condiviso (arrivando a ritenere il licenziamento comunque legittimo all’esito di un diverso ragionamento, che portava a qualificarlo piuttosto in termini di giustificato motivo soggettivo).
Sempre ai sensi dell’art. 96 cpc, nemmeno convinceva la prospettazione di un danno risarcibile (‘ vero e proprio tesoretto ‘, pag. 14 memoria di costituzione in appello) derivante dalle indennità risarcitorie previste per il caso di licenziamento illegittimo, dal momento che al contrario tali utilità non sono state riconosciute al lavoratore né in primo né in secondo grado.
Appello incidentale sulla compensazione delle spese di lite di primo grado
All’esito della presente decisione, la soccombenza del lavoratore per rigetto dell’impugnazione del licenziamento comporta la sua condanna alle spese anche per il primo grado, non ravvisandosi motivi di sorta per la loro compensazione, anche alla luce della motivazione assolutamente generica formulata in proposito dal Tribunale.
Quanto al fatto che l’appello del lavoratore aveva chiamato in causa anche l’appellata chiedendone la condanna solidale al pagamento delle spese di lite di primo grado insieme alla datrice, all’odierna udienza di discussione si è appurato che:
-aveva ricevuto la notifica dell’appello solo quale litisconsorte processuale (per essere rimasta erroneamente parte anche del presente giudizio in tema di licenziamento dopo la separazione dal resto del ricorso proposto in primo grado dal lavoratore)
la richiesta di condanna solidale al pagamento delle spese di lite a carico della stessa derivava da un errore materiale nella formulazione delle conclusioni dell’appello principale, alle quali alla odierna udienza la difesa dell’appellante principale aveva poi rinunciato.
Spese di lite di secondo grado e Contributo unificato
Il lavoratore, soccombente sull’appello principale svolto nei confronti della sola deve essere condannato al pagamento anche delle spese di lite di secondo grado in favore della stessa società.
Quanto alla posizione di per i motivi già detti, le spese di lite di secondo grado vanno compensate per intero.
Nei confronti del lavoratore, soccombente sull’appello principale, vanno dichiarati i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente decidendo, respinge l’appello principale di e conferma la sentenza quanto al rigetto della impugnazione del licenziamento, da ritenere legittimo in quanto fondato su giustificato motivo soggettivo.
In accoglimento dell’appello incidentale della in tema di spese di lite, condanna al pagamento in favore della società delle spese di entrambi i gradi, liquidate in €. 3.689,00 per il primo ed in €. 3.473,00 per il secondo grado, oltre spese generali 15%, Iva e Cpa.
Respinge l’appello incidentale della in tema di risarcimento del danno ex art. 96 cpc.
Compensa per intero le spese di lite fra e la .
Dichiara che nei confronti di sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
Firenze, 16 settembre 2025.
La Consigliera est.
La Presidente dr. NOME COGNOME
dr. NOME COGNOME