Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 319 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 319 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
Oggetto
Impiego pubblico Passaggio da I.P.I. a M.I.S.E. Riconoscimento anzianità e quantificazione assegno personale
R.G.N. 3209/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 22/11/2023
CC
sul ricorso 3209-2019 proposto da:
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente principale – controricorrente incidentale contro
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1838/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/07/2018 R.G.N. 3223/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Roma, pronunciando sull’appello principale del Ministero dello Sviluppo Economico e
sull’impugnazione incidentale di NOME COGNOME ha riformato solo parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accertato il diritto del COGNOME, dipendente dell’I.P.I. -Istituto per la Promozione Industriale -transitato nei ruoli del Ministero ai sensi del d.l. n. 78/2010, al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nell’ente di provenienza ed all’inclusione nell’assegno personale riassorbibile del premio di produttività, dei versamenti effettuati dal datore al fondo di previdenza complementare RAGIONE_SOCIALE, del premio annuale RAGIONE_SOCIALE, del controvalore della polizza per il caso di morte nonché di quella per infortuni professionali ed extralavorativi, ed aveva invece rigettato la domanda quanto alla indennità di funzione;
la Corte territoriale ha evidenziato che al momento della soppressione l’I.P.I. aveva acquisito la personalità giuridica di diritto pubblico, sicché il passaggio dedotto in causa trova la sua disciplina nell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, rispetto al q uale nessun elemento di specialità presenta l’art. 7 del d.l. n. 78/2010, che conferma la continuazione del rapporto e garantisce, al pari della disposizione di carattere generale, la conservazione del trattamento economico goduto fino al momento della sop pressione dell’ente di provenienza;
da ciò il giudice d’appello ha tratto la conseguenza che al COGNOME dovesse essere riconosciuta l ‘ anzianità di servizio; 4. quanto al trattamento retributivo la Corte distrettuale ha:
escluso la garanzia della conservazione limitatamente al premio di produttività ed alla indennità di funzione, trattandosi di voci retributive prive dei requisiti di fissità e di continuità, che devono congiuntamente ricorrere;
parimenti escluso dal computo dell’assegno personale i versamenti effettuati al fondo Previgen, in ragione della natura previdenziale e non retributiva della quota versata;
c) incluso, invece, il controvalore delle polizze assicurative in quanto i fringe benefits , hanno natura retributiva e non costituiscono atto di liberalità;
ritenuto inammissibile l’appello limitatamente al premio annuale RAGIONE_SOCIALE in ragione della genericità della censura, priva della specifica necessaria attinenza al decisum della sentenza impugnata;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dello Sviluppo Economico sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali ha opposto difese NOME COGNOME che ha notificato ricorso incidentale affidato a tre censure, al quale il Ministero ha a sua volta replicato con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. il ricorso principale, con il primo motivo formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78/2010, dell’art. 2112 cod. civ., dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 e rei tera la tesi, non condivisa dalla Corte territoriale, dell ‘ inapplicabilità dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 2112 cod. civ., al quale la prima disposizione rinvia, in ragione della natura privatistica dell’I.P.I. nonch é della specialità della disciplina dettata dal citato art. 7;
ne trae la conseguenza che ha errato il giudice di merito nel riconoscere l’anzianità di servizio e nel non considerare che ai dipendenti dell’ente soppresso transitati nei ruoli ministeriali era stata garantita solo la conservazione delle voci fisse e continuative del trattamento fondamentale ed accessorio;
2. la seconda censura del ricorso principale deduce, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 7 del d.l. n. 78/2010 e addebita alla sentenza gravata di avere erroneamente incluso nell’assegno personale i premi delle polizze assicurative, che
non costituiscono retribuzione in quanto non si pongono in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa;
3. con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia, ex art. 360 n. 4 cod proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 cod. proc. civ. e, richiamata giurisprudenza di questa Corte, evidenzia che il Ministero aveva censurato la sentenza di primo grado nella sua interezza e quanto al premio annuale versato alla cassa assistenza Asfalisis aveva espressamente dedotto che non si trattava di una voce del trattamento retributivo fondamentale e accessorio ed aveva espressamente invocato, a sostegno della tesi, l’art. 51 del d.P.R. n. 917/1986, che non include i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro nella base imponibile reddituale;
4. il ricorso incidentale denuncia, con il primo motivo ricondotto al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d.l. n. 78/2010, dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 2112 cod. civ., degli a rtt. 200 e 202 del d.P.R.n. 3/1957, dell’art. 3 comma 576 della legge n. 537/1993, dell’art. 1, comma 226, della legge n. 266/2005, dell’art. 14, comma 15, del d.l. n. 98/2011, dell’art. 48 del contratto collettivo aziendale per il personale dipendente del l’I.P.I., dell’accordo del 15 dicembre 2005;
il ricorrente incidentale censura il capo della decisione che ha escluso il carattere fisso e continuativo del premio di produttività, in relazione al quale ripercorre l’evoluzione nel tempo della disciplina contrattuale per giungere a sostenere che l’emol umento non era condizionato al raggiungimento di specifici obiettivi ed era collegato alla sola presenza in servizio, che non costituisce elemento di carattere precario;
5. la seconda critica è formulata ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ. e con la stessa il ricorrente incidentale, oltre ad invocare la normativa già indicata nella rubrica del primo motivo, che si asserisce violata dalla Corte territoriale, si duole
della violazione dell’art. 50 del contratto collettivo aziendale per il personale dipendente dell’I.P.I. nonché degli artt. 115, 116, 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.; il ricorrente incidentale sostiene che, a prescindere dalla natura del fondo di previdenza complementare, le quote poste a carico del datore di lavoro erano entrate a far parte del trattamento economico complessivamente spettante al dipendente e, di conseguenza, ne andava riconosciuta la natura retributiva, desumibile anche dalla disciplina contrattuale e dalla documentazione in atti;
denuncia, poi, l’assenza di motivazione perché, a suo dire, il giudice d’appello avrebbe dovuto dare conto del contenuto dei documenti ed indicare le ragioni per le quali dagli stessi non si poteva desumere la natura retributiva dei versamenti;
6. infine con la terza critica il ricorrente incidentale censura il capo della sentenza relativo alla indennità di funzione e, oltre a reiterare la denuncia di violazione delle norme di legge indicate nella rubrica degli altri motivi, addebita alla Corte di avere violato l’art. 46 comma 2 del contratto collettivo aziendale e di essere incorsa in error in procedendo , ricondotto al vizio di cui all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 132, 115, 116 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.;
riportato nel ricorso il contenuto della clausola riguardante le «indennità connesse a particolari posizioni organizzative o a incarichi specifici» il ricorrente sostiene che si era in presenza di una componente retributiva fissa e continuativa, che doveva essere inclusa nell’assegno personale essendo irrilevante che la stessa potesse eventualmente non essere più corrisposta con il venir meno della funzione;
preliminarmente rileva il Collegio che non si ravvisano ragioni idonee a giustificare il rinvio a nuovo ruolo della causa per la successiva trattazione in udienza pubblica, sollecitata dal
ricorrente incidentale con l’istanza depositata il 9 novembre 2023;
all’esito della riformulazione dell’art. 375 cod. proc. civ., operata dal d.lgs. n. 149/2022, la Corte di Cassazione pronuncia in pubblica udienza unicamente nei casi di ricorso per revocazione ex art. 391 quater cod. proc. civ. e di particolare rilevanza della questione di diritto, mentre delibera con ordinanza resa all’esito della camera di consiglio ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., «in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza» ( art. 375, comma 2, n. 4 quater );
nessuna delle due condizioni ostative al procedimento camerale ricorre nella fattispecie, atteso che sulla questione controversa questa Corte si è già pronunciata (cfr. Cass. n. 641/2022; Cass. 23987/2022; Cass. n. 14202/2023) e gli scritti difensivi delle parti non prospettano argomenti nuovi, idonei a sollecitare un ripensamento dei principi già espressi, ai quali va data continuità per le ragioni di seguito illustrate; 8. i primi due motivi del ricorso principale, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono fondati perché la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto applicabile l’art. 31 del d.lgs. n. 165/ 2001 e riconos ciuto l’anzianità di servizio, a prescindere da qualsiasi incidenza sulla conservazione del trattamento economico in precedenza goduto, non è conforme all’orientamento già espresso da questa Corte nelle motivazioni delle pronunce citate con le quali si è osservato che, seppure al momento della soppressione l’I.P.I. aveva già acquisito la personalità di diritto pubblico (per le ragioni indicate da Cass. nn. 28409, 28624 del 2020 e da Cass. n. 40399 del 2021), nondimeno al fenomeno successorio che viene in rilievo non è a pplicabile l’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 bensì l’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78/2010, che costituisce norma speciale, e che garantisce la sola conservazione del
trattamento retributivo fondamentale ed accessorio, caratterizzato da fissità e continuità;
si è detto, in particolare, che la disposizione «richiama una distinzione tipica dell’impiego pubblico contrattualizzato (art. 45 d.lgs. n. 165 del 2001) nel cui ambito il trattamento fondamentale è quello diretto a retribuire la prestazione ‘base’ del di pendente, ossia la prestazione corrispondente all’orario ordinario di lavoro ed alla professionalità media della qualifica rivestita, mentre quello accessorio si pone in nesso di corrispettività con la performance individuale, con quella organizzativa e co n lo svolgimento di attività ‘particolarmente disagiate, ovvero pericolose o dannose per la salute’ (art. 45, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 nel testo applicabile ratione temporis);
la distinzione fra le componenti non riposa sui requisiti di fissità e continuità in quanto gli stessi, connaturati al trattamento fondamentale, possono ricorrere anche per quelle voci del trattamento accessorio che siano correlate non al conseguimento di specifici obiettivi, bensì al profilo professionale o alle peculiarità dell’amministrazione di appartenenza;
se ne è tratta la conseguenza che in tutte quelle fattispecie nelle quali venga in rilievo il principio della irriducibilità della retribuzione è necessario accertare se la voce che il dipendente rivendicata in relazione al divieto di reformatio in peius , abbia carattere retributivo e sia certa nell’ an e nel quantum ;
8.1. quanto all’anzianità di servizio è stato osservato che anche nei casi di applicazione dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 ( non invocabile nella fattispecie per le ragioni già dette) e di trasferimento di azienda, la stessa non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore di lavoro e deve essere salvaguardata in modo assoluto solo ove ad essa si correlino benefici economici ed il suo mancato riconoscimento comporti un peggioramento del
trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito;
l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario né può essere opposta al nuovo datore di lavoro per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative ( cfr. Cass. n. 641 del 2022 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione);
8.2. la sentenza impugnata non è conforme all’orientamento espresso, che va qui ribadito, perché, oltre a ritenere erroneamente applicabile l’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, pur confrontandosi anche con la disciplina dettata dall’art. 7 del d.l. n. 78/2010, ha incluso nell’assegno personale il premio corrisposto per le polizze assicurative, desumendone il carattere retributivo dalla sola assenza di liberalità, senza considerare il complesso della disciplina legale e contrattuale e senza tener conto della espressa limitazione della conservazione alle voci del trattamento fondamentale ed accessorio, da intendere nei termini sopra precisati;
9. è fondato anche il terzo motivo di ricorso;
occorre evidenziare in premessa che, allorquando venga dedotto, come nella fattispecie, un error in procedendo , la Corte di cassazione è giudice del «fatto processuale» sicchè può e deve procedere all’esame diretto degli atti, non al solo controllo della motivazione della sentenza gravata, a condizione che il ricorrente abbia rispettato le regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità ( Cass. S.U. n. 8077/2012); i requisiti formali imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. sono stati assolti dal ricorrente principale, che ha
trascritto nel ricorso i passaggi salienti della sentenza di primo e ampi brani tratti dall’appello ed ha provveduto al deposito degli atti processuali posti a fondamento della censura;
ciò detto e richiamato in premessa il principio di diritto enunciato da Cass. S.U. 36481/2022 e da Cass. S.U. n. 13535/2018, osserva il Collegio che quanto alla somma annuale versata alla Cassa di Assistenza Asfalisis il Tribunale l’aveva accomunata ai ve rsamenti effettuati al fondo di previdenza complementare ed ai premi delle altre polizze assicurative e si era limitato a rilevare che si trattava «di benefici accessori riconducibili al rapporto di lavoro e non di un trattamento di previdenza integrativa, necessariamente riferibili al momento del pensionamento del dipendente»;
l’appello, oltre a svolgere censure di carattere generale sulla disciplina da applicare e sul significato da attribuire alle espressioni contenute nella disposizione speciale, censure che se integralmente accolte avrebbero travolto la decisione impugnata nella sua interezza, aveva svolto specifiche argomentazioni per avversare il capo della sentenza inerente al premio Asfalisis, in relazione al quale aveva evidenziato che si trattava di un beneficio di carattere non retributivo, per le medesime considerazioni già espresse in relazione agli altri emolumenti accomunati dalla sentenza di primo grado, ed aveva aggiunto che «non a caso l’art. 51 del T.U.I.R. ( d.P.R. 917/1986) comma 2 stabilisce espressamente – e ciò vale in particolare per la Cassa di assistenza Asfalisis – che non concorrono a formare il reddito del dipendente i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro»;
è noto che la specificità del motivo di impugnazione va valutata tenendo conto del principio secondo cui la censura deve rispondere alle argomentazioni della sentenza impugnata e, pertanto, quanto al grado di analiticità, risente del contenuto della motivazione, nel senso che ove questa sia generica o apodittica, è sufficiente affermarne l’erroneità anche me diante
l’eventuale riproposizione degli argomenti spesi nel precedente grado di giudizio, disattesi dal giudice ( cfr. fra le tante Cass. n. 15790/2016 e Cass. n. 21401/2021);
ha quindi errato la Corte territoriale nel ritenere inammissibile la censura che, lungi dall’essere assolutamente generica sviluppa argomenti idonei a contrastare le ragioni poste dal Tribunale a fondamento dell’accoglimento della domanda;
10. il ricorso incidentale è inammissibile in tutte le sue articolazioni perché sotto l’apparente denuncia di errores in procedendo e della falsa applicazione di plurime disposizioni di legge indicate nella rubrica dei motivi, nella sostanza si limita a denunciare la violazione diretta della contrattazione aziendale nonché l’errata valutazione delle risultanze processuali;
secondo il costante insegnamento di questa Corte quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche per mezzo di specifiche argomentazioni intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina; diversamente il motivo è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge (cfr. fra le tante Cass. n. 30107/2023; Cass. n. 30823/2023; Cass. n. 31434/2023);
nella specie il ricorrente incidentale non specifica quale delle affermazioni contenute nella sentenza sarebbe in contrasto con ciascuna delle molteplici norme denunciate, e pertanto deve
ritenersi formulata in modo non idoneo la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme asseritamente violate, senza una specifica illustrazione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali il giudice di merito avrebbe errato nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia;
nella sostanza, come già detto, i motivi denunciano la violazione diretta della contrattazione aziendale ed anche sotto tale profilo sono inammissibili in quanto nel giudizio di cassazione la denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. è circoscritta ai soli contratti collettivi nazionali ( equiparati quanto al regime processuale alle norme di diritto) mentre per la contrattazione aziendale nonché, nell’impiego pubblico contrattualizzato, per la contrattazione integrativa decentrata, il sindacato di legittimità può essere esercitato soltanto con riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, nei limiti della disciplina processuale ratione temporis applicabile, ovvero ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., a condizione, per detta ipotesi, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato ma individuino i canoni interpretativi violati e le ragioni in iure di detta violazione;
i motivi, oltre a non fare neppure cenno ai canoni di ermeneutica contrattuale, inammissibilmente sollecitano una diversa valutazione delle risultanze processuali e denunciano più che la mancanza della motivazione l’insufficienza della stessa, non più rile vante all’esito delle modifiche apportate al codice di rito dal d.l. n. 83/2012;
è ius receptum l’orientamento inaugurato da Cass. S.U. n. 8053/2014 secondo cui nel nuovo assetto processuale l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità, quale violazione di legge costituzionalmente rilevante, attiene solo all’esistenza della motivazione in sé, prescinde dal
confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili», nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»;
il difetto del requisito di cui all’art. 132 cod. proc. civ. si configura, quindi, solo qualora la motivazione o manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum;
esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;
è evidente che nella fattispecie non sussiste il vizio motivazionale nei termini sopra intesi perché la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per le quali andavano esclusi in relazione agli emolumenti in contestazione (indennità di funzione, premio di produttività, versamento al fondo PREVIGEN) i requisiti di fissità e continuità;
11. in via conclusiva il ricorso principale deve essere accolto, nei limiti precisati nei punti che precedono, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso principale;
la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi ed al ricorso accolto con rinvio alla Corte d’Appello indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto enunciati nei punti 8 e 9 e
provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione;
12. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale nei limiti indicati in motivazione e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione,