Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 288 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 288 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21292-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 246/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/01/2018 R.G.N. 808/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Impiego pubblico Passaggio da I.P.I. a M.I.S.E. Riconoscimento anzianità e quantificazione assegno personale
R.G.N. 21292/2018
COGNOME
Rep.
Ud. 22/11/2023
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, adita dal Ministero dello Sviluppo Economico, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto il ricorso di NOME COGNOME ed ha rigettato la domanda dalla stessa proposta nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata presso l’I.P.I. nonché l’inclusione nell’assegno personale riassorbibile del 50% del premio di produttività, dei buoni pasto, della quota versata dal datore di lavoro al fondo di previdenza Previgen, del controvalore della polizza per morte nonché per infortuni professionali ed extralavorativi;
la Corte territoriale, pur premettendo che al momento della soppressione all’I.P.I. era stata attribuita personalità giuridica di diritto pubblico, ha rilevato che, a prescindere dalla natura pubblica o privata dell’Istituto, la materia controversa doveva essere decisa facendo applicazione della norma speciale dettata dall’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78/2010, che riconosce ai dipendenti dell’I.P.I. trasferiti nei ruoli ministeriali il diritto alla conservazione del trattamento economico fondamentale ed accessorio, limitatamente alle sole voci fisse e continuative;
il giudice d’appello ha, quindi, esaminato la disciplina contrattuale degli emolumenti in discussione e, quanto al premio di produttività, ha escluso che lo stesso fosse certo nell’ an e nel quantum, perché correlato al raggiungimento degli obiettivi ed alla presenza in servizio;
ha evidenziato il carattere assistenziale, non retributivo, del buono pasto e la natura previdenziale del versamento effettuato dal datore di lavoro al fondo Previgen;
ha parimenti escluso che la polizza per morte e per infortuni professionali ed extralavorativi avesse natura retributiva,
desumendolo dalla disciplina contrattuale ed anche da quella fiscale;
4. infine, quanto all ‘anzianità di servizio il giudice d’appello ha rilevato che la stessa assume rilievo e deve essere conservata solo qualora incida sul trattamento retributivo spettante al lavoratore all’esito del passaggio nei casi in cui dal mancato riconoscimento dell’anz ianità medesima deriverebbe un peggioramento della condizione retributiva complessiva, nella specie non allegato né dimostrato dall’appellata;
5. per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di sei motivi, ai quali il Ministero ha opposto difese con controricorso, successivamente illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 329, 342, 346 e 434 cod. proc. civ. e sostiene, in sintesi, che nel ricorso in appello il Ministero non aveva articolato alcuna specifica censura avverso il capo della sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto il diritto all’inclusione nell’assegno personale degli emolumenti indicati nello storico di lite;
l’appellante, infatti, aveva affidato l’impugnazione a due motivi, con i quali si era limitato ad insistere sull’inapplicabilità dell’art. 31 del d.lgs n. 165/2001, in ragione della natura privatistica dell’Istituto, e dell’art. 2112 cod. civ., senza dedurre alcunché sulla quantificazione dell’assegno e sulle ragioni per le quali le voci incluse dal primo giudice dovevano, invece essere escluse;
addebita, di conseguenza, alla Corte territoriale di essere incorsa in vizio di ultra petizione, pronunciando su questioni che non erano state devolute con l’atto di gravame;
2. la seconda critica, ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78/2010, dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 2112 cod. civ., degli artt. 200 e 202 del d.P.R. n. 3/1957, dell’art. 3, comma 576, della legge n. 537/1993, dell’art. 1, comma 226, della legge n. 266/2005, dell’art. 14, comma 15, del d.l. n. 98/2011;
deduce la ricorrente che, quanto all’anzianità di servizio, la normativa applicabile va individuata nell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, che disciplina il passaggio di personale tra enti, e che, richiamando in maniera espressa l’art. 2112 cod. civ., obblig a il cessionario a riconoscere l’anzianità quale conseguenza della continuazione giuridica del rapporto di lavoro che subisce una modificazione solo soggettiva;
la medesima rubrica è anteposta al terzo motivo che censura l’interpretazione data dalla Corte territoriale all’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78/2010;
la ricorrente sostiene che ha errato il giudice di appello nel privilegiare una esegesi restrittiva dei concetti di fissità e continuità che, invece, devono essere applicati in maniera elastica, e non richiamando i principi affermati dalla giurisprudenza in relazione alla diversa fattispecie del passaggio di carriera disciplinato dall’art. 202 del d.P.R. n. 3/1957;
la quarta critica, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., torna a denunciare la violazione delle norme indicate nel secondo e nel terzo motivo, alla quale affianca la violazione dell’art. 48 del contratto collettivo aziendale per il personale dell’IPI e dell’accordo del 15 dicembre 2005;
la ricorrente sostiene che il premio di produttività, quanto meno a partire dal 2005, non costituisce elemento
discontinuo o accidentale perché non è legato al raggiungimento di obiettivi ed è certo, come dimostra proprio il collegamento alla presenza che «non può certo vantarsi quale evento di carattere precario»;
5. il quinto ed il sesto motivo, ai quali è anteposta la medesima rubrica, denunciano , sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione delle norme di legge più volte richiamate e dell’art. 50 del contratto collettivo aziendale e censurano il capo della sentenza che ha escluso la natura retributiva dei versamenti mensili al fondo Previgen, del premio annuale versato alla Cassa di Assistenza Asfalisis, dei premi dovuti per le polizze morte ed infortuni, dei buoni pasto;
la ricorrente sostiene che si trattava di versamenti posti a carico del datore di lavoro dalla contrattazione collettiva privi del carattere di aleatorietà, che solo piò giustificare la mancata inclusione nella base di calcolo dell’assegno ad personam ;
6. preliminarmente rileva il Collegio che non si ravvisano ragioni idonee a giustificare il rinvio a nuovo ruolo della causa per la successiva trattazione in udienza pubblica, sollecitata dalla ricorrente con l’istanza depositata il 9 novembre 2023; all’esito della riformulazione dell’art. 375 cod. proc. civ., operata dal d.lgs. n. 149/2022, la Corte di Cassazione pronuncia in pubblica udienza unicamente nei casi di ricorso per revocazione ex art. 391 quater cod. proc. civ. e di particolare rilevanza della questione di diritto, mentre delibera con ordinanza resa all’esito della camera di consiglio ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., «in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza» ( art. 375, comma 2, n. 4 quater );
nessuna delle due condizioni ostative al procedimento camerale ricorre nella fattispecie, atteso che sulla questione controversa questa Corte si è già pronunciata (cfr. Cass. n.
641/2022; Cass. 23987/2022; Cass. n. 14202/2023) ed il ricorso non prospetta argomenti nuovi, idonei a sollecitare un ripensamento dei principi già espressi, ai quali va data continuità per le ragioni di seguito illustrate;
7. non sussiste l’ error in procedendo denunciato nel primo motivo perché, come già rilevato da Cass. n. 23987/2022 in fattispecie analoga, va esclusa la formazione di giudicato interno sul capo della pronuncia di primo grado che aveva quantificato l’assegno ad personam includendo nello stesso gli emolumenti indicati nello storico di lite;
infatti l’appello proposto dal Ministero, concernente la natura dell’Istituto e la asserita inapplicabilità dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 2112 cod. civ. al quale l’art. 31 rinvia, poneva necessariamente in discussione gli effetti che il Tribunale aveva tratto dalla previa individuazione della disciplina applicabile, e ciò sia in relazione al riconoscimento dell’anzianità di servizio, sia con riguardo alla quantificazione del trattamento economico;
è ius receptum il principio secondo cui, ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto suscettibili di giudicato interno, occorre avere riguardo all’unità minima idonea ad acquisire la stabilità del giudicato, che è costituita dalla sequenza logica fatto-norma-effetto giuridico, e benché ciascun elemento di tale sequenza possa essere singolarmente investito di censura in appello, nondimeno l’impugnazione motivata in ordine anche ad uno solo di essi riapre per intero l’esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell’impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di diritto- (individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi) -quanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti ( cfr. fra le Cass. n. 30682/2023 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione);
d’altro canto è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia, appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (cfr. fra le tante Cass. n. 34027/2022);
nella specie il Ministero aveva impugnato la statuizione del Tribunale nella sua interezza, facendo esplicito riferimento anche all’inapplicabilità nella fattispecie del divieto di reformatio in peius quanto ai diritti patrimoniali (cfr. la trascrizione dell’atto di appello riportata a pag. 19 del ricorso per cassazione) sicché, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati, ben poteva il giudice d’appello accogliere l’impugnazione sulla base di un a ragione giuridica diversa da quella sulla quale l’appe llante aveva fatto leva;
parimenti non sussistono gli errores in iudicando denunciati nelle ulteriori censure, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica;
vanno qui ribaditi, quanto all’interpretazione ed alla specialità dell’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78/2010, gli argomenti già sviluppati da Cass. n. 14202/2023, in continuità con Cass. n. 641/2022;
con le citate pronunce, richiamato l’orientamento secondo cui al momento della soppressione l’I.P.I. aveva già acquisito la
personalità di diritto pubblico (per le ragioni indicate da Cass. nn. 28409, 28624 del 2020 e da Cass. n. 40399 del 2021), si è evidenziato che l’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78/2010, che costituisce norma speciale rispetto alla disciplina generale dettat a dall’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, nel garantire la conservazione del trattamento fondamentale ed accessorio, purché caratterizzato da fissità e continuità, «richiama una distinzione tipica dell’impiego pubblico contrattualizzato (art. 45 d.lgs. n. 165 del 2001) nel cui ambito il trattamento fondamentale è quello diretto a retribuire la prestazione ‘base’ del dipendente, ossia la prestazione corrispondente all’orario ordinario di lavoro ed alla professionalità media della qualifica rivestita, mentre quello accessorio si pone in nesso di corrispettività con la performance individuale, con quella organizzativa e con lo svolgimento di attività ‘particolarmente disagiate, ovvero pericolose o dannose per la salute’ (art. 45, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 n el testo applicabile ratione temporis );
la distinzione fra le componenti non riposa sui requisiti di fissità e continuità in quanto gli stessi, connaturati al trattamento fondamentale, possono ricorrere anche per quelle voci del trattamento accessorio che siano correlate non al conseguimento di specifici obiettivi, bensì al profilo professionale o alle peculiarità dell’amministrazione di appartenenza;
ne discende che in tutte quelle fattispecie nelle quali venga in rilievo il principio della irriducibilità della retribuzione non è sufficiente per escludere l’operatività della garanzia che l’emolumento esuli dal trattamento fondamentale, essendo, invece, necessario accertare se la voce retributiva, per il dipendente che invochi il divieto di reformatio in peius , sia certa nell’ an e nel quantum ;
il trattamento economico acquisito dal lavoratore deve, dunque, essere determinato con il computo di tutti i compensi
fissi e continuativi spettanti al prestatore di lavoro, sulla base della contrattazione collettiva, quale corrispettivo delle mansioni svolte ed attinenti, logicamente, alla professionalità tipica della qualifica rivestita»;
9. nella fattispecie, non dissimile da quella esaminata da Cass. n. 14202/2023, che ha respinto analogo ricorso, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, negando l’inserimento nell’assegno ad personam dovuto alla ricorrente degli emolumenti percepiti presso l’IPI per i quali, motivatamente, non ha ravvisato le necessarie caratteristiche di fissità e continuatività o, addirittura, la stessa natura di retribuzione;
infatti: a) quanto al premio di produttività, il giudice d’appello, esaminata la disciplina contrattuale, ne ha rilevato il carattere «strettamente incentivante, in funzione specifica dei risultati raggiunti»; b) dei contributi al fondo integrativo di previdenza ha valorizzato la natura non retributiva, ma previdenziale (cfr. Cass. S.U. n. 16084/2021 e Cass. S.U. n. 4684/2015); c) con riguardo ai premi per le polizze infortuni e morte nonché per la Cassa Assistenza Asfalisis ha desunto il carattere non retributivo dalla complessiva disciplina contrattuale (che non include il controvalore nella base di calcolo del TFR) e dal regime di imposizione fiscale; d) quanto ai buoni pasto ha richiamato l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui «nell’impi ego pubblico contrattualizzato l’attribuzione del buono pasto ha carattere assistenziale, è legata ad una particolare articolazione dell’orario di lavoro e non riguarda né la durata né la retribuzione del lavoro» (Cass. n. 641/2022, che cita, a sua volta, Cass. nn. 8968/2021 e 31137/2019);
10. il quarto, il quinto ed il sesto motivo, nella parte in cui denunciano la violazione del contratto collettivo aziendale (artt. 48 e 50) sono inammissibili, perché -a differenza di quel che vale per la contrattazione collettiva nazionale (art.
360, comma 1, n. 3, c.p.c.) -rispetto alla contrattazione collettiva aziendale «il sindacato di legittimità può essere esercitato soltanto con riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (nei limiti ora previsti dalle modifiche di cui d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 134 del 2012), ovvero ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., a condizione, per detta ipotesi, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato (cfr. Cass. n. 641/2022, che riafferma un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte);
11. infine, in relazione all’anzianità di servizio, deve essere ribadito che la stessa, anche nei casi di applicazione dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 ( non invocabile nella fattispecie per le ragioni già dette) e di trasferimento di azienda, non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore di lavoro e deve essere salvaguardata in modo assoluto solo ove ad essa si correlino benefici economici ed il suo mancato riconoscimento comporti un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito;
l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario né può essere opposta al nuovo datore di lavoro per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative ( cfr. Cass. n. 641 del 2022 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione);
12. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1bis , se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 22 novembre 2023