Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11796 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 11796 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 1582-2022 proposto da:
NOME COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 847/2021 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 02/11/2021 R.G.N. 131/2021;
Oggetto
R.G.N. 1582/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 14/01/2025
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 847/2021 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame di NOME COGNOME avverso la pronuncia del Tribunale di Ravenna che aveva respinto il suo ricorso volto ad ottenere gli assegni per il nucleo familiare per i familiari residenti in Senegal, reiezione fondata sulla carenza di allegazioni circa il possesso del requisito reddituale riferito non solo al ricorrente ma al nucleo familiare, trattandosi di elemento costitutivo del diritto azionato.
Avverso la suddetta sentenza NOME COGNOME ricorre per due motivi, illustrati da memoria.
Resiste INPS con controricorso.
Il PG ha concluso in udienza per il rigetto del ricorso.
In sede di camera di consiglio il Collegio ha riservato termine di 90 giorni per il deposito del provvedimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 153/1988, in relazione
all’art. 12 preleggi, per avere la Corte erroneamente intrepretato la normativa italiana in merito ai requisiti richiesti per accedere agli ANF, nonché violazione e falsa applicazione dei principi di diritto di cui alla Direttiva n. 2003/109/CE come enunciati nella sentenza della CGUE 25.11.2020 causa INPS c. V.R. n. C 303/2019/CE, per avere la Corte richiesto al ricorrente, titolare di permesso di lungo soggiorno CE, la produzione di una autocertificazione dei redditi prodotti dal nucleo familiare non prevista dalla normativa in materia di ANF, in considerazione, altresì, del fatto che il requisito reddituale non sarebbe elemento costitutivo del diritto ma rileverebbe ai solo dine della quantificazione dell’assegno. Con il secondo motivo è dedotta violazione o errata applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 421 cod. proc. civ. per non avere la Corte disposto sulla richiesta di deposito della documentazione reddituale richiesta dall’istante, istanza rinnovata all’udienza di discussione.
In via preliminare e pregiudiziale la difesa del ricorrente chiede disporsi il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sottoponendo il seguente quesito: «se una prestazione come quella prevista dall’art. 2 della legge 153/1988, denominata Assegno al Nucleo Familiare costituisca una prestazione assistenziale ed essenziale ai sensi dell’art. 11, paragrafo 4 e 13° considerando della direttiva n. 2003/109/CE così come interpretato e stabilito dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa INPS vs. V.R. n. C-303/19; in caso di risposta positiva, se il principio della parità di trattamento sancito dall’art. 11, paragrafo 1, lett. d), della direttiva n. 2003/109/CE, come interpretato dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa INPS vs. V.R. n. C-3030/19, risulti violato dalla giurisprudenza, come quella dettata dal
Tribunale di Ravenna, come confermata dalla Corte d’Appello, di Bologna, sezione Lavoro».
I motivi di ricorso, da analizzarsi congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, sono infondati, non cogliendo la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non risiede nella valutazione della prova offerta giusta l’imposizione dell’onere probatorio descritto dal ricorrente, quanto piuttosto nel rilievo di un assoluto difetto di allegazione, concretizzatosi fin dal primo grado di giudizio, evidenziato dal Tribunale e sottolineato dalla Corte di Appello.
La richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia è, di conseguenza, fondata su un quesito non decisivo ai fini della soluzione della controversia e del quale, ad ogni modo, può escludersi la fondatezza alla luce delle osservazioni che seguono.
In proposito, ed in continuità con l’orientamento espresso più volte da questa Corte, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, va rilevato che è stato da tempo chiarito come l’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare previsto dall’art. 2 del d.l. n. 69/1988 (conv. con legge n. 153/1988), presupponga «la duplice condizione -la cui ricorrenza deve essere provata dall’interessato -dell’effettivo svolgimento di attività lavorativa e del requisito reddituale di cui al comma 10 dello stesso art. 2, di talché l’assegno non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente, è inferiore al settanta per cento del reddito complessivo del nucleo familiare» (Cass. n. 7097/2023; così anche Cass. n. 7095/2023, n. 6953/2023, n. 25663/2023 solo da ultimo).
Va, inoltre, escluso che la necessità di provare il requisito reddituale possa costituire discriminazione in danno del
cittadino extracomunitario, come invece sostenuto in ricorso al fine di sollecitare questa Corte a sollevare questione pregiudiziale avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, trattandosi di onere probatorio richiesto anche ai cittadini italiani e che può essere soddisfatto con ogni mezzo all’uopo idoneo: argomentare in senso contrario equivarrebbe piuttosto a consentire ai cittadini extracomunitari di godere di un trattamento di favore rispetto ai cittadini italiani, ciò che non può dirsi in alcun modo voluto dalla direttiva 2003/109/CE (Cass. n. 6953/2023, n. 25663/2023).
Nel caso di specie, non solo l’assenza di prova del requisito reddituale è stata accertata già dal primo giudice, ma i giudici dell’appello hanno sottolineato che l’ammontare del reddito -sia proprio dell’istante che, a maggior ragione, prodotto dal nucleo familiare – non era stato allegato nell’atto introduttivo e non sussistevano significative piste probatorie emergenti dal complessivo materiale, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado. Infatti, nella sentenza impugnata si legge che il ricorrente, in sede di gravame, aveva sostenuto di aver prodotto sin dal primo grado ogni documentazione utile al fine di determinare l’accertamento del diritto, tra cui, il proprio modello 730 Cud: a tal proposito la Corte ha chiaramente escluso che la documentazione prodotta fosse idonea al fine, non essendovi ‘alcun modello CUD negli atti di primo grado (nè viene esso prodotto in questa sede, limitandosi l’appellante alla richiesta di un termin e per l’integrazione probatoria)’.
Pertanto, ad avviso del Collegio, ‘difetta la prova del requisito reddituale, il che di per sé preclude l’accesso alla prestazione’ , né sussiste una qualunque pista probatoria percorribile, in una materia regolata dai principi generali in materia di onere della prova degli elementi costitutivi della pretesa fatta valere, gravante sul soggetto richiedente.
La Corte ha, quindi, correttamente richiamato l’orientamento in forza del quale il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure, pur non essendo oggetto di preclusione assoluta e potendo essere disposto anche d’ufficio dal giudice che lo ritenga indi spensabile al fine di superare l’incertezza sui fatti costitutivi del diritto in contestazione, presuppone pur sempre che detti fatti siano stati allegati nell’atto introduttivo e che sussistano significative piste probatorie emergenti dal complessivo materiale probatorio correttamente acquisto agli atti del giudizio di primo grado.
Il richiamo ai poteri istruttori officiosi dell’art. 421 cod. proc. civ. di cui al secondo motivo è, quindi, infondato perché l’esercizio di detti poteri presuppone una pista probatoria già risultante dagli atti, nella specie mancante.
Il ricorso deve, perciò, essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo: in memoria, il ricorrente invoca l’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. ma la relativa dichiarazione non risulta sottoscritta dalla parte e l’autocertificazione allegata è stata redatta si soli fini dell’esenzione dal contributo unificato.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, che liquida in complessivi
€ 3000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre al 15% per rimborso spese generali e accessori come per legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 gennaio