SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4842 2025 – N. R.G. 00007647 2021 DEPOSITO MINUTA 21 08 2025 PUBBLICAZIONE 21 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Terza Sezione Civile
composta dai magistrati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME Consigliere rel. COGNOME Roberto Consigliere
riunita in camera di consiglio, pronuncia la seguente S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 7647 del registro generale degli affari contenziosi dell’anno 2021, vertente tra
Avv. COGNOME
e
Avv. COGNOME NOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’appellante in epigrafe (d’ora in poi per brevità) impugna la sentenza n.9231 del 2021 del Tribunale di Roma, che si riporta ‘ Con atto di citazione notificato in data 10/4/2018 la in persona del legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale la , in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna al pagamento in proprio favore della somma di € 13.445,00, oltre a rivalutazione mone taria e interessi legali dal dovuto al saldo, previo accertamento della contraffazione degli assegni bancari non trasferibili n. 9100756349-09, emesso il 31/05/2005, intestato a , dell’importo di € 3.800,00, tratto su Banca SAI S.p.A., oggi Unipol Banca S.p.A., per conto di Milano Ass.ni S.p.A., oggi n. 0074271445-01, emesso il 19/01/2016, a dell’importo di € 5.845,00, tratto su Unipol Banca S.p.A. per conto di e n. 007411571902, emesso il 02/07/2015, intestato a dell’importo di €
3.800,00, tratto su Unipol Banca S.p.A., per conto di e del loro pagamento a soggetti non legittimati.
L’attrice, premesso di essersi avvalsa, per l’espletamento del proprio servizio di liquidazione dei sinistri, della Unipol Banca S.p.A., deduceva che quest’ultima, su mandato dell’attrice, aveva emesso i tre assegni sopra descritti muniti della clausola ‘non trasferibili’, ma che, in seguito agli accertamenti espletati, era emerso che i beneficiari dei titoli non li avevano ricevuti ed avevano disconosciuto le firme ivi apposte per la negoziazione, avvenuta presso uffici della convenuta.
L’attrice riteneva pertanto la convenuta responsabile del danno subito per i fatti sopra esposti, deducendo che la aveva provveduto con negligenza al pagamento del titolo ad ignoti, concludendo come in epigrafe.
La , costituitasi con comparsa del 3/9/2018, eccepiva preliminarmente la prescrizione dell’avversa pretesa con riferimento all’assegno n. 9100756349 -09, del valore di € 3.800,00, emesso il 31/05/2005 e presentato all’incasso il 16/6/2005, in mancanza di prova di atti interruttivi della prescrizione.
La convenuta deduceva, inoltre, che gli assegni n. 9100756349-09, del valore di € 3.800,00, emesso il 31/05/2005 e n. 0074271445 -01, emesso il 19/01/2016, dell’importo di € 5.845,00, erano stati regolati in stanza di compensazione, previo esame diretto da parte della banca emittente, che non aveva sollevato alcun rilievo in ordine al pagamento, mentre l’assegno n. 007411571902, emesso il 02/07/2015, dell’importo di € 3.800,00, era stato regolato in check truncation, procedura che prevede la presentazione del titolo alla banca emittente non nella sua materialità, ma mediante la comunicazione dei relativi dati con mezzi informatici.
Tanto premesso, deduceva di aver pagato gli assegni ai beneficiari, in assenza di comunicazione di ‘impagato’ da parte della banca emittente, dando atto che, qualora fosse emerso il pagamento dei titoli de quibus a soggetti diversi dagli effettivi beneficiari, non sarebbe stata configurabile a proprio carico alcuna responsabilità, avendo la convenuta agito con la diligenza professionale richiesta dall’art. 43 R.D. n. sulla negoziazione degli assegni, oltre che degli artt. 15, 18 e 19 D.Lgs. n. 231/2007 (legge antiriciclaggio), avendo provveduto a indentificare i presentatori dei titoli mediante carta di
1736/1933 (L.A.) ed in conformità della convenzione stipulata tra e l identità o patente di guida.
La convenuta rappresentava al riguardo che, anche in caso di pagamento di un titolo di credito a persona diversa dall’avente diritto, la responsabilità dell’ente pagatore deve essere valutata secondo i principi generali in materia di responsabilità contrattuale, non venendo in rilievo un’ipotesi di responsabilità oggettiva. In subordine, eccepiva il concorso di colpa della controparte a causa del mezzo di trasmissione degli assegni prescelto.
Esperiti gli incombenti preliminari, concessi i termini ex art. 183, co. VI, c.p.c., il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 24/2/2021, svoltasi ex art. 83, comma VII, lett. h), D.L. n. 18/2020, conv, con L. n. 27/2020, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.
Con particolare riferimento alla causa petendi, la invoca la responsabilità contrattuale della per aver pagato gli assegni bancari contraddistinti dai numeri 9100756349-09, emesso il 31/05/2005, intestato a , dell’importo di € 3.800,00, tratto su Banca SAI S.p.A., oggi Unipol Banca S.p.A., per conto di Milano Ass.ni S.p.A., oggi NUMERO_DOCUMENTO, emesso il 19/01/2016, a dell’importo di € 5.845,00, tratto su Unipol Banca S.p.A. per conto di e 0074115719-02, emesso il 02/07/2015, intestato a dell’importo di € 3.800,00, tratto su Unipol Banca S.p.A., per conto di su cui è stata apposta la clausola di intrasferibilità, chiedendo, quindi, la condanna della convenuta al pagamento della somma complessivamente portata dai suddetti titoli di credito.
E’ fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta con riferimento alle pretese attoree relative al primo degli assegni sopra descritti. Ed invero, premessa la natura contrattuale della responsabilità invocata dall’attrice, con conseguente applicabilità del termine ordinario decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c., nella specie l’attrice non ha provato di aver tempestivamente interrotto la prescrizione della pretesa creditoria relativa all’assegno n. 9100756349 -09, essendo all’uopo idoneo l’invio della missiva in data 10/2/2015, ricevuta dalla destinataria il 13/2/2015, in cui non si fa menzione del titolo di credito n. 9100756349-09. Ad abundantiam, non vi è prova che l’assegno di cui sopra sia stato pagato a persona diversa dal beneficiario e che, in ogni caso, la convenuta abbia Cont
agito con colpa nel pagamento del titolo alla persona che il 16/06/2005 si è presentata presso lo sportello della convenuta sito in Pistoia e, qualificatasi come , ha chiesto l’apertura del libretto postale n. 23817303 e ha posto all’incasso l’assegno n. 9100756349 -09 Banca Sai S.p.A., previa identificazione mediante carta di identità e tesserino di attribuzione del codice fiscale. Con
Dalla carta d’identità esibita dalla ai fini della sua identificazione presso l’ufficio postale emergeva che la donna fosse residente in Montale (PT), zona geograficamente non distante con il luogo di negoziazione dell’assegno, con la conseguenza che non vi erano elementi che potessero indurre a sospetto l’operatore della convenuta circa la autenticità del titolo con riferimento al nome della beneficiaria.
Anche con riferimento agli altri assegni la domanda è infondata.
Risulta dagli atti che la Banca SAI S.p.A., oggi Unipol Banca S.p.A., nonché quest’ultima emettevano gli assegni non trasferibili sopra descritti, che tuttavia venivano posti all’incasso da soggetti non legittimati ed in particolare:
si presentava presso la filiale di di Roma – INDIRIZZO in data 28/1/2016 per accendere il libretto n. 1031170291 e incassava l’assegno NT n. 0074271445 01 di € 5.845,00, previa identificazione mediante la carta di identità;
si presentava presso la filiale di di Aversa 1 in data 4/8/2015 per accendere il libretto n. 46062906 e contestualmente incassava l’assegno n. 0074115719 02 di € 3.800,00. La persona qualificatasi come risultava, in base alla carta d’identità esibita all’impiegato postale ai fini della sua identificazione, come residente in Casoria, luogo non distante geograficamente dall’ubicazione dell’ufficio postale in ci è avvenuta la negoziazione del titolo, pertanto anche in questo caso le circostanze non erano tali da indurre l’operatore ad una verifica più approfondita della autenticità del titolo. Con
Si rileva, inoltre, che la convenuta ha dato atto di aver regolato i primi due assegni in stanza di compensazione, con sottoposizione all’esame diretto dell’istituto emittente che non ha sollevato alcuna eccezione in merito alla corretta negoziazione dei titoli, mentre il terzo è stato regolato in check truncation.
Successivamente, la il 5/4/2016 reiterava il pagamento di € 5.845,00 a favore di il quale, in data 25/5/2016, aveva sporto querela disconoscendo la firma posta sul titolo per
l’incasso e negando di aver ricevuto l’assegno n. 0074271445 01 e il 19/7/2016 reiterava il pagamento di € 3.800,00 in favore di che in data 6/6/2016 aveva sporto querela disconoscendo la
firma apposta sull’assegno n. 0074115719 per l’incasso.
Viene pertanto in rilievo la questione concernente la responsabilità dell’istituto, bancario o postale, per il pagamento dei titoli di credito a persona diversa dal legittimo beneficiario.
Secondo un primo orientamento, l’art. 43, comma II, del R.D. n. 1736 del 1933 (legge assegni), nel disporre che colui che paga a persona diversa dal prenditore, o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento, disciplina in modo autonomo il pagamento dell’assegno non trasferibile, con deviazione dalla regola generale che libera il debitore che esegua il pagamento in buona fede in favore del creditore apparente (art. 1189 c.c.), sicché, in caso di pagamento di un assegno bancario non trasferibile in favore di chi non era legittimato, la banca non è liberata dall’originaria obbligazione finché non paghi al prenditore esattamente individuato a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione dello stesso prenditore, trattandosi di ipotesi di obbligazione ‘ex lege’ (cfr. Cass. civ. n. 4381 del 21/02/2017; Cass. civ. 19 luglio 2016, n. 14777; Cass. civ. 22 febbraio 2016, n. 3405).
In base ad un indirizzo ermeneutico parzialmente difforme, la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. Ne deriva che l’azione di risarcimento proposta dal danneggiato è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale, stabilito dall’art. 2946 cod. civ. (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 14712 del 26/06/2007).
Trattasi di responsabilità contrattuale nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno: prima di tutti il prenditore, ma eventualmente
anche colui che ha apposto sul titolo la clausola di non trasferibilità, o colui che abbia visto in tal modo indebitamente utilizzata la provvista costituita presso la banca trattaria (o emittente), nonché, se del caso, questa stessa banca.
Induce a ciò la considerazione che quelle regole di circolazione e di pagamento dell’assegno munito di clausola di non trasferibilità, pur certamente svolgendo anche un’indiretta funzione di rafforzamento dell’interesse generale alla regolare circolazione dei titoli di credito, appaiono essenzialmente volte a tutelare i diritti di coloro che alla circolazione di quello specifico titolo sono interessati: ciascuno dei quali ha ragione di confidare sul fatto che l’assegno verrà pagato solo con le modalità e nei termini che la legge prevede, la cui concreta attuazione, proprio per questo, è rimessa ad un banchiere, ossia ad un soggetto dotato di specifica professionalità a questo riguardo. Ed è appena il caso di aggiungere che tale professionalità del banchiere si riflette necessariamente sull’intera gamma delle attività da lui svolte nell’esercizio dell’impresa bancaria, e quindi sui rapporti che in quelle attività sono radicati: giacché per lo più si tratta di rapporti, per così dire, asimmetrici, per la corretta attuazione dei quali il banchiere dispone di strumenti e di competenze che normalmente gli altri soggetti interessati non hanno. Dal che appunto dipende, per un verso, l’affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento, da parte del banchiere, dei compiti inerenti al servizio bancario e, per altro verso, la specifica responsabilità in cui il banchiere medesimo incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio, ove, viceversa, egli non osservi le regole al riguardo prescritte dalla legge (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 14712 del 26/06/2007 cit.).
La Suprema Corte, nuovamente intervenuta ex professo a sezioni unite per dirimere il contrasto insorto in giurisprudenza insorto, ha statuito che, ai sensi dell’art. 43, comma II, del R.D. n. 1736 del 1933 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato -per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo -dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma II, c.c. (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 12477 del 21/05/2018).
Ne consegue che, sulla base dei suesposti principi, nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non
trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 cod. civ., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve.
L’adito giudicante condivide quest’ultimo orientamento, fatto proprio dal recente arresto delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che qualifica la responsabilità della banca che paga l’assegno a persona diversa dal beneficiario come contrattuale, non oggettiva, con l’onere dell’istituto di credito di provare di aver agito con la diligenza professionale richiesta per l’attività espletata.
Venendo al caso di specie, pur emergendo dagli atti che la convenuta ha proceduto al pagamento dei due assegni sopra descritti a persone diverse dai rispettivi beneficiari, si ritiene tuttavia che la abbia agito con la diligenza professionale esigibile nel caso concreto, poiché gli assegni in questione non recano alcuna discernibile traccia idonea ad indurre al sospetto di falsificazione e i soggetti a favore dei quali sono stati negoziati sono stati identificati mediante.
In secondo luogo, la ha pacificamente provveduto al pagamento degli assegni a soggetti che apparivano come i rispettivi beneficiari, segnatamente a soggetto qualificatosi come presentatosi presso la filiale di di Roma – Tor Tre Teste in data 28/1/2016 per accendere il libretto n. 1031170291, identificato con il documento di identità, dell’assegno n. NUMERO_DOCUMENTO come dedotto dalla stessa parte attrice e a persona qualificatasi come presentatasi presso la filiale di di Aversa 1 il 4/8/2015 per accendere il libretto n. NUMERO_DOCUMENTO e previa identificazione mediante carta d’identità e tessera sanitaria, dell’assegno NT n. 0074115719 – 02. La convenuta, infine, quale ulteriore accorgimento per scongiurare il rischio di pagare a soggetto non legittimato, ha negoziato il primo dei due assegni testè indicati in stanza di compensazione e il secondo con il sistema check truncation e in assenza di rilievi da parte della banca emittente. Il pagamento, cioè, non è stato eseguito immediatamente, all’atto della presentazione del titolo, ma i titoli sono stati regolati in check truncation e la banca emittente non ha comunicato l’esistenza di irregolarità concernenti gli assegni de quibus.
Alla luce di tali elementi, può ritenersi che il pagamento da parte della banca negoziatrice sia avvenuto in favore di persone che, in base a
circostanze univoche, apparivano essere i reali beneficiari dei titoli, i quali non vi è prova che mostrassero segni di contraffazione distinguibili ictu oculi, senza la necessità di specifici accertamenti tecnici.
Del resto, ove si ritenesse che l’ente negoziatore, in assenza di una visibile contraffazione del titolo e dei documenti esibiti dal portatore e in mancanza di rilievi da parte della banca trattaria, debba comunque rifiutare il pagamento e procedere ad ulteriori accertamenti in ordine all’identità del portatore, verrebbe seriamente compromessa la funzione economico-sociale dell’assegno non trasferibile e la sua diffusione tra gli operatori economici, dal momento che nessun istituto di credito sarebbe più indotto ad onorare l’assegno emesso da un’altra banca, stante il rischio, sempre presente e non altrimenti evitabile, di effettuare un pagamento non liberatorio (cfr. Trib. Roma n. 20712 del 16/10/2015).
Osserva, inoltre, la Suprema Corte che, nel caso di falsificazione di assegno bancario nella firma di traenza – la quale presenti, nella specie, “un tracciato assolutamente piatto” – la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell’accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui al secondo comma dell’art. 1176 cod. civ.. Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la congruità della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando cosi un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto, il grado di esigibilità della diligenza stessa, verificando, in particolare, se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche.
Non è ascrivibile alla convenuta la colpa per non aver applicato le “indicazioni” della Circolare ABI del 7 maggio 2001 per “riempire” di contenuto la clausola di diligenza di cui all’art. 1176, secondo comma, cod. civ., nel senso sopra chiarito.
Premesso che la citata circolare non è applicabile alla S.p.A. , osserva il più recente orientamento della Suprema Corte che, sebbene sia astrattamente predicabile che lo standard di diligenza esigibile dal debitore della prestazione professionale, secondo la clausola generale
contenuta nel secondo comma dell’art. 1176 cod. civ., possa essere estratto dal giudice del merito (e qui sindacato dal giudice di legittimità, nei termini sopra chiariti) anche da regolamentazioni di natura negoziale (ovvero di diversa natura precettiva) dettate da associazioni di categorie professionali (come nel caso dell’ABI) – nel caso di specie non possa essere riconosciuta alcuna natura precettiva ovvero cogente (come tale idonea ad integrare la “parte mobile” della clausola generale normativa, sopra richiamata) ad un “regolamento”- quello in esame – (peraltro, licenziato nella forma di una lettera indirizzata agli iscritti), che non introduce, in realtà, alcuna prescrizione per gli associati, ma si limita solo a “segnalare l’opportunità” a quest’ultimi di adottare prassi operative virtuose dirette a scongiurare il rischio di essere convenuti in giudizio in eventuali contenziosi risarcitori, e ciò peraltro con riferimento ad un richiamato mutamento giurisprudenziale (in punto di interpretazione dell’art. 43 legga ass.) da ritenersi – come sopra evidenziato -ormai superato, proprio grazie all’ultimo arresto reso dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte (cfr. Cass. civ. n. 12477/2018).
Sul punto si rileva che – secondo quanto già affermato dal Supremo Collegio -i regolamenti e le convenzioni dettate dall’ABI hanno, normalmente, natura giuridica di normativa contrattuale (cfr. Cass. civ. n. 10464 del 14/05/2014; Cass. civ. n. 9095 del 6/6/2003).
Tuttavia, nel caso ora in esame il richiamato “regolamento” ABI del 7 maggio 2001 non può ritenersi neanche dotato di cogenza negoziale, posto che lo stesso integra solo gli estremi di una “segnalazione” agli associati di prassi operative, volte a superare il rischio di futuri contenziosi giudiziali. Non può pertanto fondarsi il giudizio di responsabilità contrattuale della banca negoziatrice nell’attività di corretta identificazione del soggetto beneficiario del pagamento portato dal titolo sulla base della mera violazione della prescrizione contenuta nelle raccomandazioni dell’ABI del 7 maggio 2001, e ciò in riferimento all’asserita necessità di richiedere due documenti identificativi dotati di fotografia al soggetto portatore del titolo per la verifica della corrispondenza dello stesso con l’effettivo e legittimo beneficiario del pagamento. Ma, in realtà, tale regola di condotta prudenziale non è rintracciabile neanche negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno dell’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale (cfr. Cass. civ. n. 34107 del 19/12/2019).
Le domande attoree devono essere, quindi, respinte.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
visto l’art. 281 -quinquies c.p.c.;
il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta con atto di citazione notificato in data 10/4/2018 dalla in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la , in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis:
RIGETTA la domanda proposta dalla
avverso la
;
CONDANNA la a rifondere alla le spese processuali, che liquida in € 3.500,00 per compenso
professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge .’.
(d’ora in poi
, per brevità) ha chiesto il rigetto dell’appello e l’applicazione dell’art. 1227 c.c.. La causa, previa precisazione delle conclusioni, è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello di parzialmente fondato. Il primo motivo riguarda l’erroneo deposito di un documento telematico costituente atto interruttivo della prescrizione (del diritto fatto valere in relazione all’assegno emesso in favore di , secondo la prospettazione dell’appellante, la quale chiede di essere ammessa a produrlo in questa sede.
L’istanza non può essere accolta poiché l’appellante non ha neppure offerto di provare l’incolpevolezza dell’errore che avrebbe commesso nel depositare in primo grado un documento diverso da quello utile a dimostrare l’interruzione della prescrizione. Sicchè la produzione s’appalesa inammissibile ex art. 345 c.p.c.
Né, d’altro canto, può ritenersi comprovato l’assunto dell’appellante di avere esibito il documento all’udienza del 4.10.2018, poiché il verbale d’udienza non ne dà conto.
Conseguentemente deve ritenersi superfluo l’esame delle altre censure alla sentenza che riguardano il diritto fatto valere con riferimento all’assegno emesso in favore di
La censura che riguarda l’assegno emesso in favore di invece, va accolta atteso che emerge dai documenti depositati da che
l’identificazione del possessore del titolo di credito in esame è stata fatta in modo negligente.
Anzi, per la precisione, non ha neppure depositato in giudizio la copia del documento con il quale avrebbe identificato l’ Il che impedisce di valutare se fosse idoneo (e non recasse segni di falsificazione o contraffazione rilevabili ictu oculi) e configura il mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a suo carico in ordine alla diligenza richiesta al banchiere.
Inoltre, sotto diverso ed autonomo profilo, il predetto sarebbe stato identificato nel gennaio 2016 con la carta di identità n. rilasciata in data 20/04/2017 (come indicata nella schermata allegata da denominata ‘ Anagrafe generale – INTERROGAZIONE DI PERSONA FISICA ‘ sub All. n. 2). Il sarebbe sufficiente ad evidenziare la superficialità della verifica.
A questo si aggiunge che il documento d’identità che è stato annotato sul retro dell’assegno (evidentemente quale documento utilizzato per l’identificazione) è diverso (una patente di guida).
Ciò che conduce ad escludere, anche sotto tale profilo, l’uso della benchè minima diligenza.
L’appello va accolto anche con riferimento all’assegno emesso in favore di A ragione.
Documenta di aver acquisito carta di identità e codice fiscale che produce in giudizio in copia la cui pessima qualità, deve rilevarsi come fa l’appellante, non consente alcun esame in ordine alla presenza di segni di falsificazione o contraffazione.
Inoltre, emerge dal primo documento, in ogni caso, la mancata apposizione sulla foto del timbro del Comune di rilascio, che ne rende dubbia la validità.
L’impossibilità di eseguire il predetto controllo sarebbe sufficiente ad escludere che abbia assolto all’onere probatorio di cui sopra. Ma vi sono altre anomalie.
Come correttamente dedotto dall’appellante, dai documenti allegati da riportanti la verifica della carta di identità presso gli ‘ archivi interni ‘e gli ‘ archivi dei documenti rubati e smarriti ‘ (cfr. All. 3bis ) si ricava che , nella medesima giornata del 4/08/2015, alle ore 16:10, effettuava un controllo sulla carta di identità n. (quella dell’effettivo beneficiario come identificato in sede di denuncia/querela sub doc. n. 5 evidentemente associata
nell’anagrafe postale al nominativo ).
, già cliente
Al contempo, tuttavia, risulta che ‘il sedicente esibiva una carta di identità con n. rilasciata dal Comune di Casoria in data 9/03/2012.
Considerata la discrasia, procedeva allora, sempre in data 4/08/2015, dopo pochi minuti, ad una seconda verifica, sempre sui propri archivi interni, questa volta sulla carta di identità appena esibita dal sedicente prenditore.
Neppure una tale anomalia ha ingenerato un sospetto nell’operatore di che procedeva regolarmente alla negoziazione del titolo, senza ulteriori verifiche a fronte dell” esito negativo ‘ fornito dal sistema di controllo interno ‘ Oracolo ‘.
Un tale sistema consente di effettuare un controllo circoscritto all’ambito dei documenti rubati/smarriti, con la conseguenza che nulla è in grado di cogliere a fronte di documenti falsificati o contraffatti.
Ulteriormente, in merito alla posizione del sedicente l’ennesima discrasia si rinviene tra la copia del documento di identità presentato per l’apertura del libretto e la negoziazione del titolo e i dati indicati nell’anagrafica di (cfr. All. n. 3).
Il soggetto si presentava munito di carta d’identità n. rilasciata dal Comune di Casoria in data 09/03/2012, ove rappresentava di essere residente alla INDIRIZZO
Eppure, dall’anagrafica che ha depositato in atti risulta indicato un tale identificato a mezzo carta d’identità n. rilasciata dal Comune di Casoria il 16/06/2011, residente a Sant’Anastasia (NA), alla INDIRIZZO
Da tali risultanze si deve dedurre che alla presentazione del sedicente munito di carta d’identità n. del 09/03/2012 i sistemi di avevano già censito altri due soggetti con le stesse generalità, ma con carta d’identità n. e n. del 16/06/2011; eppure non effettuava alcuna verifica e pagava l’assegno come se tutto fosse assolutamente regolare.
Senza dire che, perlomeno dall’anno 2001, la Circolare ABI allertava i propri associati in merito alle truffe aventi ad oggetto furti di assegni di traenza non trasferibili, individuando a tal fine opportune prassi operative e suggerendone l’applicazione a tutti gli istituti associati, tra cui, ovviamente vi è – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale – che non ha contestato di esservi associata.
Il che avrebbe dovuto rendere ancor più vigile, essendo provato che all’epoca in cui gli assegni sono stati negoziati fosse già a conoscenza di possibili abusi da parte di terzi nell’incasso di assegni ed anche del meccanismo attraverso cui venivano perpetrati.
Ne consegue che deve essere condannata a risarcire il danno, dovendosi ritenere documentalmente dimostrato da il pagamento dell’importo degli assegni pagati agli effettivi beneficiari.
Deve, tuttavia, tenersi conto del concorso di colpa da parte di invocato dall’odierna appellata, in applicazione di quanto stabilito da Cass. SS.UU. 9769 del 2020 con particolare riferimento alla possibilità di ricorrere a modalità di pagamento più sicure della spedizione dell’assegno (quale il bonifico, ad esempio). ‘ In particolare, è stato osservato che ‘la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso’.
Pertanto, ove sia scelta la modalità di invio dell’assegno per posta ed esso sia sottratto ed illegittimamente incassato, il mittente concorre con il danneggiante nella causazione dell’evento, con la conseguenza che la quota di responsabilità di quest’ultimo deve essere rivalutata alla luce del fatto colposo del primo.
All’importo di euro 9.645,00 (pari alla somma dell’importo dei due assegni (di 5.845,00 e 3.800,00 euro) va detratto, pertanto, il 20%, in considerazione del concorso di colpa di rapportato alla grave negligenza manifestata da , ed aggiunti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data dell’indebito pagamento degli assegni, interessi calcolati sulla sorte capitale via via rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT fino al soddisfo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, pertanto, vanno poste a carico di in misura pari al 50% e compensate quanto al resto.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:
in parziale accoglimento dell’appello di
e parziale riforma della sentenza gravata;
condanna al risarcimento del danno in favore di nella misura di euro 7.716,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data dell’indebito pagamento degli assegni, interessi calcolati sulla sorte capitale via via rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT fino al soddisfo. Condanna alla rifusione del 50% delle spese di lite in favore di nella misura che liquida, per l’intero, in euro 4.500,00 per il primo grado ed euro 5.000,00 per il secondo grado, oltre contributo unificato, spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22.7.2025. Il Consigliere est.
Il Presidente