Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2507 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2507 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9174/2021 R.G. proposto da :
NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2875/2020 depositata il 03/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposte da NOME COGNOME volta ad ottenere nei confronti di Casinò di Venezia Gioco s.p.a. il risarcimento del danno derivante dall’indebito incasso di un assegno bancario dell’importo di euro 5.000,00 asseritamente consegnato dall’attore in bianco a scopo di garanzia, per il quale era stato elevato il protesto.
La Corte d’Appello ha osservato:
che L’appellante aveva formulato capitoli di prova orale solo in ordine all’esistenza e all’entità dei danni e ritenuto non provata documentalmente l’esistenza del patto di non negoziazione degli assegni;
che, alla luce della documentazione agli atti, emergeva una prova solo indiziaria del fatto che in qualche occasione il COGNOME avesse consegnato degli assegni, privi di data, in garanzia, non sufficiente a provare che anche l’assegno oggetto di causa avesse tale funzione, perché gli assegni venivano utilizzati anche con funzione di pagamento come risultava da documentazione prodotta dallo stesso appellante;
che per provare che l’assegno era stato abusivamente riempito in contrasto con accordo tra le parti che lo vietasse, l’appellante avrebbe dovuto proporre querela di falso poiché la denuncia dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco postula la proposizione del rimedio della querela di falso tutte le volte in cui il riempimento risulti avvenuto «absque pactis» o «sine pactis», rimedio processuale non necessario nell’ipotesi di riempimento «contra pacta», cioè in caso di mancata corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto si intendeva invece dichiarare;
in ogni caso, anche volendo ritenere che l’assegno in questione fosse stato consegnato privo di data a scopo di garanzia, secondo la giurisprudenza di legittimità, il patto di garanzia snatura la funzione tipica dell’assegno che è quella di mezzo di pagamento, modificandola in strumento di garanzia, per cui in tali ipotesi il patto di garanzia è nullo poiché l’assegno bancario non può mai essere emesso a garanzia di un debito; sicchè l’affidamento eventualmente riposto dall’odierno appellante all’atto di emissione dell’assegno controverso sul rispetto da parte del prenditore del titolo di un accordo nullo non potrebbe mai qualificare e ricevere una qualche forma di tutela come affidamento legittimo, proprio perché non potrebbe mai ritenersi ingiusta la lesione della aspettativa di altrui adempimento di un accordo contrario alle norme imperative dell’ordinamento;
nella fattispecie non c’era stata alcuna appropriazione indebita di somme, poiché l’assegno non solo era scoperto ma era stato emesso dopo il recesso di Fineco Bank dalla relativa convenzione;
l’appellante avrebbe dovuto diligentemente verificare che in ogni momento il conto su cui l’assegno era stato tratto fosse provvisto di fondi e non facendolo aveva assunto consapevolmente su di sé tutti i rischi conseguenti.
3.- Contro la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME affidandolo a un solo motivo di cassazione. Casinò di Venezia Gioco s.p.aRAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.
E’ stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.
La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1 del regio
decreto 21 dicembre 1933 ed all’art. 2043 codice civile in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. in quanto sarebbe pacifica la responsabilità extra contrattuale della convenuta non tanto per una violazione del patto di non presentazione e/o di quello di garanzia, essendo risultato provato per tabulas , che la Casa RAGIONE_SOCIALE avesse ricevuto l’ assegno in questione privo dell’indicazione della data e del luogo di emissione e che illecitamente l’avesse poi compilato e presentato all’ incasso.
2.- La proposta ha il tenore che segue.
« E’ stata impugnata per cassazione la sentenza del 3 novembre 2020 con cui la Corte di appello di Venezia ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso una sentenza del Tribunale lagunare vertente sul risarcimento del danno preteso dallo stesso COGNOME in conseguenza dell’indebito incasso di un assegno bancario dell’importo di euro 5.000,00 consegnato dall’attore in bianco, a scopo di garanzia, per il quale era stato elevato un protesto; il ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 r.d. n. 1736 del 1933 e dell’art. 2043 c.c.; resiste con controricorso Casinò di Venezia Gioco s.p.a.; il motivo è inammissibile; l’istante fonda l’impugnazione sul rilievo per cui il titolo non avrebbe potuto essere posto all’incasso in quanto era stato rilasciato privo dell’indicazione della data e del luogo di emissione: si assume, infatti, che il titolo sia stato illecitamente completato dal prenditore, riguardo a tali elementi formali, in un momento successivo a quello della consegna (pag. 7 del ricorso); la Corte di appello ha affermato non essere stata provata l’esistenza di un patto di non negoziazione del titolo; occupandosi del profilo relativo alla responsabilità extracontrattuale ha inoltre rilevato che COGNOME non aveva reso noto all’odierna controricorrente il fatto che l’assegno fosse privo di copertura e che la banca avesse esercitato il recesso dalla relativa convenzione, onde – ha
precisato – lo stesso istante, nel rilasciare il titolo privo di data per l’importo di euro 5.000,00, aveva assunto consapevolmente su di sé tutti i rischi conseguenti all’incasso; in tal modo, la Corte di appello – per la quale, si ripete, non era operante, in quanto non provato, alcun patto di non negoziazione dell’assegno – ha in sintesi reputato che il danno consistente della levata del protesto fosse riconducibile, in via assorbente, alla condotta colpevole dello stesso COGNOME; parte ricorrente non si confronta con tale ratio decidendi, la quale andava, invece, specificamente aggredita (Cass. 10 agosto 2017 n. 19989) »
3.- Reputa il Collegio che le ragioni di inammissibilità dei motivi di cassazione illustrati nella PDA siano condivisibili.
3.1 La Corte di appello, pur soffermandosi sul tema della validità dell’assegno dato in garanzia, ha ritenuto non fosse stata provata l’esistenza del patto di non negoziazione dell’assegno oggetto di causa (pag. 6 della sentenza impugnata) e ha pure osservato che il ricorrente, omettendo di assicurarsi che esistesse la provvista per assicurarne il pagamento, si era reso responsabile del danno lamentato (pag. 8). Il risarcimento del danno risulta dunque escluso in base alla seguente proposizione: NOME NOME, consegnando l’assegno privo di data senza pattuire alcunché quanto alla sua negoziazione e senza preoccuparsi di controllare se lo stesso fosse coperto, si rese consapevolmente autore della condotta colpevole che determinò il danno lamentato. E’, questa, una ratio decidendi , calibrata sull’autoresponsabilità dell’odierno istante, che avrebbe dovuto essere adeguatamente censurata e che invece non lo è stata.
4.- Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile.
– Le spese seguono la soccombenza.
5.1- Considerato che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ultimo comma a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Consigliere delegato dal
Presidente della sezione, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 c.p.c. , come testualmente previsto dall’art. 380 bis ultimo comma (« Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 »). L’art. 96 terzo comma, a sua volta, così dispone: « In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata» . Il quarto comma aggiunge: « Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 ».
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, si tratta di una disposizione (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione «altresì»). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale) » (Cass. Sez. Un. n.27433/2023, in motivazione).
In tal senso, il ricorrente va condannato, nei confronti della
contro
ricorrente, al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c. avuto riguardo alla liquidazione dei compensi dovuti alla parte resistente, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ex art, 96 quarto comma c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 2500,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª