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Assegno divorzile: quando la figlia diventa autonoma?

In un caso di modifica delle condizioni di divorzio, un ex marito chiedeva la revoca dell’assegno divorzile alla ex moglie e del mantenimento per la figlia ormai adulta e lavoratrice. Il Tribunale aveva ridotto l’assegno divorzile. La Corte d’Appello, tuttavia, ha riformato la decisione: pur confermando la revoca del mantenimento per la figlia economicamente autonoma, ha ripristinato l’importo originario dell’assegno divorzile per la ex moglie. La Corte ha sottolineato la funzione compensativa dell’assegno, dovuto per i sacrifici professionali fatti dalla donna durante il matrimonio a vantaggio della famiglia e della carriera del marito, ritenendo che l’autonomia della figlia non giustificasse una diminuzione del supporto all’ex coniuge.

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Assegno Divorzile: Si Riduce se la Figlia Diventa Autonoma? La Decisione della Corte d’Appello

L’indipendenza economica di un figlio adulto è un traguardo importante, ma quali sono le sue conseguenze sull’assegno divorzile percepito dal genitore con cui vive? La Corte d’Appello di Roma, con un recente decreto, ha offerto chiarimenti cruciali, bilanciando l’autonomia dei figli con la funzione compensativa dell’assegno destinato all’ex coniuge. Il caso analizza la situazione di una ex moglie, casalinga per tutta la durata del matrimonio, la cui richiesta di mantenimento viene riesaminata dopo che la figlia ha raggiunto la propria indipendenza economica.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Modifica delle Condizioni di Divorzio

La vicenda trae origine dalla richiesta di un ex marito di modificare le condizioni stabilite in sede di divorzio. Egli chiedeva la revoca sia del contributo al mantenimento della figlia, ormai adulta e lavoratrice, sia dell’assegno divorzile corrisposto alla ex moglie. Le sue ragioni si fondavano principalmente su due pilastri: la figlia percepiva un reddito proprio e l’ex moglie aveva recentemente incassato una cospicua somma a titolo di quota del suo TFR.

La donna si era opposta, sostenendo che le sue condizioni economiche fossero addirittura peggiorate a causa di problemi di salute che ne avevano ridotto la capacità lavorativa e che la somma ricevuta era stata interamente spesa per far fronte alle necessità quotidiane. Il Tribunale, in prima istanza, aveva accolto parzialmente le richieste dell’uomo: aveva revocato il contributo per la figlia ma aveva anche ridotto l’assegno per la ex moglie da 500 a 300 euro mensili.

L’Appello e la Valutazione sull’Assegno Divorzile

Insoddisfatta della decisione, la donna ha presentato reclamo alla Corte d’Appello, chiedendo il ripristino dell’assegno originario e un aumento a 750 euro. Sosteneva che la sua invalidità parziale e il suo ruolo di casalinga per oltre vent’anni le impedivano di trovare un lavoro adeguato. L’ex marito, a sua volta, ha proposto un reclamo incidentale, insistendo per la revoca totale dell’assegno, accusando la ex moglie di lavorare “in nero” e di non essersi mai attivata per raggiungere una propria autonomia economica, violando il principio di autoresponsabilità.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha ribaltato la decisione di primo grado, accogliendo parzialmente il reclamo della donna e respingendo quello dell’uomo. I giudici hanno articolato il loro ragionamento su alcuni punti chiave.

In primo luogo, è stata confermata la raggiunta autonomia economica della figlia. Questo ha correttamente portato alla revoca dell’obbligo di mantenimento a carico del padre. Tuttavia, la Corte ha specificato che questo evento, pur sollevando il padre da un onere, non determina automaticamente una riduzione dell’assegno divorzile dovuto all’ex moglie.

Il punto centrale della decisione risiede nella valorizzazione della funzione perequativo-compensativa dell’assegno. La Corte ha riconosciuto che la donna, dedicandosi per tutta la vita matrimoniale alla cura dei figli e della casa, aveva di fatto sacrificato ogni prospettiva di carriera. Questo sacrificio aveva permesso all’ex marito di concentrarsi sulla propria attività lavorativa e di raggiungere una solida posizione economica e pensionistica. L’assegno, quindi, non ha solo una natura assistenziale, ma serve a compensare la donna per il suo contributo alla formazione del patrimonio familiare e per le opportunità professionali perse.

I giudici hanno inoltre ritenuto non provata l’accusa di lavoro “in nero”, bollando come “palesemente fittizia” la dichiarazione che la donna aveva fatto per ottenere un prestito. Infine, l’età della donna (57 anni) e la sua invalidità al 60% sono stati considerati fattori oggettivi che limitano la sua capacità di generare reddito.

Conclusioni: L’Impatto dell’Autonomia dei Figli sull’Assegno all’Ex Coniuge

La decisione della Corte d’Appello di Roma stabilisce un principio importante: l’indipendenza economica di un figlio, pur estinguendo il diritto al suo mantenimento, non è di per sé una causa sufficiente per ridurre l’assegno divorzile dell’ex coniuge. La valutazione deve tenere conto della storia della famiglia e della funzione compensativa dell’assegno, specialmente nei casi di matrimoni di lunga durata in cui uno dei coniugi ha rinunciato alla propria carriera per il bene della famiglia. La Corte ha ripristinato l’assegno a 500 euro, riconoscendo che l’autonomia della figlia non aveva migliorato la condizione economica della madre al punto da giustificare una riduzione del sostegno dovuto dall’ex marito.

L’autonomia economica di un figlio adulto comporta automaticamente la riduzione dell’assegno divorzile per l’ex coniuge?
No. Secondo la Corte, l’autonomia del figlio giustifica la revoca del contributo al suo mantenimento, ma non riduce automaticamente l’assegno divorzile dovuto all’ex coniuge. La valutazione dell’assegno all’ex coniuge deve essere autonoma e basata sulle condizioni economiche delle parti e sulla funzione perequativo-compensativa dell’assegno stesso.

Che valore ha la funzione perequativo-compensativa dell’assegno divorzile in questo caso?
Ha un valore fondamentale. La Corte ha ritenuto che l’assegno fosse giustificato per compensare l’ex moglie dei sacrifici fatti durante il matrimonio, avendo dedicato la sua vita alla crescita dei figli e alla casa, favorendo così la carriera dell’ex marito. Questo ha impedito la riduzione dell’assegno.

Una dichiarazione fittizia di lavoro per ottenere un prestito può essere usata per provare un’attività lavorativa “in nero”?
No. In questo caso, la Corte ha ritenuto la dichiarazione palesemente fittizia (dato che la donna aveva indicato sé stessa come datore di lavoro) e, in assenza di altre prove come versamenti di contributi o accrediti di stipendio, ha concluso che la donna non svolgeva alcuna attività lavorativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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