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Assegno divorzile e legge inglese: i limiti della Cassazione

In un caso di divorzio internazionale, la Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che ha applicato la legge inglese per determinare l’assegno divorzile. Il ricorso dell’ex marito, che contestava la valutazione economica delle prove, è stato respinto. La Corte ha ribadito che il giudizio di legittimità non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme, anche quando la disciplina processuale italiana si combina con il diritto sostanziale straniero.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Assegno Divorzile: Quando il Giudice Italiano Applica la Legge Inglese

In un mondo sempre più globalizzato, i divorzi internazionali sono all’ordine del giorno. Ma cosa succede quando una coppia sposata a Londra e residente nel Regno Unito decide di separarsi in Italia? Quale legge si applica per determinare l’assegno divorzile? Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti, ribadendo un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Cassazione non è un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti, neanche quando si applica il diritto straniero.

I Fatti del Caso: Un Divorzio tra Italia e Regno Unito

La vicenda riguarda una coppia, sposatasi a Londra nel 2002, dalla cui unione sono nati due figli. Nel 2017, la moglie si trasferisce in Italia, adducendo la necessità di assistere il padre malato, per poi comunicare al marito la sua volontà di non fare ritorno nel Regno Unito e di porre fine al matrimonio.
L’ex marito avvia la causa di divorzio presso il Tribunale di Ragusa. Dopo una complessa questione sulla giurisdizione, risolta dalle Sezioni Unite a favore del giudice italiano, il Tribunale applica la legge inglese, in quanto legge dell’ultima residenza abituale della coppia.

La Decisione dei Giudici di Merito e l’assegno divorzile

I giudici di merito, sia in primo grado che in appello, si sono trovati a dover ricostruire la situazione patrimoniale dei coniugi. Nonostante la richiesta di un’indagine patrimoniale in Gran Bretagna tramite rogatoria internazionale, rimasta senza esito, il Tribunale ha valutato le prove disponibili. Ha ritenuto poco credibile la dichiarazione patrimoniale del marito, che indicava un reddito di soli 20.000 euro annui, e ha disposto un assegno divorzile a favore della moglie di 1.400 euro mensili.
La Corte d’Appello ha sostanzialmente confermato questa decisione, riformandola solo sulla questione dell’assegnazione della casa familiare (situata in Inghilterra) al marito, con cui vivevano i figli.

Il Ricorso in Cassazione: una Contestazione sui Fatti

L’ex marito ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’errata valutazione delle prove e una falsa applicazione della legge inglese (Matrimonial Causes Act del 1973). In particolare, contestava la ricostruzione dei redditi, sostenendo che le somme percepite dalla moglie da una società inglese non fossero una retribuzione, ma dividendi di una società di cui era comproprietaria al 50%. Contestava inoltre l’esistenza di una presunta società in Pakistan e il mancato esperimento della rogatoria internazionale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo motivazioni di grande rilevanza processuale. Il punto centrale della decisione è che il ricorrente, pur lamentando formalmente una violazione di legge, stava in realtà chiedendo alla Corte una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità.
La Corte ha chiarito che, anche quando il giudice italiano è chiamato ad applicare una legge sostanziale straniera (in questo caso, quella inglese sull’assegno divorzile), la disciplina processuale da seguire è sempre quella italiana. Di conseguenza, i limiti del sindacato della Cassazione rimangono invariati: il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme e la logicità della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Poiché la decisione della Corte d’Appello era basata su una motivazione puntuale e coerente riguardo alla disparità economica tra i coniugi, non sussisteva alcuna violazione di legge. Le contestazioni del ricorrente erano, in sostanza, mere “contestazioni di fatto” mascherate da censure di diritto.

Le Conclusioni: i Limiti del Giudizio di Cassazione

Questa sentenza riafferma con forza la natura del giudizio di Cassazione. Non è un’ulteriore istanza in cui si può sperare di ribaltare una valutazione fattuale sgradita. Il suo ruolo è quello di garante della nomofilachia, ovvero assicurare l’uniforme interpretazione e applicazione della legge. La decisione sottolinea che l’applicazione di una normativa straniera non altera le regole processuali interne e i confini del giudizio di legittimità. Per gli avvocati e le parti coinvolte, questo significa che un ricorso per Cassazione deve essere fondato su vizi giuridici concreti e non su un disaccordo con l’interpretazione delle prove offerta dai giudici di primo e secondo grado.

Un giudice italiano può applicare la legge di un altro Stato in una causa di divorzio?
Sì. In base ai regolamenti dell’Unione Europea e alle norme di diritto internazionale privato italiano, il giudice deve applicare la legge dello Stato in cui i coniugi avevano la loro ultima residenza abituale, se uno di essi vi risiede ancora al momento della domanda giudiziale.

È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la valutazione delle prove economiche fatta da un giudice?
No, se la contestazione riguarda il merito della valutazione. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la decisione del giudice di merito è viziata da un errore di diritto o da una motivazione illogica o contraddittoria, ma non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella già effettuata nei precedenti gradi di giudizio.

Cosa succede se una richiesta di assunzione di prove all’estero (rogatoria internazionale) non viene completata?
Secondo la sentenza, il mancato completamento di una rogatoria non costituisce di per sé una causa di nullità del processo. Affinché ciò avvenga, la parte interessata deve dimostrare che da tale omissione sia derivata una violazione effettiva della normativa e che le prove non acquisite fossero indispensabili per la decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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