Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24187 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 24187 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16564/2024 R.G. proposto da:
, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) T.Z.
-ricorrente-
contro
T.C.
, elettivamente domiciliato in
INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 818/2024 depositata il 15/05/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2025 dalla presidente NOME COGNOME.
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con ricorso del giugno 2017, il sig. avanzava domanda di divorzio giudiziale innanzi al Tribunale di Ragusa nei confronti della moglie, sig.ra , con la quale aveva contratto matrimonio civile a Londra nel 2002, trascritto nei registri dello stato civile italiano. Dal vincolo erano nati due figli, rispettivamente nel e nel T.Z. T.C.
Il ricorrente rappresentava che nel maggio 2017, la sig.ra , adducendo di recarsi in Italia per assistere il padre gravemente malato, gli aveva comunicato, con lettera e messaggio di posta elettronica, la volontà di non far ritorno nel Regno Unito e di porre termine alla relazione coniugale. T.C.
Costituitasi in giudizio, la convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Le Sezioni Unite di questa Corte, su regolamento preventivo sollecitato dall’attore, accertavano con ordinanza n. 11583/2019 la giurisdizione del giudice italiano in virtù dei criteri alternativi contemplati dal Reg. Ue n. 2201/2003.
Il sig. riassumeva la causa dinanzi al giudice siciliano il quale, in fase di udienza presidenziale, assegnava la casa familiare sita in Inghilterra al marito, che aveva continuato a risiedervi con i figli da lui accuditi, e concedeva alla moglie un assegno divorzile di euro 2000,00 mensili, ridotto ad euro 1400,00 a seguito di reclamo proposto dal ricorrente alla Corte d’Appello di Catania. T.Z
Il Tribunale disponeva un’indagine patrimoniale sul ricorrente in Gran Bretagna, da effettuarsi ai sensi del reg. Ue 12061/2001 senza tuttavia ricevere risposta dal Ministero della Giustizia, pur sollecitato.
Il ricorrente provvedeva così spontaneamente al deposito della propria disclosure patrimoniale, dalla quale risultava la sola percezione di un reddito pari a 20.000,00 euro annui.
All’esito del primo grado di giudizio, il tribunale di Ragusa emetteva sentenza di divorzio: preliminarmente dichiarava applicabile alla controversia la legge inglese vigente ratione temporis , ai sensi dell’art. 31 co. 1 L. 218/1995 e dell’art. 8 Reg. UE n. 1259/2010 nella parte in cui prevede che, salvo diversa scelta contraria delle parti si applichi la legge dell’ultima residenza abituale dei coniugi se ancora uno di essi vi risieda al momento in cui è stata adita l’autorità giudiziaria, ed in particolare il Matrimonial Causes Act del 1973; quindi, valutata l’inverosimiglianza della disclosure di parte attrice e ricostruite le consistenze patrimoniali dei coniugi, confermava la corresponsione dell’assegno nell’ammontare di 1400,00 euro mensili a partire dal giorno della domanda giudiziale sino al trentaseiesimo mese successivo al deposito della sentenza; definiva in rito la domanda relativa all’assegnazione della casa coniugale, per la quale affermava la giurisdizione del giudice britannico (in quanto il provvedimento di assegnazione sarebbe stato funzionale solo alle esigenze della prole e pertanto sottoposto alla giurisdizione del giudice straniero), e definiva in rito altresì la domanda relativa alla condanna della ex moglie al pagamento dei danni cagionati dall’abbandono della casa coniugale, in quanto soggetta a diverso rito e non cumulabile nel giudizio di divorzio.
La Corte d’Appello di Catania con sentenza n. 818/2024 confermava la decisione del giudice di prime cure, riformandola unicamente quanto alla domanda di assegnazione della casa
coniugale, affermando la giurisdizione italiana e, nel merito, assegnando l’immobile al marito, ivi residente con la prole.
Avverso il provvedimento della Corte d’Appello, il sig. ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., deducendo un unico articolato motivo con cui denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., relativi alla disponibilità e alla valutazione delle prove assunte in giudizio, nonché degli artt. 21, 23 e 25 del Matrimonial Causes Act del 1973, quale legge straniera applicabile ai fini della determinazione dell’assegno divorzile. T.Z
Si è costituita con controricorso la sig.ra . T.C.
La Procura Generale ha concluso in udienza chiedendo la reiezione del ricorso.
Con l’unico motivo di impugnazione, il ricorrente censura l’omissione di una reale disamina delle prove acquisite da parte del giudice del merito che sarebbe quindi pervenuto a un’interpretazione dell’istruttoria in senso opposto rispetto a quanto emergerebbe dalla documentazione in atti. L’errore probatorio avrebbe determinato, secondo il ricorrente, l’errata applicazione dei parametri stabiliti dalla legge inglese per la determinazione dell’assegno divorzile.
In particolar modo, il ricorrente contesta la ricostruzione dei redditi derivanti sia dalla società inglese sia dalla società pakistana: sostiene che sarebbe erroneo valutare lo squilibrio economicofinanziario sulla base del reddito formalmente percepito dalla moglie come dipendente della società RAGIONE_SOCIALE , venuto meno con la cessazione del rapporto di lavoro. Tali somme, ad avviso della parte, non sarebbero state corrisposte a titolo di retribuzione, ma deriverebbero dalla distribuzione dei dividendi della società, della quale la ex coniuge è comproprietaria al 50%. OMISSIS
Il ricorrente contesta, inoltre, la gravata decisione nella parte in cui riconosce l’esistenza della società pakistana, rilevando che essa
emergerebbe unicamente dalle dichiarazioni rese dalla ex moglie e che non possa pretendersi, per converso, una probatio diabolica dell’inesistenza di tale società.
Il ricorrente ha posto altresì in evidenza la condotta della ex moglie, allontanatasi dalla casa familiare, che avrebbe ostato, ove correttamente considerata dal giudice del merito, alla concessione del beneficio.
In ultimo, viene sottolineato il mancato esperimento della rogatoria internazionale, rimasta inevasa per un’asserita inerzia del giudice del merito che avrebbe pregiudicato la completezza del quadro probatorio indispensabile alla corretta ricostruzione delle consistenze patrimoniali degli ex coniugi.
È pacifico che nel caso di specie trovi applicazione la legge inglese. In particolare, l’art. 25 del Matrimonial Causes Act individua i criteri che il giudice deve considerare per la ricerca della soluzione economica più equa nella valutazione dell’ an e del quantum dell’assegno di mantenimento. Rilevano infatti, secondo quanto reca la norma: a) il reddito, la capacità di guadagno, le proprietà e le altre risorse economiche possedute da ciascuna delle parti o che è probabile che siano possedute nel prossimo futuro; b) le esigenze economiche, gli obblighi e le responsabilità che ciascuno dei coniugi ha o è probabile che abbia in futuro; c) il tenore di vita della famiglia prima della rottura del matrimonio; d) l’età delle parti e la durata del matrimonio; e) le eventuali disabilità fisiche o mentali; f) i contributi presenti o probabili per il futuro delle parti al benessere della famiglia; g) la condotta di entrambi i coniugi, se tale a giudizio della Corte da rendere ingiusto non tenerne conto; h) la perdita di vantaggi economici a seguito dello scioglimento del matrimonio.
Fra gli indici valutativi riportati non sussiste ordine gerarchico, anzi essi concorrono complessivamente alla determinazione dell’oggetto
di indagine del giudice che deve, in ogni caso, tenere in primaria considerazione il benessere dei figli minori.
Dall’analisi del provvedimento impugnato non emerge alcuna violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., avendo la Corte territoriale correttamente applicato le disposizioni del diritto straniero e valutato le circostanze dedotte e la documentazione prodotta. Il giudice del merito afferma infatti: ‘ Invero, va innanzitutto osservato -con riferimento al parametro relativo alla condotta dei coniugi, di cui alla lettera g) dell’art. 25 della normativa citata, su cui entrambe le parti insistono, – che sulle responsabilità che le parti reciprocamente si addebitano in ordine alla crisi coniugale nei loro scritti difensivi non vi è prova in atti; inoltre -con riferimento alla durata del matrimonio di cui alla lettera d) e con riferimento al tenore di cita di cui alla lettera c) della normativa citata -va rilevato che il matrimonio è stato contratto nel 2002 e sono stati procreati due figli, ed il tenore di vita matrimoniale è stato sicuramente elevato alla luce di quanto dichiarato dalle parti.
Va, poi, osservato, con riguardo agli ulteriori parametri di cui all’art. 25, – che la moglie, pur avendo conseguito una laurea e avendo pregressa esperienza lavorativa presso l’impresa del marito, è, allo stato, disoccupata, le è stata riconosciuta una percentuale d’invalidità per l’ipoacusia di cui soffre ed ha un’età tale che rende ormai arduo ipotizzare un suo inserimento nel mondo del lavoro, tanto più alla luce della realtà economica della provincia italiana in cui è tornata a vivere, ben diversa da quella di Londra; non vi sono, poi, elementi attestanti il valore dell’unico immobile da ultimo ereditato in seguito al decesso del madre che risulta improduttivo di redditi.
Come rilevato dal tribunale, vi è, pertanto, piena prova in atti circa la effettiva sussistenza di una rilevante disparità reddituale tra le parti (…). ‘ (p. 8 -9 del provvedimento impugnato).
A fronte della puntuale motivazione espressa nella decisione impugnata, il ricorrente ripropone mere contestazioni di fatto, finalizzate a prospettare una ricostruzione alternativa della situazione patrimoniale e reddituale rispetto a quella accolta dalla Corte d’Appello in piena adesione a quanto già stabilito dal giudice di prime cure. Tale impostazione si traduce, in sostanza, nell’assunto secondo cui, essendo errata la ricostruzione fattuale compiuta dal giudice di merito, risulterebbe di conseguenza viziata anche l’applicazione della normativa straniera ad essa collegata.
Un simile ragionamento non può essere condiviso. Va, infatti, ribadito che, pur quando il giudice sia chiamato a fare applicazione di una legge sostanziale straniera, la disciplina processuale, di tutte le fasi del giudizio, si determina sulla base dell’ordinamento dello Stato munito di giurisdizione. Se ne deriva che, in sede di legittimità, non è consentito rimettere in discussione l’accertamento di fatto operato dal giudice di merito, quando questo sia sorretto da motivazione logica e congrua, essendo precluso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualsiasi riesame del merito delle risultanze istruttorie.
Non può quindi farsi leva su una differente interpretazione della disciplina dell’assegno divorzile nell’ordinamento inglese, come condivisibilmente sostenuto dalla Procura generale, atteso che la parte ricorrente, pur avendo formalmente indicato in ricorso le asserite violazioni di legge rispetto al testo normativo straniero, ha in realtà fondato tali doglianze su una non consentita rivisitazione delle circostanze istruttorie, estranea al sindacato di legittimità.
Trova applicazione al caso di specie quanto precedentemente affermato senza soluzione di continuità dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte: ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non
introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ‘ ( ex multis , cfr. Cass. Sez. Un. 20867/2020; Rv. 659037 – 01)
Da ultimo, il mancato completamento della rogatoria internazionale non può integrare causa di nullità processuale, non essendo stati allegati né tantomeno provati elementi specifici e univoci dai quali desumere, da un lato, una effettiva violazione della normativa straniera e, dall’altro, l’omessa acquisizione, mediante rogatoria, di mezzi di prova qualificabili come indispensabili ai fini della decisione.
Pertanto, alla luce delle esposte considerazioni, il motivo non merita accoglimento e il ricorso deve essere rigettato, con conseguente regolamentazione delle spese secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
In caso di diffusione, omettere le generalità.
Così deciso, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4.7.2025
La Presidente NOMEAVV_NOTAIO NOME COGNOME