Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7478 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7478 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8445-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 8445/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/02/2024
CC
avverso la sentenza n. 3944/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/09/2017 R.G.N. 3408/2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
1. nell’originario ricorso, NOME COGNOME, dipendente RAGIONE_SOCIALE in qualità di docente di ruolo in materie letterarie, aveva dedotto di aver prestato servizio presso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Tokyo dal 1.4.1993, quando veniva nominato lettore dal governo italiano presso l’ambasciata di Tokyo; sin dall’11.8.1995 aveva eseguito una serie di incarichi extra-accademici, svolgendo le stesse mansioni degli addetti culturali, dipendenti RAGIONE_SOCIALE, ma affermava di aver percepito un assegno di sede inferiore a quello spettante a un funzionario di pari livello del MAE; aggiungeva di aver svolto, presso l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE yo, mansioni di docente unico di lingua, laddove come lettore avrebbe dovuto solo affiancare il titolare di cattedra e di aver sempre percepito un trattamento economico come lettore nonché l’assegno di sede senza tuttavia l’inclusione degli adeguamenti previsti per il personale diplomatico-consolare del RAGIONE_SOCIALE; osservava che, a partire dal 15.1.2008, aveva assunto servizio quale addetto culturale presso il MAE, posizione economica C1, ma che il Ministero non gli aveva riconosciuto la predetta anzianità, precisando che il MAE gli aveva attribuito un assegno ad personam al fine di preservare la precedente retribuzione in godimento, dal quale era stata però ingiustamente esclusa la ‘retribuzione professionale docenti’;
lamentava infine di essere stato restituito nei ruoli metropolitani in anticipo rispetto alla scadenza del settennio preventivato. Chiedeva, pertanto, condannarsi il MAE al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Roma rigettava tutte le domande del docente, sia quelle per differenze retributive, in relazioni alle causali indicate, che quelle risarcitorie per l’illegittima anticipata restituzione nei ruoli metropolitani, ma la Corte d’appello, con sentenza del 18.9.2017, in parziale riforma della decisione impugnata, accertava il diritto del COGNOME «a ottenere l’assegno ad personam – corrisposto dal MAE al fine di preservare la precedente retribuzione – maggiorato della retribuzione professionale docenti, con condanna del MAE a corrispondere le differenze retributive»;
la Corte territoriale rilevava che le funzioni esercitate all’estero dal docente, ai sensi dell’art. 640 d.lgs. n. 297/1994, erano quelle proprie del ruolo di appartenenza, sicché il docente (o lettore) restava tale, salva la percezione dello speciale assegno di sede corrisposto dal MAE ai sensi dell’art. 658 stesso decreto che, tuttavia, non poteva riconoscersi nella misura prevista per i «docenti chiamati a ricoprire una cattedra presso l’università», posto che non v’era prova dell’assegnazione di una cat tedra universitaria ma solo di un incarico di tenuta dei corsi di lingua italiana;
né gli incarichi extraaccademici comportavano l’attribuzione del trattamento degli addetti culturali (dipendenti del MAE), tenuto conto che il CCNLIE prevedeva espressamente che ai lettori potessero essere assegnati, con assegno di sede maggiorato (comma 9 dell’ art. 658, cit.), incarichi extra-accademici con impegno non superiore alle 13 ore;
del pari, in relazione all’assegno di sede previsto dall’art. 658 d.lgs. n. 297/1994, come novellato dall’art. 27 d.lgs. n. 62/1998 , per i
dipendenti RAGIONE_SOCIALE, non si applicavano i medesimi coefficienti di maggiorazione dell’assegno stabiliti per i dipendenti del MAE dall’art. 5 d.lgs. n. 62/1998, attesa la differenziazione delle attività, come precisato da Cass. n. 15873/2014;
infondata era pure la domanda risarcitoria per anticipata restituzione nei ruoli metropolitani, essendo il settennio il periodo massimo e non già minimo di permanenza all’estero, donde l’impossibilità di dolersi per l’anticipata cessazione dell’incarico;
anche la domanda di riconoscimento dell’anzianità pregressa al momento del passaggio nei ruoli MAE come ‘addetto culturale’ era infondata perché il COGNOME era transitato nel MAE mediante superamento di un concorso, instaurando, con netta cesura rispetto al precedente, un nuovo rapporto di lavoro;
viceversa, era fondata, alla luce di Cass. n. 24724/2014, l’ultima doglianza in punto di mancata inclusione della retribuzione professionale docenti nell’assegno ad personam corrisposto dal MAE al momento dell’immissione nei suoi ruoli;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione sulla base di dodici motivi il COGNOME assistiti da memoria, cui si è opposto il MAE con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
i dodici motivi di impugnazione si possono distinguere per argomenti ed essere così sintetizzati:
1.1 i motivi I, II e III attengono alla domanda formulata dal COGNOME volta a ottenere, dal 1.4.1993, il pagamento dell’assegno di sede determinato utilizzando quale parametro quello previsto per la figura del docente universitario titolare di cattedra. La Corte d’appello
ha rigettato la domanda in quanto non sussisterebbe la prova documentale dello svolgimento della mansione di docente titolare di cattedra universitaria all’RAGIONE_SOCIALE di Tokyo.
1.2 In particolare, nel I motivo si lamenta, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., come la circostanza i.e., svolgimento dell’incarico di docente titolare unico di cattedra -, dedotta fin nel ricorso introduttivo e comprovata da documentazione (relazioni inviate dall’Ambasciata italiana a Tokyo), non fosse stata oggetto di contestazione alcuna da parte del MAE con conseguente error in procedendo del giudice d’appello per violazione dell’art. 416 cod. proc. civ.
1.3 Il motivo è inammissibile.
Ed, invero, anche in caso di denunzia di vizi processuali il potere di questa Corte di accesso diretto agli atti ai fini della verifica del fatto processuale resta condizionato al previo assolvimento dell’onere della parte ricorrente di indicare attraverso quali atti il vizio emergerebbe. Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, sicché l’esame diretto degli atti che la Corte di cassazione è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato (cfr. Cass. Sez. L, n. 11361/2020; Cass. SU. 22/05/2012, n.8077). La parte ricorrente avrebbe dovuto pertanto trascrivere, almeno nei passaggi salienti, la memoria difensiva di primo grado e d’appello (Cass. Sez. L, n. 10775/2020), onde suffragare la denuncia di non contestazione.
1.4 Il motivo è inammissibile anche per un diverso ordine di ragioni. Questa Corte ha, infatti, già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una
condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019).
Nel II motivo il ricorrente evidenzia, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la sussistenza di documentazione prodotta in atti (nota del rettore dell’RAGIONE_SOCIALE del 3.2.1999 che parlava di ‘professore incaricato dell’insegnamento di lingua italiana’, stato di servizio ecc.), in alcun modo esaminata dalla Corte d ‘a ppello e dalla quale si evinceva che il ricorrente aveva svolto mansioni di docente unico titolare di cattedra di italiano presso la RAGIONE_SOCIALE.
2.1 Il motivo è, prima ancora che infondato, inammissibile.
La censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. non è conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5 come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della ‘doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a) del medesimo d.l. n. 83/2012 ed applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge.
Il motivo è altresì infondato perché il ‘fatto’ di aver coperto una cattedra presso l’università è stato esaminato ed escluso, avendo la Corte d’appello, previo esame della documentazione prodotta, opportunamente distinto tra l’attribuzione formale di una cattedra e l’ attribuzione di un incarico di tenere corsi di lingua italiana, ritenuto qui conferito al COGNOME.
Nel III motivo denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 658 della legge n. 297/1994, in quanto la Corte d’appello non avrebbe attribuito importanza allo svolgimento di
fatto della mansione di docente titolare unico di cattedra e non di lettore, ma all’investitura formale in ordine all’incarico, quasi che fosse questo il presupposto imprescindibile per maturare il diritto all’assegno di sede e alle relative differenze stipendiali rispetto a quello di lettore.
3.1 Il motivo è inammissibile per carenza del requisito di specificità, non confrontandosi il COGNOME con il decisum che espressamente esclude, con apprezzamento di fatto non suscettibile di riesame in sede di legittimità, «che egli abbia ricoperto una cattedra universitaria presso l’università di Tokyo» (v. pag. 3 sentenza impugnata);
I motivi IV, V, VI e VII attengono al mancato riconoscimento, dal 1996, dell’assegno di sede previsto per la figura dell’addetto culturale (addetto all’istituto di cultura, livello C2 ex VIII livello, CCNL MAE) nonostante il COGNOME avesse svolto, dal 1996, dette mansioni (organizzare concerti, conferenze, proiezioni cinematografiche ecc.), e ciò alla stregua dell’assunto del giudice d’appello secondo cui il CCNL Integrativo Esteri prevederebbe già la figura del lettore con incarichi extra-accademici.
4.1 In particolare, nel IV motivo si evidenzia, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in merito alla domanda formulata in ricorso di riconoscimento dell’assegno di sede in virtù delle mansioni di fatto svolte di addetto culturale, avendo la Corte d’appello ritenuto non spettante l’assegno predetto in quanto al ricorrente erano state attribuite mansioni di lettore con incarichi extra-accademici; secondo il ricorrente, la Corte di merito aveva omesso di esaminare la domanda come proposta e le mansioni concretamente svolte per verificare se rientrassero nella figura del lettore con incarichi extraaccademici ovvero di addetto culturale.
4.2 Il motivo non è accoglibile; il vizio di omessa pronuncia, configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021); il giudice del merito, infatti, non è tenuto ad esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, attes o che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito.
Nella sentenza impugnata, v’è una valutazione (quanto meno implicita, ma inequivoca) di corrispondenza dell’attività in concreto esercitata con quella di ‘lettore con incarichi extra accademici’ di cui al punto 9 della tabella richiamata dal comma 9 dell’art. 658 d.lgs., cit.;
Nel V motivo si deduce, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione della normativa contrattuale integrativa (art. 11 lett. C) CCNIE dell’ 8.5.2001 e del CCNL integrativo MAE) ove anche si volesse ritenere che la Corte d’appello, non avvedendosi delle nette differenze tra le due figure professionali, rispettivamente di lettore e addetto culturale, abbia ritenuto che il lettore con incarichi extra-accademici
svolga le medesime mansioni di addetto culturale, come tale inserito nell’organizzazione dell’istituto.
5.1 Il motivo è inammissibile; con tutta evidenza, la critica finisce per addebitare alla Corte territoriale un errore commesso nell’interpretazione della contrattazione integrativa e nella comparazione fra le due figure professionali, come ivi previste;
orbene, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, ai sensi dell’art.63 del d. lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., come modificato dal d. lgs. n. 40 del 2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, per i quali è previsto il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, comma 8, del d. lgs. n.165 del 2001, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione int eressata, hanno una dimensione decentrata rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis (Cass. n. 8906/2023; Cass. n. 3367/2023; Cass. n. 32697/2022; Cass. n. 25626/2020, Cass. n. 7568/2020, Cass. n. 20917/2019, Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 16954/2018; Cass. n. 10094/2018; Cass. n. 16705/2018, Cass. n. 4921/2016, Cass. n. 15934/2013, Cass. n. 6748/2010, Cass. n. 28859/2008, Cass. n. 20599/2006; Cass. n. 5565/2004), profili qui nella specie (si noti) non dedotti;
Nel VI motivo il ricorrente contesta, come omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), l’omesso apprezzamento delle mansioni di fatto svolte dallo stesso ricorrente, le quali non rientravano in quelle di lettore con incarichi extraaccademici bensì in quelle di addetto culturale.
6.1 Il motivo è anch’esso inammissibile; la censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. , non è conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5 come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della ‘doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a ) del medesimo d.l. n. 83/2012 ed applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge.
6.2 La censura è altresì infondata nel merito, perché le mansioni di fatto sono state esaminate dal giudice d’appello e (come s’è detto) ricondotte a quelle del lettore con incarichi extra-accademici di cui al CCNLIE, cit. (v. pag. 3 ult. cpv. della sentenza impugnata);
Nel VII motivo si deduce, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., l’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 171 del d.P.R. n. 18 del 1967, in quanto la Corte di appello non ha considerato, ai fini del riconoscimento dell’assegno di sede, le mansioni in concreto svolte.
7.1 Il motivo è inammissibile; al riguardo, è utile rammentare che il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ma nei limiti fissati dalla disciplina applicabile ratione temporis . Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le più recenti, tra le tante, Cass. 12.9.2016 n. 17921; Cass. 11.1.2016 n. 195; Cass. 30.12.2015 n. 26110).
Nel caso di specie, il ricorrente torna a prospettare la tesi difensiva, ritenuta non fondata dal giudice d’appello, secondo la quale le mansioni di fatto svolte sarebbero quelle dell’addetto culturale e non del lettore incaricato di attività extraaccademiche, sicché la censura si risolve in un’inammissibile sollecitazione di un diverso apprezzamento di merito, non consentito al giudice di legittimità.
Nell’VIII motivo, formulato in via subordinata, si contesta, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 171 del d.P.R. n. 18 del 1967, sotto una diversa prospettazione rispetto al VII motivo, e in particolare si evidenzia che, prescindendo dal caso di specie, ed a maggior ragione in caso di rigetto del V motivo, lo svolgimento di incarichi extraaccademici (e quindi di funzioni connesse con l’attività consolare) renderebbe ingiustificata la differenziazione dei coefficienti di sede e maggiorazioni di rischio tra dipendenti MAE e dipendenti RAGIONE_SOCIALE.
8.1 Anche l’VIII motivo è infondato perché questa Corte, in relazione al d.lgs. n. 62 del 27.2.1998, si è già pronunciata sulle ragioni della differenziazione tra dipendenti del servizio diplomatico consolare del MAE e RAGIONE_SOCIALE dei coefficienti di maggiorazione (Cass. n. 15873/2014), con argomentazioni che, in termini non dissimili, sono richiamabili anche con
riferimento alla diversa disciplina che qui viene in considerazione (art. 171 d.P.R. n. 18/1967 e art. 658 d.lgs. n. 297/1994).
I motivi IX e X attengono, invece, al danno determinato al COGNOME dall’anticipata restituzione ai ruoli metropolitani. In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto (erroneamente, a parere del ricorrente) che la legge prevede un limite massimo, e non minimo, di permanenza all’estero e quindi non avrebbe dato ingresso alla questione.
9.1 In particolare nel IX motivo il ricorrente ha evidenziato, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., come la Corte d’appello abbia omesso di considerare qual era il thema decidendum, con conseguente violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., atteso che nella fattispecie non era contestato dal MAE che il ricorrente fosse stato inviato all’estero per la durata massima prevista e quindi la problematica atteneva esclusivamente ad un errato calcolo del periodo prestato all’estero;
9.2 La censura, con cui si muove alla sentenza impugnata il rilievo di non aver colto il quid disputandum, che era solo sulle «modalità di calcolo del periodo di sette anni», perché il MAE non aveva replicato che l’anticipata restituzione nei ruoli metropolitani fosse dipesa da esigenze di servizio, è inammissibile per difetto di specificità, ossia per le medesime ragioni di cui al punto 1.3.
Nel X motivo, proposto in via subordinata rispetto al precedente, è evidenziata, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 7 e 18 legge n. 604/1982 e dell’art. 646 legge n. 297/94, atteso che la legge prevedeva la possibilità di anticipata restituzione nei ruoli metropolitani solo per esigenze di servizio specificamente motivate; tali esigenze non erano state mai dedotte
nella fattispecie, ove si è discusso solo di un errore di calcolo del periodo di servizio prestato all’estero.
10.1 Il motivo è inammissibile non solo per le ragioni di cui al punto 7.1 , ma perché, in sostanza, si deduce che il giudice d’appello non avrebbe considerato che il rientro anticipato poteva dipendere solo da esigenze di servizio, ma trattasi di ‘questione nuova’, non menzionata in sentenza, e non è stato precisato in che tempi essa sia stata introdotta nel dibattito processuale dinanzi alla Corte territoriale, sicché la censura difetta di autosufficienza;
10.2 invero, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. 09/08/2018, n. 20694; Cass. 24/01/2019, n. 2038).
11. Nel motivo XI, proposto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il deducente ha dedotto la violazione dell’art. 7 legge n. 604/1982 sulla durata di permanenza all’estero, avendo preso servizio l’1.4.1993 con rientro in data 1.9.1999, evidenziando le ragioni dell’errore di calcolo e quindi la conseguente violazione di legge per l’illegittima conclusione anticipata del settimo anno scolastico, donde il diritto al diritto al ristoro del danno.
11.1 Il motivo è inammissibile perché esso prescinde dalla ratio decidendi : il giudice d’appello ha ritenuto che il settennio fosse il periodo massimo, non minimo, sicché la critica, appalesandosi come tutta incentrata sui criteri di calcolo dei sette anni, non si confronta con il decisum ;
12. Infine, nel XII (ed ultimo) motivo si deduce, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., l’omessa pronuncia in merito al mancato pagamento di due mensilità dell’indennità di prima sistemazione, nonostante tale domanda fosse stata formulata in primo grado e in appello.
12.1 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non avendo il ricorrente trascritto il passaggio del ricorso introduttivo con il quale era stata formulata la domanda di pagamento delle due mensilità di prima sistemazione;
invero, il ricorrente si limita a riportare il seguente stralcio del ricorso d ‘appello che a sua volta richiamerebbe quello di primo grado: «ugualmente al ricorrente non sono state versate n. 2 mensilità di prima sistemazione per ogni periodo di servizio all’estero », ma difetta, tuttavia, ogni riferimento al testo del ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., da cui poter desumere che, effettivamente, fin dal principio la richiesta di pagamento delle somme de quibus fosse stata formulata dal COGNOME nelle conclusioni dell’originario atto introduttivo .
12.2 i motivi di ricorso devono investire, è noto, questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio: valgano, a riguardo, le argomentazioni spese al punto 10.2, qui da intendersi integralmente richiamate.
I n conclusione, il ricorso dev’essere nel suo complesso rigettato, con addebito al COGNOME delle spese di legittimità, liquidate nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in €. 5.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella Adunanza Camerale del 22.2.2024.