Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21053 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21053 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6184/2021 R.G., proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in virtù di procura su foglio separato allegato al ricorso;
pec EMAIL; EMAIL;
–
ricorrente – nei confronti di
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE
–
contro
ricorrente – per la cassazione della sentenza n. 3232/2020 della CORTE d’APPELLO di Milano; udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9.5.2024 dal
Consigliere dott. NOME COGNOME.
Contratti e obbligazioni in genere genere
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La sig. NOME COGNOME rappresentata dal procuratore generale nonché figlio NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Milano l’AVV_NOTAIO, suo precedente procuratore speciale, e chiedeva l’annullamento del contratto del 5.3.2010 di cessione della nuda proprietà della partecipazione in RAGIONE_SOCIALE In via subordinata l’attrice chiedeva la risoluzione del contratto ed instava per il rendimento del conto per affitti non incassati dal convenuto relativamente ad alcuni immobili da lui gestiti ed ubicati in Milano.
Con sentenza parziale n. 11794/2016 il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande svolte dalla COGNOME, fatta eccezione per quella di rendimento del conto, e la domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto per il ripianamento di debiti societari. Con sentenza definitiva n. 7893/2019 il Tribunale di Milano rigettava tutte le residue domande svolte dall’attrice e revocava il sequestro giudiziario sulla quota della società RAGIONE_SOCIALE, compensando le spese di lite.
Con sentenza n. 3232/2020 pubblicata il 10.12.2020 la Corte d’Appello di Milano rigettava il gravame interposto dalla sig. NOME COGNOME, nuora della COGNOME e moglie del COGNOME, entrambi deceduti nel frattempo, con l’aggravio delle spese del grado, sulla base dei seguenti rilievi:
I sul primo motivo d’appello, con il quale la COGNOME contestava in relazione alla chiesta risoluzione l’estinzione dell’obbligazione di pagamento del corrispettivo delle cessione per effetto della mera consegna e non dell’incasso degli assegni circolari, la decisione del tribunale poggiava su un orientamento ampiamente consolidato e corroborato persino dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, mentre gli invocati precedenti contrari afferivano a fattispecie del tutto particolari (assegno non andato a buon fine; pagamento a
persona diversa dal prenditore); nella specie, due assegni emessi da Intesa Sanpaolo s.p.a. ed un assegno emesso da Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. per euro 375.000 erano stati consegnati alla COGNOME in occasione dell’atto notarile del 5.3.2010 e successivamente restituiti all’AVV_NOTAIO, che aveva provveduto a farli annullare; gli altri assegni, sempre per l’importo complessivo di euro 375.000, in data 1° aprile 2010 erano stati versati sul conto n. 1000/495 della COGNOME presso Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE, ma il giorno successivo l’importo indicato era stato riversato sul c/c n. 13244158 intestato all’AVV_NOTAIO presso la stessa filiale. Si trattava di atti dispositivi documentanti il pagamento intervenuto e l’estinzione dell’obbligazione, ma che ‘…successivamente per ragioni che non vengono esplicitate, né in questa sede interessano -è stato restituito’;
II -il tribunale non aveva rilevato d’ufficio il rilascio di una quietanza da parte della COGNOME, ma che, a fronte del dedotto inadempimento per il mancato pagamento del prezzo, esso era stato pagato e ne era stata data quietanza;
III – relativamente al terzo motivo di appello, con il quale la COGNOME si doleva del fatto che il tribunale avesse ritenuto estranei al tema del rendimento del conto la cessione della partecipazione ed il relativo incasso, era documentato mediante atti pubblici, e perfino ammesso nell’atto di citazione in appello, che la COGNOME avesse ricevuto personalmente l’importo di euro 375.000 a saldo del prezzo della cessione; era stato ammesso nel corso del processo che la stessa fosse consapevole di non aver ricevuto, di fatto, il corrispettivo della cessione, sì che la questione non afferiva all’ambito del rendimento del conto, ‘ma di operazione condotta direttamente da NOME COGNOME, per ragioni di fondo che non rilevano, ma che ben possono essere ipotizzate nell’ambito della conflittualità allora in atto’;
IV – la domanda di condanna al pagamento delle somme dovute nell’ambito del rendimento del conto, oggetto del quarto motivo d’appello, era stata rigettata dal tribunale nel merito per assenza di prova in correlazione con quanto esposto con riguardo al terzo motivo di appello per effetto della restituzione del prezzo; operazione interamente voluta ed attuata dalla COGNOME, non senza rilevare come le somme azionate per fitti riscossi fossero inferiori alle imposte pagate (dall’AVV_NOTAIO) per conto della mandante.
Per la cassazione della suindicata sentenza della corte di merito la COGNOME propone ora ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata la ‘falsa applicazione dell’art. 1277 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., e per violazione dell’art. 111, sesto comma, cost., e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.’.
La ricorrente si duole per la decisione di secondo grado laddove ha ‘ ribadito ‘ il principio di diritto in base al quale nel caso di assegno circolare ‘ è sufficiente la consegna per estinguere l’obbligazione ‘.
Nel premettere che dallo svolgimento del procedimento era emerso che i primi tre assegni circolari per euro 375.000 non erano mai stati incassati, mentre il secondo gruppo di assegni, sempre per euro 375.000, era stato incassato dalla COGNOME, ma l’AVV_NOTAIO aveva in seguito trasferito la somma su un conto a lui intestato, sostiene la ricorrente che in caso di assegno circolare l’estinzione dell’obbligazione non si produce con la mera consegna
del titolo, tanto più che ‘risulta dimostrato per tabulas come la Sig.ra NOME non abbia incassato alcuno della PRIMA TRANCHE DI ASSEGNI CIRCOLARI, sicché deve negarsi l’estinzione dell’obbligazione avversaria di pagamento del prezzo dovuto in forza della CESSIONE’ (pag. 13 del ricorso).
Con riferimento al l’assunto indicato dal tribunale nella sentenza di primo grado, e ignorato dal giudice dell’appello, secondo cui la COGNOME ha rilasciato quietanza confessando di aver ricevuto il pagamento, lamenta non essersi considerato che la quietanza è dichiarazione di scienza circa il ricevimento del pagamento e non affermazione delle relative conseguenze, sicché essa è inidonea ad integrare la volontà delle parti circa l’effetto estintivo del debito mediante la mera consegna dell’assegno circolare, questa non comportando l’estinzione del debito.
Si duole essere sotto altro profilo la motivazione resa dalla Corte d’Appello meramente apparente là dove risulta apoditticamente affermato che la COGNOME ha restituito i primi tre assegni circolari ignorando che l’AVV_NOTAIO non lo ave sse mai dedotto, e che la cedente aveva a lungo ignorato la sorte di questi tanto da dover agire nei confronti degli istituti emittenti.
Il complesso motivo è sotto plurimi profili inammissibile.
2.1 Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c., atteso che la ricorrente non riporta debitamente nel ricorso i richiamati atti e documenti del giudizio di merito posti a fondamento della mossa censura limitandosi a meramente richiamarli (v. i richiami a nota 11, pag. 13 del ricorso), ovvero là dove in tutto in parte riprodotti non fornisce puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema, al fine di rende rne possibile l’esame (v. Cass., Sez. Un., 27 dicembre
2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7701), sulla parte ricorrente gravando l’obbligo di precisa re anche l’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 4 marzo 2021, n. 5999; Cass., Sez. Un., 23 settembre 2019, nn. 23552 e 23553; Cass., 18 giugno 2020, n. 11892; 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass., 12 giugno 2008, n. 15808; Cass., 25 maggio 20007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7701), poiché il compito dei giudici della corte è quello di procedere a una ‘verifica degli atti stessi, non già alla loro ricerca’ (v. Cass. 20 luglio 2021, n. 20753; Cass., 24 giugno 2020, n. 12498; Cass., 20 marzo 2017, n. 7048).
2.2 Deve per altro verso porsi in rilievo che nell’impugnata sentenza la corte di merito ha risolto la questione di diritto relativa all’effetto liberatorio per il debitore a seguito della consegna di assegni circolari in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, e il suo esame non offre elementi per confermare o mutare detto orientamento.
Nella pronuncia impugnata è stato richiamato il dictum , già valorizzato dal giudice del primo grado, di Cass. 19 dicembre 2006, n. 27158, secondo cui ‘il pagamento effettuato mediante corresponsione di un assegno circolare, secondo gli usi negoziali, come è prassi per i pagamenti delle società di assicurazione o comunque ove accettato dal creditore, è idoneo a estinguere l’obbligazione, senza che occorra un preventivo accordo delle parti in tal senso o il rilascio di una quietanza liberatoria e senza che un tale effetto possa farsi discendere dal giorno dell’incasso del titolo, ossia dalla volontà del creditore, atteso che detto assegno
costituisce un mezzo di pagamento e non sussiste alcun pericolo di mancanza della provvista’.
Come rilevato dalla ricorrente, tale pronuncia faceva parte di un orientamento all’epoca minoritario, a mente del quale la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo a pagamento a mezzo somme di denaro, estingue l’obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza imponenti di prestare collaborazione all’adempimento dell’obbligazione a norma dell’art. 1175 cod. civ.
Sta di fatto che secondo Cass., sez. un., 18 dicembre 2007, n. 26617 ‘Nelle obbligazioni pecuniarie, il cui importo sia inferiore a dodicimila cinquecento euro o per le quali non sia imposta per legge una diversa modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento, come, invece, può nel secondo solo per giustificato motivo, da valutare secondo le regole della correttezza e della buona fede oggettiva; l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio per il debitore si verifica nel primo caso con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno’.
Nel pervenire a tale statuizione le Sezioni Unite sono partite dalla necessità, affermata già a quel tempo dalla prevalente dottrina, di «scardinare» la regola secondo cui solo il denaro contante sia l’unico mezzo legale di pagamento nelle obbligazioni pecuniarie, dovendo attribuire efficacia solutoria a mezzi alternativi non implicanti il trasferimento materiale del denaro.
Muovendo dalla divaricazione tra moneta scritturale poggiante sulla garanzia bancaria ed altri sistemi di pagamento, si è osservato che ”adempimento dell’obbligazione pecuniaria è inteso non come
atto materiale di consegna della moneta contante, bensì come prestazione diretta all’estinzione del debito, nella quale le parti debbono collaborare osservando un comportamento da valutare per il creditore secondo la regola della correttezza e per il debitore secondo la regola della diligenza. Ove avvenga con mezzi diversi, l’adempimento si può considerare efficace e liberatorio solo quando realizza i medesimi effetti del pagamento per contanti e, cioè, quando pone il creditore nelle condizioni di disporre liberamente della somma di denaro, senza che rilevi se la disponibilità sia riconducibile ad un rapporto di credito verso una banca presso la quale la somma sia stata accreditata’, per poi evidenziare, sulla scorta dell’introduzione per via legislativa di mezzi di pagamento alternativi volti a limitare l’uso del contante, come l’ambito di applicazione della normativa codicistica sia così ristretto da divenire marginale.
Di qui, considerato che l’art. 1277 cod. civ. ‘non riguarda le modalità di pagamento, ma il sistema valutario nazionale e la necessità, quindi, che i mezzi monetari impiegati si riferiscano ad esso’, l’approdo ad una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata della disposizione, al fine di pervenire ad una interpretazione che superi il dato letterale e la adegui alla mutata realtà: ‘la moneta avente corso legale non è l’oggetto del pagamento che è rappresentato dal valore monetario o quantità di denaro … Con questa interpretazione dell’art. 1277 risultano ammissibili altri sistemi di pagamento, purché garantiscano al creditore il medesimo effetto del pagamento per contanti e, cioè, forniscano la disponibilità della somma di denaro dovuta’.
Detto effetto, hanno ribadito le Sezioni Unite, ‘sicuramente produce l’assegno circolare con il quale, stante la precostituzione della provvista, tramite l’intermediazione di una banca si realizza il trasferimento della somma di denaro con la messa a disposizione del creditore. Il rischio di convertibilità e, cioè, l’eventualità che per
qualsiasi ragione la banca non sia in grado di assicurare la conversione dell’assegno in moneta legale rimane a carico del debitore, il quale si libera solo con il buon fine dell’operazione’.
Si è al riguardo espressamente negato che ad una tale conclusione osti il dettato di cui all’art. 1182 cod. civ., in ordine ai criteri di individuazione del luogo dell’adempimento, giacché “l’obbligazione pecuniaria non è assimilabile all’obbligazione di dare cose fungibili, sicché non risulta perfettamente adattabile lo schema di tale tipo di obbligazione, mentre assume rilevanza l’interesse del creditore alla giuridica disponibilità della somma invece che al possesso dei pezzi monetari”. Si è, altresì sottolineato, che “il concetto di domicilio del creditore non coincide con il suo domicilio anagrafico soggettivamente riconducibile alla persona fisica, ma deve essere oggettivizzato e può individuarsi nella sede (filiale, agenzia o altro) della banca presso la quale il creditore ha un conto”.
Nella riferita traiettoria, il rischio di convertibilità rappresenta l’eccezione, che non intacca la regola della piena parificazione dell’impiego dell’assegno circolare a quella del contante, come impropriamente cerca di sostenere la ricorrente laddove subordina l’effetto solutorio all’effettivo incasso dell’assegno da parte del creditore.
È pur vero che le Sezioni Unite, nell’ipotesi di ricorso allo strumento dell’assegno circolare statuiscono che ‘l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio per il debitore si verifica … quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno’, ma questo non vuol dire effettivo incasso del titolo, fermo il rischio a carico del debitore del rischio di inconvertibilità.
In altri termini, ed in perfetta aderenza al percorso argomentativo della pronuncia oggi impugnata, il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno rappresenta una eccezione rispetto alla regola della
piena parificazione, destinata a venir meno per l’appunto in ipotesi di assegno non andato a buon fine (v. Cass. 16 aprile 2015, n. 7761) o in ipotesi di pagamento a soggetto non legittimato (v. Cass. 17 gennaio 2012, n. 572), mentre non appaiono pertinenti i richiami a Cass. 9 ottobre 2012 n. 1714 e 10 marzo 2008, n. 6291 (idoneità del rilascio di un assegno di traenza), Cass. 16 giugno 2011, n. 13186 (rifiuto immotivato di ricevere in pagamento un assegno circolare di lire 6.420.000), Cass. 30 luglio 2009, n. 17749 (relativa alla prova del mancato incasso di un assegno di conto corrente).
Nella prospettata inammissibilità la ricorrente non indica elementi di novità rispetto alla soluzione della questione di diritto già praticata dalla Corte, ma cerca di leggere i precedenti in maniera tale da depotenziare l’effetto parificante ai fini liberatori della consegna del titolo mediante l’introduzione dell’elemento della messa all’incasso.
A tale stregua il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c.
Né può d’altro canto sottacersi che , nel rimettere in discussione la portata liberatoria connessa alla consegna del titolo, la mossa censura si risolve nella prospettazione di una questione in mero fatto concernente la sussistenza del presupposto della gravità dell’inadempimento : va lutazione, quest’ultima, all’evidenza spettante al giudice del merito in assenza dell’enunciazione della violazione dei canoni interpretativi del requisito dell’importanza dell’inadempimento, poiché aspira a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie e un apprezzamento delle circostanze storiche diversi da quelli motivatamente forniti dal giudice di merito, i quali sono insindacabili in questa sede di legittimità.
Va altresì evidenziato come da questa angolatura la censura sia finanche eccentrica rispetto al contenuto della decisione, che non ha affrontato il tema della gravità dell’inadempimento.
Del pari non pertinenti sono le ulteriori prospettazioni in merito al rilascio della quietanza da parte della COGNOME ed alla pretesa carenza motivazionale in ordine alla ritenuta restituzione dei primi tre assegni per euro 375.000.
Infatti, la pretesa violazione di legge in ordine alla sussistenza, o no, del rilascio della quietanza da parte della COGNOME in occasione della cessione attiene ad una questione non affrontata nella sentenza impugnata, ma in quella di primo grado, sì che la deduzione difetta di specificità sul piano sostanziale.
Quanto al preteso vizio di motivazione in ordine alla restituzione dei primi tre assegni, la censura è inconferente a fronte del dato del loro mancato incasso da parte della COGNOME.
Con il secondo motivo è denunciata la ‘violazione tanto dell’art. 111, sesto comma, cost., e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto degli artt. 115, primo comma, e 167, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.’.
La ricorrente si duole per la ritenuta estraneità al rapporto gestorio, peraltro sull’erroneo presupposto che la circostanza fosse non contestata, dell’attuazione della cessione mediante il pagamento del prezzo, avendo la Corte reso una motivazione apparente ed incongrua tra premesse e conseguenze del ragionamento. Dalla riconosciuta consapevolezza da parte della COGNOME del mancato pagamento del prezzo della cessione era stata tratta la conseguenza che l’esecuzione della cessione fosse stata effettuata personalmente. Per contro, dal tenore complessivo della difesa dell’AVV_NOTAIO emergeva come ad essere non contestata fosse per l’appunto l’inclusione nel perimetro del rapporto gestorio dell’esecuzione della cessione.
Con il terzo motivo è denunciata la ‘violazione dell’art. 111, sesto comma, cost., e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc.
civ.’, per aver sostenuto il giudice di secondo grado che la domanda per il rendimento del conto fosse stata disattesa dal tribunale perché infondata, piuttosto che tardiva, in quanto riguardante operazioni integranti la ‘restituzione del prezzo’ per la cessione come tali estranee al rapporto gestorio. Il ragionamento della Corte, tuttavia, poggiava su argomenti già confutati con il primo ed il secondo motivo ricorso per cassazione.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di porre in rilievo, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. ( error in procedendo denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.) può ammettersi solo in quattro casi: a) quando la motivazione manchi del tutto finanche « sotto l’aspetto materiale e grafico »; b) quando contenga un « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili »; c) quando sia « perplessa ed obiettivamente incomprensibile »; d) quando sia puramente apparente (v. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).
L’ipotesi sub d) è equiparabile alla prima più grave forma di vizio, ‘perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire di comprendere le ragioni e quindi le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da esse al risultato enunciato, venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga con un certo procedimento enunciativo, logico e consequenziale, a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi’ (v. Cass. 9 settembre 2019, n. 22507).
L’apparenza della motivazione ricorre anche quando il giudice di merito, pur indicando gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ne omette qualsiasi approfondita disamina logica e giuridica, rendendo ugualmente impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (v. Cass., sez. un., 17 dicembre 2021, n. 40453).
Al riguardo, nella sentenza impugnata è stato rimarcato come sia stato documentato mediante atti pubblici, e perfino ammesso nell’atto di citazione in appello, che la COGNOME abbia ricevuto personalmente l’importo di euro 375.000 a saldo del prezzo della cessione e che la stessa fosse consapevole di non aver ricevuto, di fatto, il corrispettivo della cessione, sì che la questione non afferiva all’ambito del rendimento del conto, ‘ma di operazione condotta direttamente da NOME COGNOME, per ragioni di fondo che non rilevano, ma che ben possono essere ipotizzate nell’ambito della conflittualità allora in atto’.
La sentenza impugnata nell’escludere l’attinenza dell’attuazione della cessione al rapporto gestorio contestato enuclea elementi tali da non consentire di comprendere le ragioni e quindi le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da esse al risultato enunciato. A parte la non congruenza tra la riferita consapevolezza da parte della COGNOME di non avere incassato gli assegni e l’estraneità al rapporto gestorio dell’esecuzione della cessione in quanto operazione ‘condotta direttamente da NOME COGNOME‘, il giudice di secondo grado senza esplicitare il senso dell’affermazione riconduce l’operazione a non meglio precisate ‘ ragioni di fondo che non rilevano, ma che ben possono essere ipotizzate nell’ambito della conflittualità allora in atto’.
Per contro, posto che l’obbligazione del mandatario di rendere conto del suo operato presuppone che lo stesso giustifichi in che modo abbia svolto la sua opera, mediante la prova di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le
modalità con cui l’incarico sia stato eseguito e di stabilire se il suo operato sia stato conforme ai criteri di buona amministrazione (v. Cass. 9 febbraio 2004, n. 2428), sarebbe stato necessario verificare preliminarmente quale fosse il perimetro della domanda di rendiconto in relazione all’ambito effettivo del mandato affidato all’AVV_NOTAIO, tenuto conto di quanto dallo stesso dedotto e chiesto in via riconvenzionale, andando poi ad accertare la congruenza tra la pronuncia resa in primo grado sul punto ed il tenore dell’appello principale svolto dalla NOME.
Stante la fondatezza nei suindicati termini del 2° e 3° motivo di ricorso dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d ‘A ppello di Milano, che in diversa composizione procederà a nuovo esame.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d ‘A ppello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione